Le didascalie delle mostre e dei musei. Fatele facili per favore
Tate a Londra e Biennale di Istanbul: due esempi opposti su come veicolare l'arte al suo pubblico (e come non farlo). Perché le didascalie devono essere approfondite, certo, ma innanzitutto comprensibili
Sono stato alla Biennale di Istanbul, sono riuscito a guardare tutta la mostra, tutte le sedi, anche quelle più recondite. La rassegna era convincente, coerente, alcune opere spettacolari e coinvolgenti. I temi erano quelli che vanno per la maggiore negli ultimi anni, quelli sui quali gli artisti più intellettuali, approfonditi e sofisticati tendono a misurarsi maggiormente. Le diversità, le migrazioni, il lavoro, lo sfruttamento. Grazie al lavoro degli artisti tutto risultava molto chiaro, ma non posso dire lo stesso delle didascalie: se fosse stato per quelle non ci avrei capito nulla. Ho pensato che la colpa fosse del mio pessimo inglese, ma diamine si tratta di una lingua tutto sommato agevole da capire e non ho avuto mai troppi problemi a cavarmela. Ma questa volta proprio non riuscivo a seguire il filo.
Il buon esempio della Tate
Qualche giorno dopo ero a Londra, alla Tate, a vedere una grande mostra sull’arte contemporanea della Nigeria. I temi erano grossomodo gli stessi, le opere erano forse meno esplicite, ma lì invece le didascalie mi hanno aiutato e molto. Erano chiare, cristalline, comprensibili sia a chi non mastica bene l’inglese sia a chi non mastica bene l’arte e il suo mondo. Siamo a fine 2025 e ci sono ancora due tipologie di istituzioni culturali. Quelle che ancora parlano ad un preciso ristrettissimo target e adottano un linguaggio in codice (il critichese, o l’artese) e quelle invece che si fanno carico di spiegare e accogliere. Spesso le prime sono proprio quelle che si riempiono la bocca di inclusione e poi però comunicano in maniera incomprensibile.

Un pubblico che non comprende le didascalie è un pubblico sempre più lontano
Vincere la battaglia del coinvolgimento oggi – in un ecosistema basato sul concetto di notifica e quindi di distrazione – è una sfida complicatissima, se musei e mostre non la colgono a pieno continueranno a perdere appeal a favore di altri dispositivi. E invece molte istituzioni e molti organizzatori lo stanno comprendendo e, dopo anni di sensibilizzazione, si percepisce una sempre maggiore attenzione verso questo tema ormai protagonista nei corsi di formazione e nei percorsi didattici che portano a diventare curatori e operatori dei musei.
Perché debellare la spocchia di certe didascalie
Ci si sta impegnando moltissimo per capire come sarà il rapporto tra museo e pubblico nel futuro, quali mediazioni bisognerà inserire nella partita, quanto impatto avrà la tecnologia, l’intelligenza artificiale. Si ragiona su mostre immersive e sulla realtà virtuale. Ma una buona parte di visitatori sarebbe già molto soddisfatta e appagata trovando semplicemente una didascalia scritta bene, chiara, semplice, comprensibile anche a chi per la prima volta entra in uno spazio dedicato all’arte. Capace magari anche di incuriosire e di far venire la voglia di approfondire. Senza annoiare e soprattutto senza farti sentire inferiore e inadeguato come è successo a me lo scorso settembre a Istanbul.
Massimiliano Tonelli
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