La moda alla Biennale di Venezia: vince la sperimentazione artigianale dell’artista couturier

Mentre ancora ci interroghiamo sulla presenza così determinante dei grandi nomi della moda a Venezia, la Biennale Arte ci “spiega” nel miglior modo immaginabile qual è il rapporto tra queste due forme creative.

Parliamo di quella moda che, come Fendi, sponsorizza uno dei migliori padiglioni italiani mai visti. O della Fondazione Prada che ospita “The Boat is Leaking. The Captain Lied”, una mostra indimenticabile, un’opera corale e transmediale che risponde agli entusiasmi per la grande favola di Damien Hirst con la dimostrazione, coltissima e politica, della vittoria della ricostruzione metaforica su quella puramente onirica. Una moda che ha sempre generato preconcetti, vista come estrema aberrazione di un sistema capitalista, un fenomeno che sta tra consumo e arte e che, spesso, si serve dell’artista per trasferire significati culturali a beni di consumo. Una moda che ha fatto un evento dopo l’altro: dalla cena di apertura di Fendi a quella di Pinault del giorno dopo e poi Louis Vuitton, Bulgari e altri brand che hanno attirato tanti di quei personaggi da consacrare definitivamente la Biennale Arte come l’evento più glamour non solo italiano.

I VIP IN LAGUNA, TRA TACCHI 12 E ANSIA DA EVENTO

Così abbiamo incrociato Peter Marino o Courtney Love, abbiamo visto Tim Blanks, uno dei giornalisti fashion più importanti del mondo, passeggiare con la copia di Artribune sotto il braccio, ma soprattutto l’unione delle parti ha generato un mix di stile affascinante. Un dress-code con tanti particolari da artista: dal cappello di Joseph Kosuth al trench corto e stretto in vita di Jan Fabre, al minimalismo chic dei curatori fino alla mascolinità dei collezionisti russi accompagnati da sventole che con tacchi di 12 cm camminavano agili sulla ghiaia dell’Arsenale.
Le persone in fila il primo giorno ai Giardini erano performative tanto quanto gli spettatori di Anne Imhof al padiglione vincitore tedesco: gruppi riconoscibili, perché un po’ seccati, di veri frequentatori dell’arte contemporanea tra giovani e vecchi dall’aria dandy che si davano continuamente appuntamenti per gli eventi… un altro tipo di ansia del nostro tempo. Ma la risposta ai dubbi su questa convivenza tra arte e moda la dà la Biennale stessa con i suoi riferimenti espliciti al laboratorio dove si crea l’inclusione, dove la concretizzazione del rapporto con l’altro avviene condividendo tecniche artistiche e artigianali.

LA BIENNALE ARTIGIANALE E FRANZ ERHARD IL COUTOURIER

Fili e tessuti reinventano trame nuove, gli spazi sono griglie e telai su cui l’artista incrocia nuove fibre, nuovi materiali e storie di altre vite. La trama è anche quella del racconto, della testimonianza e dell’ascolto che porta alla comprensione e all’accoglienza. Sintesi finale perfetta è il premio a Franz Erhard Walther, l’artista tedesco nato nel 1939 inventore di un genere concettuale che ci porta a definirlo un “couturier del terzo tipo”. Le sue opere sono “abiti” che impongono allo spettatore una esperienza inedita per il corpo e per lo sguardo, portano ad entrare nell’opera stessa a farne parte quasi biologicamente. È difficile descrivere il suo ambito artistico, la sintassi usuale non basta: pittura o scultura, couture e collage. Disegni come modelli da far cucire alle sarte per creare un lavoro che si ispira tanto alle performance americane, che conosce nella sua permanenza a New York tra gli anni ’60 e ’70, quanto alla ricerca sartoriale su materiali e forme. Il suo universo artistico è popolato da elementi che rimandano a quello di un grande sarto: sperimentazione sulla rigidità e la morbidezza di lane, cotoni e lini, ricerca dei toni cromatici, per accompagnare il movimento e cercare l’armonia del primo luogo dove entriamo. Un visionario che cerca di rappresentare le proprie ossessioni in una zona di confine quasi invisibile, tra arte e moda, dove vive a fianco di Issey Miyake che con il suo poc peace of cloth astrae la funzione dell’abito dall’uso comune. Le sue opere sono fatte per infilarcisi dentro in qualche modo, grazie ad una sapiente mistura di curiosità e di personalità, di talento, di pudore e sense of humor: una inesplicabile alchimia che fonde l’artista e l’artigiano in qualcosa che è inequivocabilmente arte. Un universo nuovo trans-sensoriale che Walther rende visibile forte del suo credo “To see is to feel” e che, oggi, gli vale il Leone d’Oro per il migliore artista della Mostra “Viva Arte Viva”.

-Clara Tosi Pamphili

www.labiennale.org

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Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili si laurea in Architettura a Roma nel 1987 con Giorgio Muratore con una tesi in Storia delle Arti Industriali. Storica della moda e del costume, ha curato mostre italiane e internazionali, cataloghi e pubblicazioni. Ideatrice e curatrice…

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