Frigoriferi Milanesi. L’Africa del Cacciatore Bianco.150 opere di artisti africani

Durante la settimana di miart, a partire dal 31 marzo, negli spazi dei Frigoriferi Milanesi, verranno presentati oltre 30 artisti contemporanei e altrettanti artisti tradizionali per una mostra con più di 150 opere. Il titolo sarà Il Cacciatore Bianco/The White Hunter.

Il percorso espositivo si articola geograficamente in 15 nazioni diverse: Tunisia, Algeria, Mali, Senegal, Sierra Leone, Costa D’Avorio, Ghana, Benin, Nigeria, Camerun, Congo, Kenya, Mozambico, Madagascar, Sudafrica. Il concept è una analisi autocritica del ruolo dell’uomo bianco in Africa, a partire da quell’ombra gettata dalle prime statue africane sulle avanguardie europee del secolo scorso. Se dunque la mostra partirà dalla ricostruzione di una capanna di Pascale Marthine Tayou e verrà introdotta anche dallo stupefacente lungometraggio di Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, Pays Barbare (2013), non mancherà di approfondire snodi storici, per la conoscenza dell’arte africana in Europa, come la Biennale di Venezia del 1922.

Seydou Keïta, ritratto, fotografia in bianco e nero, Collezione Bifulco

Seydou Keïta, ritratto, fotografia in bianco e nero, Collezione Bifulco

ITALIA-AFRICA

La prima sezione, infatti, rappresenterà un’immersione nell’Italia coloniale degli anni ’20 e ’30, attraverso Peter Friedl che ripropone il modello di Carlo Enrico Rava per la fabbrica FIAT a Tripoli. Saranno presentate inoltre alcune rarità bibliofile e documenti: i libri di Francesco Tedesco Zammarano e di Carlo Piaggia, agli album fotografici sulla Libia e del Capitano Roberto di San Marzano. Oltre a Sammi Baloji, anche Kader Attia.
La seconda sezione ospiterà, quindi, opere di arte antica tradizionale con la ricostruzione della sala dedicate all’Arte Negra della Biennale di Venezia del 1922, agli albori del fascismo. Proponendo un nucleo di statue e maschere, provenienti dal Mali, dalla Costa d’Avorio, dal Camerun, dal Gabon e dal Congo. La terza sezione si porrà, invece, in dialogo diretto con la mostra, curata nel 1989 da Jean-Hubert Martin al Centre Pompidou di Parigi e intitolata Magiciens de La Terre, una serie di campioni di quell’arte che veniva presentata ancora una volta come incontaminata, primitiva, originaria. Gli esempi vanno dalle bellissime terrecotte di Seni Awa Camara ai feticci di legno e aghi d’istrice di John Goba, dalle divinità Vodun di Cyprien Tokoudagba alle architetture immaginifiche di Bodys Isek Kingelez e alle pitture popolari del congolese Chéri Samba.

DA KENTRIDGE A MESHAC GABA

Nella quarta sezione vengono messe in campo le risposte alla questione sudafricana di artisti come William Kentridge – con una pluralità di linguaggi tra cui l’installazione video History of the Main Complaint (1996) o la rielaborazione del tema del feticcio tradizionale in Twilight of the Idols di Kendell Geers o le cartografie di Moshekwa Langa. La quarta sezione continua con diverse pratiche di riappropriazione e di resistenza a forme di esclusione, egemonia e omologazione, con opere di Yinka Shonibare, Rashid Johnson, Ouattara Watts, Cameron Platter, gli arazzi di El Anatsui e Abdoulaye Konaté

-Ginevra Bria

 

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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