Nell’ultimo libro di Georges Perec puoi trovare il gusto per la scoperta
La casa editrice Quodlibet ha pubblicato la nuova edizione di “Pensare/classificare”, una raccolta di testi dello scrittore francese Georges Perec che invita a riflettere sul legame tra scoperta e sorpresa nonché a ripensare le effettive possibilità delle classificazioni
Il movimento è salvezza. Raramente ce ne accorgiamo. Tutto quel fare e rifare in cui siamo coinvolti non è solo rumore di fondo delle nostre vicende ma anche la loro ragion d’essere. Lo è perché nella gran parte dei casi agiamo cercando un senso per misurarci con le asperità del mondo, gli accidenti della vita, le contingenze della realtà. L’obiettivo, infatti, è conviverci nel miglior modo possibile. Quel nostro lavorio potremmo allora chiamarlo “fare ordine”, ossia orientarci per trovare una direzione percorribile. Ma se tale impresa naturalmente trae origine nei modi in cui possiamo scoprire qualcosa, allo stesso tempo, essa si alimenta altresì del nostro spaesamento: del ritrovarci, più spesso di quanto non ci sembri, a non sapere bene che cosa dire e che cosa fare. Anche volendolo chiamare altrimenti, quell’andirivieni incerto è comunque movimento. Una dinamica ben nota allo scrittore francese Georges Perec che nell’ultima fase della sua vita, tra il 1976 e il 1982, si era impegnato in una indagine del fenomeno scrivendo alcuni testi pubblicati in sedi diverse, su riviste e giornali. I testi sono stati raccolti in un volume intitolato Penser/classer pubblicato con l’editore Hachette nel 1985, la cui prima edizione italiana è del 1989 per RCS Rizzoli Libri. Quel suo esame non era una novità: Perec, infatti, si calava nuovamente nello stesso tentativo già compiuto altre volte con le sue opere letterarie, ma provando in questo caso a guardare in controluce proprio il suo lavoro di scrittore.

L’esplorazione del quotidiano di Perec nel suo ultimo volume riedito da Quodlibet
La sua opera più nota, La vita, istruzioni per l’uso, romanzo pubblicato nel 1978, è probabilmente l’esempio più eclatante della sua attenzione per il movimento. In quel libro Perec intraprende una sorprendente esplorazione del quotidiano attraverso una narrazione basata sulle minuziose descrizioni della vita in un palazzo, dettaglio per dettaglio, alla luce delle relazioni con i suoi ambienti costitutivi (le scale, i piani, gli appartamenti, l’atrio, le cantine). Un palazzo pensato come prototipo letterario di uno scenario abitativo per le quotidiane vicissitudini umane. A caratterizzarlo tutto un fermento basato esattamente sulla possibilità di trovare un ordine tra relazioni, spazi, attività svolte e da svolgere. Infatti, il movimento in quelle pagine non è solo un soggetto narrativo, bensì un’opportunità di immersione nel percorso ingegnosamente ideato da Perec per farci entrare a uscire da uno spazio a un altro.
Il senso del movimento nei testi di George Perec
Ne La vita Perec sviluppa una idea precisa: per cogliere il senso dell’intero è decisivo considerare non tanto le sue parti, quanto soprattutto le relazioni tra esse. L’esempio del puzzle, menzionato nel preambolo del libro, è ancora più chiarificatore: non guardiamo al singolo pezzo, dedichiamoci piuttosto ai collegamenti tra questo e gli altri pezzi. Infatti, la neutralità delle scale – il primo ambiente che incontriamo nel libro – è un invito a riflettere su quel viavai tipico delle vite nei palazzi. Se poi da quel punto di incontro, nel quale chi vi giunge proviene da X e si dirige a Y, si affina lo sguardo, possiamo riconoscere che il movimento evocato da Perec non sia solo quello della donna sui quarant’anni che sta salendo le scale o delle vite dei personaggi, ma anche quello che egli alimenta con le descrizioni degli interni degli appartamenti, nonché delle vicende di talune persone che ci vivono o ci hanno vissuto. Quello che succede leggendo Perec è che esplorando uno spazio domestico ci ritroviamo lentamente a scoprire biografie, aneddoti, comportamenti, accadimenti e dettagli: il tutto muovendoci di qui e di là. Ciò avviene quasi nello stesso modo in cui, per mezzo di uno zoom, piano piano possiamo catturare sempre più dettagli esplorando con maggiore precisione una visione di insieme.
George Perec e l’insoddisfacente sguardo sul mondo
Fuor di palazzo, Perec non ha mai smesso di calarsi nell’impresa della classificazione. Qualche anno prima, siamo nel 1974, con il suo Specie di spazi va dritto al punto: quel nostro continuo muoverci è certamente questione di tempo, ma soprattutto di spostamenti da uno spazio a un altro. Tutto bene, ma come classificare lo spazio? E che dire di tutti quei movimenti? Classificando ancora, ovviamente, attraverso tutta una serie di andirivieni. Dal bianco della pagina al letto di una stanza, fino al mondo e gli incontri che possiamo fare in esso. Un po’ il percorso inverso di quello che Perec propone ne La vita: l’obiettivo si allarga muovendoci di pagina in pagina, da dettagli tipografici a condizioni esistenziali.
