Quale è il senso di accostare la Canestra di Frutta di Caravaggio ad una scultura di Jago?

La Pinacoteca Ambrosiana invita a riscoprire uno dei capolavori assoluti di Caravaggio con una mostra-dialogo tra l’opera e l’interpretazione scultorea di Jago. Con l’occasione, ripercorriamo la storia e i misteri di questo dipinto

Tra i capolavori assoluti conservati tra le sale della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, la Canestra di Frutta di Michelangelo Merisi da Caravaggio è il primo che si incontra all’ingresso. Un incontro d’impatto, che colpisce tutti, ma di cui pochi sanno comprendere pienamente il senso. Unica opera – assieme alla Cena in Emmaus di Brera – presente a Milano con la sua firma, segnò ai tempi un passaggio epocale nella storia dell’arte. Stravolse la gerarchia dei generi pittorici e lo fece attraverso un quadretto. Piccolo, ma con un messaggio dal senso ancora attuale per la nostra vita. Senza neppure ricorrere alla rappresentazione di figure umane, Caravaggio espresse qualcosa capace di parlarci anche attraverso secoli. In questo 2025, a distanza di circa 530 anni (della Canestra una data certa non si sa), lo scultore contemporaneo Jago invita a riscoprire quest’opera. E lo fa proponendo al pubblico la sua personale interpretazione. Rimane la canestra, ma cambiano il medium e il contenuto. Il significato? Simile, ma aggiornato all’evolversi della natura umana e dei suoi impulsi auto-distruttivi.

La Canestra di frutta di Caravaggio: storia e significato di un capolavoro

La storia misteriosa del quadro

Di notizie certe sull’origine e l’anno produzione della Canestra di frutta non ce ne sono. Sappiamo che nel 1607 era documentata come parte della collezione del Cardinale Federico Borromeo – committente e sostenitore di Caravaggio – e, di conseguenza, possiamo collocarne la realizzazione verso fine ‘500.Un quadro di lunghezza di un braccio, dove è dipinto un canestro di frutta, di mano di Michelangelo da Caravaggio” – questa la descrizione del proprietario, che gliela commissionò forse mentre si trovava a Roma, dove era anche il pittore a lavorare assieme all’amico Prospero Orsi. A sostenere ciò c’è il fatto l’opera sia stata fatta su una tela di riuso: sotto agli strati di colore gli studi radiografici rivelano una grottesca, tema che doveva essere la specialità del compagno, chiamato anche “Prosperino delle Grottesche”.

Caravaggio, Canestra di frutta, Pinacoteca Ambrosiana, Milano. ©Veneranda Biblioteca Ambrosiana - Mondadori Portfolio
Caravaggio, Canestra di frutta, Pinacoteca Ambrosiana, Milano. ©Veneranda Biblioteca Ambrosiana – Mondadori Portfolio

L’invenzione della natura morta tra Caravaggio e pittura fiamminga

Si raccontava inoltre che tanta era la “manifattura” del dipinto, che invano il Borromeo avesse tentato di trovare qualcos’altro che gli stesse bene accanto. Nulla lo raggiungeva in perfezione nella resa pittorica, malgrado fosse solo una natura morta. Questo genere, ai tempi, in Italia cominciava ad essere apprezzato dai collezionisti, sebbene fosse ancora difficile accettare che dei semplici oggetti facessero da soli protagonisti della composizione. In un’epoca in cui per secoli si erano apprezzate grandiose tele raffiguranti scene di storia e di mitologia, l’assenza umana era problematica. Frutta, fiori ed entità inanimate fungevano al massimo da decorazioni di contorno, mai da soggetti principali. Le eccezioni italiane erano rarissime – si pensi al Piatto di pesche del pittore lombardo Figino – e, laddove presenti, mancavano di realismo, risultando piuttosto in una perfezione stucchevole e ben poco naturale.

Nella sua rivoluzione del genere, Caravaggio si era forse ispirato alla pittura fiamminga, allora in circolazione nelle dimore degli aristocratici romani, che già aveva cominciato ad esplorare il genere. Ne sono un esempio – rimanendo nei confini della Pinacoteca Ambrosiana – le opere di Jan Brueghel il Vecchio. Trionfi di fiori colorati in vaso, gioielli e conchiglie, oppure un piccolissimo disegno di un topolino e di un bocciolo di rosa. Tutti esempi utili a comprendere gli immediati predecessori di Caravaggio, che se ne distaccano, però, per un aspetto: la perfezione assoluta. Nessuna foglia secca, nessun frutto ammaccato. Rappresentano il reale, ma non vanno oltre con il loro significato.

Il significato della Canestra di frutta di Caravaggio

Arriviamo dunque all’opera in sé: al canestro di vimini colmo di frutti settembrini, che spaziano dalle mele cotogne, alle pere, ai fichi dolcissimi. Agli acini di uva con il caratteristico aspetto polveroso della buccia. Attorno, un fondo giallino, che si deve immaginare fosse poi prolungato all’esterno sulle pareti della dimora del Cardinale, dipinte di pari tono. Immaginando l’opera poggiata al muro, ne doveva derivare un effetto ottico impressionante, quasi la canestra fosse vera. Già si è sottolineato più volte l’innovazione del Merisi nel preferire la naturale imperfezione alla bellezza assoluta. Il motivo di tale scelta è la volontà di esprimere la caducità della vita. Il passare del tempo, lento ma inesorabile. E la rivoluzione caravaggesca sta nell’aver scelto di veicolare un messaggio umano attraverso cose inanimate. Roberto Longhi, grande critico responsabile della riscoperta dell’autore, parlava di un “umile dramma biologico”. Non è dunque più necessario ricorrere al titanismo michelangiolesco per raccontare verità importanti. Vasi di fiori, frutti e divinità sono sullo stesso piano.

La Canestra di Armi di Jago

Dopo essere entrati nell’essenza dell’opera di Caravaggio – modello indiscusso da cui decine e decine di artisti hanno preso ispirazione – possiamo guardare con maggior consapevolezza alla Canestra realizzata da Jago. Lo scultore che ha fatto parlare di sé tutto il web si è accostato al capolavoro dell’Ambrosiana, pensando a come porlo in dialogo stretto con il presente.

La caducità indotta secondo Jago

Il marmo candido – materiale eterno e chiave fin dalle origini della storia dell’arte – si fa portatore di un messaggio vicino alla caducità della vita di Caravaggio. Ma con una nota di differenza, che lo aggiorna ai tempi attuali, in cui i conflitti bellici sono sempre più numerosi e distruttivi. L’effimero, oggi, è indotto dall’uomo stesso: è causato dalle nuove armi oltremodo violente. Queste ultime sono le protagoniste della composizione, in cui mele e fichi sono sostituiti da proiettili e fucili. Come il pittore curò nel dettaglio la resa dei particolari, la stessa perfezione lenticolare si ritrova anche qui. L’impatto fa impressione: è un’immagine cruda, ma sublime. La materia nobile e candida del marmo è impiegata per plasmare strumenti di violenza.
In fondo a questa contemplazione, sorge un’ultima riflessione. Il risultato a cui conducono gli armamenti è analogo alla fine preannunciata da Caravaggio nella sua Canestra; soltanto, i tempi potrebbero accorciarsi e per cause non naturali.

Emma Sedini

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Emma Sedini

Emma Sedini

Etrusca e milanese d'origine in parti uguali, vive e lavora tra Milano e Perugia. È laureata in economia e management per arte, cultura e comunicazione all'Università Bocconi, e lì frequenta tutt'ora il MS in Art Management. Nel frattempo, lavora in…

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