Nella trama del Furioso. A Ferrara

Palazzo dei Diamanti, Ferrara – fino al 29 gennaio 2017. La mostra si apre con un libro, l’“Orlando innamorato” del Boiardo, e si chiude con un altro libro, il “Don Chisciotte” di Cervantes. Tra i due, si dispiega il mondo, reale e fantastico, di Ludovico Ariosto, autore di quell’“Orlando furioso” la cui prima edizione compie 500 anni.

Un ambiente complesso, quello della corte estense, ricco di stimoli e suggestioni, intriso di una cultura che affonda le radici nella classicità e nel Medioevo di Carlo Magno. La mostra allestita a Palazzo dei Diamanti di Ferrara permette di immergersi pienamente, con un allestimento rigoroso e che a tratti incanta – soprattutto se ci si lascia condurre, grazie alla notevolissima audioguida, dalla narrazione di Guido Beltramini – nell’immaginario visivo di Ludovico Ariosto – quando, mentre componeva, chiudeva gli occhi –, che si integra con il contesto storico della Ferrara cinquecentesca.

DALLE ORIGINI ALLE VISIONI FANTASTICHE

Paolo Uccello, San Giorgio e il drago, 1440 ca., Tempera su tavola, Parigi, Musée Jacquemart-André, Institut de France

Paolo Uccello, San Giorgio e il drago, 1440 ca., Tempera su tavola, Parigi, Musée Jacquemart-André, Institut de France

In principio fu il Boiardo, perché l’opera di Ariosto comincia dove finisce quella del predecessore, ma all’antica edizione sono accostati un labirinto e un bivio: parole chiave del Furioso, perché il primo è la selva dove i protagonisti si perdono e il secondo è la scelta, concreta e morale, da compiere a ogni passo. Ma, risalendo la corrente della poesia, ecco comparire l’olifante di Orlando, che ci fa precipitare a Roncisvalle, nel pieno della turbinosa battaglia tra Franchi e Saraceni del 778 la quale, anch’essa narrata in versi, si è tramandata nei secoli.
Tra un capolavoro e l’altro – parliamo di opere di Leonardo da Vinci, Pollaiolo, Pisanello, Botticelli, Dosso Dossi, Mantegna, Giorgione, giusto per citare solo alcune delle star riunite per onorare il poema –, le intelligenti sezioni fanno toccare con mano la raffinatezza e la sete di cultura della corte degli Este, fanno scoprire i cavalieri, in armatura luccicante o in lotta contro il drago, come fu San Giorgio. Maghi, incantesimi e fate popolano i versi di Ariosto, che li conosceva attraverso la letteratura coeva e antica e che riuscì a combinarli con le altrettanto meravigliose scoperte geografiche capaci di sconvolgere la visione del mondo.
Una grande luna – in realtà il globo dell’Obelisco vaticano – domina la sala dedicata al desiderio e alla follia: il senno di Orlando finisce sull’astro, perché lì non vi è pazzia, mentre la maga Melissa di Dosso Dossi testimonia già nel 1518 l’incredibile fortuna che guadagnò il Furioso, “bello tutto et in di molti luoghi mirabile”, come scrisse Machiavelli.

L’ULTIMA EDIZIONE

Ludovico Ariosto, Orlando furioso, Ferrara, Giovanni Mazzocchi, 22 aprile 1516. 4°, Londra, The British Library

Ludovico Ariosto, Orlando furioso, Ferrara, Giovanni Mazzocchi, 22 aprile 1516. 4°, Londra, The British Library

Ariosto, anche negli anni successivi alla pubblicazione, continuò a rielaborare il poema: è del 1532 la terza edizione, sensibilmente rimaneggiata e accresciuta, ma dal 1516 il mondo attorno al poeta era cambiato radicalmente. Il re di Francia Francesco I era stato sconfitto – la sua spada è in una di quelle teche che richiamano l’idea della foresta ariostesca –, segnando l’inizio dell’egemonia politica e culturale di Carlo V sulle corti padane. Su un altro versante, nelle arti figurative, si affermò un linguaggio di respiro non più regionale ma italiano, rappresentato da Raffaello e Michelangelo – di questo si mostra la copia di una scandalosa Leda e il cigno – ma anche da Tiziano Vecellio che, con il suo intensamente erotico Baccanale degli Andrii, decorò lo studiolo di Alfonso d’Este. “Il dipinto di Tiziano e il poema di Ariosto condividono lo stesso orizzonte sociale e culturale, gli stessi riferimenti letterari e figurativi, antichi e moderni. Caratterizzate da un linguaggio pienamente rinascimentale, capace di dare vita a un insieme narrativo unitario ma dinamico, queste opere sono emblematicamente rappresentative dell’invenzione di una nuova, moderna, classicità”.
Stessa capacità di assorbire le tradizioni ebbe Cervantes con il suo Don Chisciotte, che chiude il percorso: fu l’ultimo romanzo di cavalleria e segnò il termine di un’epoca indimenticabile, tra donne, cavallier, arme e amori.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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