Musei e comunità. Intervista a Nancy Proctor

Parola a una delle massime esperte internazionali nello studio di strategie atte a rendere accessibile il patrimonio culturale attraverso l’innovazione. L’abbiamo incontrata a Palazzo Litta, a Milano, in occasione dell’evento organizzato da Meet the Media Guru.

Nancy Proctor è la fondatrice della MuseWeb Foundation, nata allo scopo di accrescere l’impatto, la sostenibilità, l’accessibilità del patrimonio culturale grazie all’innovazione. Con una freschissima nomina a direttore del Peale Center of Baltimore, è stata ospite di un evento a lei dedicato e organizzato da Meet the Media Guru, a Palazzo Litta.
L’oggetto della presentazione della Proctor è Behere, una piattaforma creata nell’ottica dell’audience development in risposta al momento di crisi dei musei contemporanei.
La nascita del progetto Behere è legata al programma Museum in Main Street, una lungimirante iniziativa dello Smithsonian, nata più di vent’anni fa e ancora molto poco conosciuta rispetto al suo radicalismo e alla sua portata nella pratica museale. Si tratta di un metodo per creare mostre destinate a piccoli Paesi degli Stati Uniti, con meno di 10.000 abitanti; è una sorta di “template”, come un modello franchising, che trae origine da un tema legato alle collezioni dello Smithsonian. La mostra arriva in loco non ancora completata, e lo è solo quando la comunità ha aggiunto i propri contenuti e significati, attraverso storie, immagini, oggetti.
Insomma, è una pratica che consente di co-creare una mostra includendo il contributo della comunità locale. Le testimonianze raccolte dalla comunità entrano a far parte dell’archivio della mostra, così come le conversazioni a riguardo. Il portato di queste pratiche è ciò che Nancy Proctor definisce “capacity building”, costruzione di competenze, che spiega citando parola per parola la definizione di museo di Icom: la comunità impara come si possa raccogliere, conservare, interpretare e tramandare i propri valori culturali alle generazioni successive. È un modello che può funzionare anche su comunità periferiche e molto piccole (lo stanno adottando in Alabama e Minnesota).

Nancy Proctor a Meet the Media Guru, Palazzo Litta, Milano 2017

Nancy Proctor a Meet the Media Guru, Palazzo Litta, Milano 2017

OLTRE L’ÉLITE

Di fatto l’obiettivo del programma è l’inclusione di alcune voci, che non sono mai accolte o ascoltate dalle élite culturali. “It’s time for us to listen better”, sollecita Nancy. I musei sono in crisi perché hanno perso la capacità di essere determinanti – “relevant”, una parola chiave in questo ultimo anno per i musei – su audience diverse da quelle raccontate e rappresentate nei discorsi culturali dominanti.
I musei italiani sono molto capaci nel raccogliere e conservare, non altrettanto nel mettersi in relazione; non riescono a parlare ai pubblici che non conoscono e che quindi non frequentano i musei: è un compito più ampio del solo conservare”.
Behere è un microfono aperto verso la comunità; uno strumento che funziona sulla base della geolocalizzazione. Il legame con la comunità apre a possibilità più ampie anche riguardo alla sostenibilità, come non manca di sottolineare Nancy. “Siamo identificati per ciò che acquistiamo: se invece provassimo a definirci in base a quanto partecipiamo e apparteniamo a una comunità?”.
Nancy è da sempre una sostenitrice del mobile, e della pratica del BYOD; anche oggi sottolinea che lo smartphone non è uno strumento per rispondere alle chiamate, ma un potente mezzo di interazione.

Credi che la perdita di importanza dei musei, da te evidenziata, sia connessa alla scarsità di storie raccontate o, invece, ai modi di raccontarle?
Preferisco la parola “voci” a “storie”, le storie sono raccontate dalle persone; quando noi ci limitiamo a sentire solo poche persone, limitiamo molto, di conseguenza, lo spettro e il tipo di storie che possiamo sentire.

Nancy Proctor a Meet the Media Guru, Palazzo Litta, Milano 2017

Nancy Proctor a Meet the Media Guru, Palazzo Litta, Milano 2017

Quanto la crisi dei musei è legata alla resistenza delle istituzioni al cambiamento?
Da un lato molto, dall’altro però credo ci sia una sorta di feticizzazione a riguardo; oscilliamo fra questi due poli. Vi riporto la mia esperienza. Quando ho cominciato a lavorare con il Peal, ho parlato con il presidente cercando di essere chiara; avevo bisogno di essere sicura che fossero consapevoli che le mie idee riguardo a come condurre un museo sono quantomeno… inusuali. Mi è stato risposto che le idee tradizionali le avevano già sperimentate e non avevano portato molto lontano. Abbiamo passato gli ultimi mesi cercando di conoscerci a vicenda e io cercando di assicurami che fossero pronti ad allontanarsi, con me, dalle pratiche più tradizionali. Naturalmente, mi preme dirlo, riconosco il grande e importante lavoro dei musei nel conservare il patrimonio per le generazioni successive; ma dobbiamo continuare a crescere per assolvere al nostro debito con la cultura contemporanea, che è divenuta radicalmente diversa dopo l’avvento di Internet.

I musei stanno rispecchiando la complessità odierna?
Siamo, mi pare, nella società capitalistica, capaci di riservare spazi molto limitati alla “differenza”; in realtà nei musei la giornata al mese dedicata agli immigrati, al linguaggio dei segni o altro è solo un modo per contenere il potere dirompente del cambiamento, e proteggere lo status quo.

Questo tipo di contenuto partecipativo, dal basso, è privo di controllo curatoriale?
Si tratta di co-creazione, e questo non significa che i contenuti siano senza controllo da parte dei curatori. Sono i curatori a selezionare un tema e progettare la mostra; il punto è che la mostra non è conclusa fino a che non abbia contribuito anche la comunità locale. È quest’ultima a essere determinante nella fase conclusiva; si tratta del frutto di una conversazione, di una relazione fra gli esperti e la comunità, che in ogni caso ha una bagaglio di sue proprie conoscenze. È questa la co-creazione.
Il portato di questa pratica condivisa è quello di insegnare un saper fare con gli strumenti del XXI secolo. Ciò che l’esperienza di Museum Main street insegna è che le persone sanno come raccontare le storie, ma non hanno idea di quale piattaforma utilizzare per condividerle o tracciarne i dati.

Maria Elena Colombo

https://www.museweb.us
https://www.meetthemediaguru.org/

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