Beni culturali, gestione moderna e falsi miti. Ecco perché la valorizzazione non è una minaccia

Come si fa a rendere i musei luoghi accessibili e inclusivi? L’autonomia dei musei è un limite o una possibilità? Sta snaturando i luoghi della cultura?

In Italia, ogni discussione sulla gestione del patrimonio culturale sembra destinata a dividersi tra due fronti inconciliabili: da un lato chi propone innovazione, efficienza e apertura al pubblico, dall’altro chi difende un modello statico, ancorato a un’idea museale novecentesca, più chiusa che inclusiva. Di recente, si sono nuovamente levate voci che accusano i cambiamenti degli ultimi anni – in particolare l’autonomia dei musei, la maggiore attenzione alla valorizzazione economica, l’apertura al pubblico diffusa – di snaturare la missione culturale dei nostri istituti. È utile allora mettere ordine tra i concetti e smontare alcune tesi che resistono più per ideologia che per evidenza.

L’autonomia dei musei non svuota la tutela, la rafforza

Si sostiene che dare autonomia gestionale ai musei abbia compromesso la funzione pubblica della tutela. In realtà, l’autonomia – se ben regolata – ha permesso a molte strutture di uscire da logiche centralistiche e lente, accelerando restauri, programmi scientifici, e progetti di ricerca. La separazione funzionale tra tutela e valorizzazione non significa contrapposizione: un museo che gestisce bene le proprie risorse ha più strumenti per conservare, restaurare e raccontare il proprio patrimonio.

Valorizzare non significa mercificare

C’è chi teme che puntare su introiti, visibilità e marketing culturale significhi ridurre l’arte a prodotto. Ma valorizzare non vuol dire svendere. Significa rendere accessibile, conosciuto, frequentato un bene culturale. Se una mostra attira visitatori, se un sito archeologico organizza eventi serali, se un museo apre un bookshop o una caffetteria ben progettata, non tradisce la sua missione: la rafforza, perché crea un’esperienza più ricca, sostenibile e inclusiva.
L’aumento dei visitatori non è un problema, è un risultato
Tra le critiche più ricorrenti, vi è quella secondo cui l’obiettivo di aumentare il pubblico si tradurrebbe in eventi-spettacolo, code chilometriche e musei ridotti a luna park. Certo, la gestione dei flussi è una sfida seria, ma la crescita dei visitatori è una notizia positiva, non una colpa. L’alternativa non è tra musei “affollati” e musei “autentici”, ma tra luoghi vissuti e luoghi dimenticati. E la vera elitarietà sta nel voler mantenere i musei vuoti e silenziosi, riservati a pochi “intenditori”.

Gallerie degli Uffizi, Firenze. Photo Fotofojanini : iStock
Gallerie degli Uffizi, Firenze. Photo Fotofojanini : iStock

I grandi attrattori non impoveriscono il sistema, lo trainano

L’idea che promuovere musei famosi (come gli Uffizi o Pompei) danneggi i siti minori è fallace. L’esperienza dimostra il contrario: chi visita un “grande” museo spesso viene poi orientato verso realtà meno note, soprattutto se la rete museale è ben integrata e le politiche territoriali sono coordinate. Inoltre, i ricavi dei grandi attrattori possono – e dovrebbero – sostenere anche istituti meno frequentati, in una logica di sistema.

Le iniziative popolari non sono nemiche della qualità

Le aperture gratuite, le notti al museo, le domeniche gratuite sono spesso accusate di essere iniziative “populiste” e caotiche. In verità, hanno ampliato il pubblico e riavvicinato fasce di popolazione altrimenti escluse. Il problema, semmai, è come gestirle: serve personale, programmazione, strumenti digitali. Ma cancellarle per ideologia significherebbe rinunciare a una delle missioni fondamentali dei musei pubblici: essere luoghi di partecipazione e cittadinanza.
Il cambiamento non è il problema, è la soluzione
Infine, c’è una nostalgia diffusa per un passato idealizzato in cui i musei erano “luoghi sacri” del sapere, protetti dal rumore del mondo. Ma la cultura, oggi più che mai, deve essere aperta, dinamica, inclusiva. I musei non sono cattedrali nel deserto: sono spazi vivi, dove si produce sapere, si stimola senso critico, si costruisce identità collettiva. Rifiutare ogni evoluzione in nome della “purezza” culturale è il vero rischio di snaturamento.
In conclusione. Non serve scegliere tra tutela e valorizzazione, tra profondità culturale e apertura al pubblico. Un sistema museale moderno sa coniugare qualità e accessibilità, rigore e innovazione, gestione sostenibile e funzione educativa. Smettiamola di contrapporre ideologicamente ciò che, nella realtà, può – e deve – convivere. La cultura non solo si mangia: nutre, include e fa crescere.

Angelo Argento

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Angelo Argento

Angelo Argento

Avvocato patrocinante in cassazione e dinanzi alle giurisdizioni superiori. Docente di Legislazione dei Beni Culturali presso l'Accademia Nazionale di Belle Arti di Brera. Presidente di Cultura Italiae, associazione riconosciuta quale ONG UNESCO.

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