Tuttavia, Perec non è soddisfatto dei risultati che ottiene. Infatti, la riflessione che svolge con la sua opera letteraria lascia gradualmente trasparire la sua necessità di avvalersi anche di sguardi esterni: esattamente quelli offerti in Pensare/classificare, pregevole libretto – lo è anche grazie all’ottima restituzione cartacea proposta da Quodlibet, impreziosita dall’immagine di un’opera di Giovanni Menada in copertina – che raccoglie le sue osservazioni su più temi: i modi di cercare, abitare e ordinare i libri; le possibilità offerte dagli sguardi obliqui e dall’astuzia; le ricette di cucina per principianti, il corpo sottile della scrittura, l’immaginare città ideali, la vita con gli occhiali; e naturalmente, il rapporto tra pensare e classificare.

Tra ordine e disordine, la poetica di George Perec
Tanto gli sguardi quanto i discorsi possono essere difettosi. Come rimediare? Perec non dà una risposta. Piuttosto, nei testi raccolti in Pensare/classificare, continua a farci notare che in tutto quel nostro muoverci per provare a dire e a fare qualcosa gli insuccessi non mancano, anche quando ci pare di avere trovato una soluzione. Ed è proprio nella eventualità degli imprevisti che si danno le radici della variabilità. Il suo lavoro con la scrittura lo pensa al pari di quello che svolge un contadino che si muove da un campo all’altro, una impresa della quale Perec non sa spiegare i “perché” ma i “come”: “credo piuttosto di trovare – e provare – il mio movimento procedendo: dalla successione dei miei libri nasce in me la sensazione, a volte confortante a volte sconfortante […], che essi percorrano un cammino” (p. 9). Perec riflette sul suo rapporto con la scrittura e a emergere sono più temi: la irripetibilità, ossia la possibilità di avere una strategia operativa ma di applicarla ogni volta in modo diverso; il naturale andamento ondivago dei tentativi di fare ordine – nel classificare le sue opere, negli usi del verbo ‘abitare’, in quel “disordine simpatico” (p. 31) naturalmente presente nelle librerie. Il bersaglio è infatti la pretesa stessa di riuscire a conseguirlo, un eventuale ordine. Quelle attività – sistemare, archiviare, fare ordine – Perec le considera “di ripiego” (p. 16). Eppure, così tanto accessorie non sono: si tratta semmai di punti fermi rispetto a quel movimento generale nel quale siamo immersi, che avviamo e nel quale ci ritroviamo. Sono certezze nelle fasi alterne di un flusso ben più vasto e articolato di un dinamismo vitale che, forse, fatichiamo a spiegare ma che in fondo ci è noto.
Fallimento come possibilità di scoperta
Conosciamo il dinamismo vitale perché ne facciamo parte alimentandolo, anche quando non riusciamo a fare le cose come vorremmo o come dovrebbero esser fatte. Lo sappiamo poiché, seppure siano ricette per principianti, per fare la “sogliola esotica” si dovrebbe – scrive Perec – aggiungere cannella in abbondanza, mentre per farla “all’antica” si richiede di grattugiare la noce moscata con dovizia: ma se il nostro piatto è una “suprême di sogliola”, allora oltre agli champignons dobbiamo servire il tutto con gli asparagi (pp. 79-98). Un azzardo e l’errore è fatto. Il fallimento è sempre dietro l’angolo. Il suo compimento non va però sottovalutato: perché è anche la richiesta di una nuova via da percorrere, il pronunciarsi di una scoperta. Ma di quella agitazione – per fare, fare bene, riuscire a fare – ne siamo esperti conoscitori anche perché, neppure alla lettura possiamo assegnare alcun tono della indolenza, trattandosi invece di attività. Leggere è una questione corporea, di posizioni degli occhi, della testa, della bocca, delle mani. Persino di voce, ascolti e brusii tutto intorno. Ma anche di tondi, corsivi, neretti, titoli e capoversi. Movimento, ancora movimento.
Perec: un invito a fare liste e a rinnovare il gusto per le scoperte
Giustamente, si potrebbe dire, sostenere che il movimento sia salvezza è una esagerazione. Non così tanto. Soprattutto se si considera che è attraverso esso che si possono avviare e riavviare dinamiche che altrimenti rimarrebbero vittime della completa staticità. Tra queste vi sono sicuramente quelle descritte da Perec che rivelano uno spazio di possibilità che appartiene a ciò che facciamo per organizzarci e tutte quelle attività di classificazione che, a suo modo di vedere, sono già terreno della immutevolezza. Ma è appunto questo il tema: spesso, ammette Perec, le classificazioni falliscono. E ciò, si noti, non riguarda solo il lavoro dello scrittore che ha sempre avuto un occhio di riguardo per le cose del mondo, per i dettagli e le descrizioni. Semmai è qualcosa che ci riguarda poiché quando una classificazione finisce gambe all’aria non si perde qualcosa ma si palesa il ruolo dei movimenti, compiuti e da compiere. Andamenti che questa raccolta di scritti pone molto bene in evidenza. Una lettura consigliata essendo un invito a rivalutare con la dovuta cura tanto l’arte del fare liste quanto il gusto per le scoperte.
Davide Dal Sasso
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