Carlo Bononi, maestro del Seicento. A Ferrara

Palazzo dei Diamanti, Ferrara ‒ fino al 7 gennaio 2018. Prima monografica italiana dedicata a uno dei più interessanti esponenti della pittura ferrarese del XVII secolo, nonché l’ultimo dei grandi artisti formatisi alla corte estense. Mantenne il contatto con la pittura manierista anche nel clima teatrale del Barocco.

Nonostante la grande fama di cui ha goduto in vita e la stima di numerosi colleghi a lui contemporanei, Carlo Bononi (Ferrara, 1569-1632) è oggi misconosciuto al grande pubblico, e noto soltanto a pochi studiosi. Un oblio paradossale, se si considerano le tante sue opere presenti ancora oggi in altrettante chiese ferraresi e della Bassa Padana. Fu un artista originale, esponente assai atipico della pittura barocca, non cedendo alle suggestioni scenografiche che il genere richiedeva, bensì restando ancorato alla dimensione umana dei soggetti, senza indulgere nell’agiografia.
Della formazione come allievo del Bastarolo (Giuseppe Mazzuoli), suo concittadino, conservò in maniera particolare la tavolozza dai caldi colori e dai forti contrasti luminosi, che allontanò la sua opera dalla plumbea atmosfera del “lume di candela”, tipica di molta pittura seicentesca. Inoltre, fedele alla maniera della scuola ferrarese, i suoi dipinti riservano solitamente ampio spazio al paesaggio, che alleggerisce l’irenismo caro al Barocco, del quale fu un interprete sui generis, così come Marcello Fogolino lo era stato del Rinascimento, capace di fondere tradizione e innovazione, la lezione del passato e la maniera moderna.

Carlo Bononi, Genio delle Arti, 1620. Collezione Lauro

Carlo Bononi, Genio delle Arti, 1620. Collezione Lauro

LA VENA NATURALISTA

In un’epoca in cui, mancando un ceto borghese, le committenze provenivano o dalle corti o dalla Chiesa, Bononi godeva della stima dell’Ordine dei Canonici Lateranensi, i quali lo sostennero lungo tutta la sua carriera (cui si aggiunse, nell’ultima fase, la casata estense), anche se la prima opera pubblica a Ferrara fu il San Carlo Borromeo (1611), voluto dai Ministri degli Infermi. Nella sua fase giovanile, agli inizi del secolo, Bononi guardò molto anche a maestri veneti quali Tintoretto e Palma il Giovane, la cui lezione è riconoscibile in quegli atteggiamenti che trasudano emotiva vitalità e nel gioco delle ombre che sfiorano i volti delle figure umane. Da questi riprese anche la leggerezza della pennellata, che appare quasi liquida.
Un soggiorno a Roma fra il 1617 e il 1619 gli fu utile per conoscere il naturalismo caravaggesco; con la differenza, però, che i corpi di Bononi non possiedono l’ambigua sensualità del Merisi, bensì rimandano a quella tenerezza di atteggiamenti e pose che aveva caratterizzato Correggio. Da lui il ferrarese mutuò anche il chiaroscuro morbido e delicato assai diverso da quello teatrale di Caravaggio. Nell’Urbe Bononi si accostò a quella soggettistica profana che in patria aveva quasi ignorato, e il Genio delle Arti (1620) è l’esempio più fulgido di questa frequentazione. La pittura di Bononi si caratterizza per varietà e vivacità di temi, e nella plumbea Italia d’inizio Seicento spicca per una vitalità che nell’arte italiana probabilmente si ripeterà soltanto con Giambattista Tiepolo.
L’accostamento, in mostra, con opere di contemporanei quali Ludovico Carracci, Guido Reni, lo Scarsellino, contestualizza e circoscrive insieme il particolare stile pittorico di Bononi, cantore di un’Italia che, seppur ridotta a colonia spagnola, cerca di mostrare una sua vitalità, se non proprio una sua dignità.

Carlo Bononi, Noli me tangere, 1608-14 ca. Collezione privata

Carlo Bononi, Noli me tangere, 1608-14 ca. Collezione privata

LA PERSONALE LETTURA DELLA CONTRORIFORMA

Al clima della Controriforma non era dato modo di sottrarsi, e anche Bononi fu costretto a seguirne i dettami. Ma lo fece soltanto in parte, mancando nelle sue tele il plumbeo accademismo di Carlo Dolci e la “lussuria” del martirio che brilla nelle tele di Caravaggio. Si ritrova però un’adesione ai canoni controriformati del “docere, delectare et movere”, ovvero insegnare, dilettare e coinvolgere emotivamente. Su questi presupposti, il naturalismo entra nella sfera del sacro mantenendo una grazia tardorinascimentale, e tuttavia riesce a costruire quella teatralità emotiva necessaria a ribadire i dogmi della Chiesa Romana, in un periodo in cui in Italia, vale la pena ricordarlo, l’arte era uno strumento esclusivamente politico. In un altro Paese, o in un’altra epoca, probabilmente Bononi avrebbe utilizzato il suo talento per opere di marcato carattere civile. In Italia poté soltanto evitare quella piaggeria con cui solitamente ci si rapportava al potere.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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