Si può insegnare l’arte? Parlano i docenti artisti (I)

Da Milano a Foggia, da Bergamo a Palermo abbiamo chiesto agli artisti-docenti se si può insegnare l’arte contemporanea. Come si fa a creare un artista autonomo? Come si può costruire una formazione per e sull’arte? Si può essere artisti e allo stesso tempo docenti? Dieci protagonisti di questo ambito (e non solo) ci hanno detto la loro.

EVA FRAPICCINI
ACCADEMIA DI BELLE ARTI – BOLOGNA
IED – TORINO

Prima di insegnare qualsiasi cosa, che siano tecniche o esperienze, chiedo agli studenti che cosa loro stanno cercando nel mio corso, e nell’istituzione che hanno scelto, e in base alle risposte capisco come aiutarli. Per chi come me non ha avuto una formazione accademica, è stato necessario strutturare un percorso di apprendimento fatto di informazioni, esempi pratici e metodi per stimolare la crescita della consapevolezza negli studenti. Non a caso trovano utile sapere che ci sono delle condizioni che possono rifiutare o accettare, sapere come si finanzia un museo, come funzionano le residenze, ma so che il resto lo farà il carattere e l’esperienza.
È difficile rispondere sugli obiettivi, perché c’è sicuramente la necessità di lasciar loro sia una serie di nozioni di base, sia un metodo che possano mettere in piedi da soli, secondo i loro parametri di gusto ed espressione; d’altra parte, l’obiettivo cambia da persona a persona, quindi lavoro su ciascuno. In realtà, nella mia esperienza di docente ho visto una grande urgenza e autonomia creativa, maggiore che nei colleghi inglesi dell’UAL di Londra e al Fine Art di Leeds. Quello che manca è la capacità di pensarsi in piedi “là fuori”, di vedere un percorso lavorativo.

Alessandro Bazan

Alessandro Bazan

ALESSANDRO BAZAN
ACCADEMIA DI BELLE ARTI – PALERMO

Non ho mai creduto nell’efficacia di una didattica teorica per quanto riguarda l’arte. Ho sempre lavorato sul condividere uno studio e, in esso, fare direttamente esperienza con gli studenti, insomma attraversare le cose insieme a loro, aiutandoci a riconoscere l’artisticità laddove ci fosse. Fare un laboratorio è il miglior modo di tentare la cosiddetta didattica dell’arte.
Seguo molto le vocazioni individuali cercando, il più possibile, di annullare il mio giudizio. Questa è la parte più difficile per molti di quelli che insegnano, scomparire, altrimenti è facile creare dei cloni e questo non funziona, mai. Poi a fine corso bisogna abbandonarli affinché possano raggiungere una piena consapevolezza e autonomia artistica.

Roberta Fanti

Roberta Fanti

ROBERTA FANTI
ACCADEMIA ALBERTINA – TORINO

Non ci sono regole per formare artisti, ogni docente credo abbia un percorso personale in tal senso. Il mio atteggiamento e metodo è quello di molti miei professori all’Accademia e al Liceo Artistico. Docenti che sono stati fondamentali per la mia crescita come artista, che mi hanno dato le basi per cominciare, sempre con un grande rispetto per la mia personalità, per il mio modo di vedere ed esprimermi, senza imporre una propria visione personale dell’arte o mettendosi loro come principale figura di riferimento artistico.
Il mio intento è sempre stato quello di dare le nozioni di base principali a tutti, come riferimenti a ricerche artistiche storiche e contemporanee nell’ambito del “corpo” per quello che riguarda Anatomia e tecnico/artistiche per quello che riguarda Computer Graphic, lasciando ogni allievo libero di elaborare le informazioni. Successivamente, seguirli personalmente, una volta intrapreso un proprio percorso individuale, suggerendo eventuali punti di riferimento artistici mirati e aiutandoli dal punto di vista formale.

Massimo Mazzone

Massimo Mazzone

MASSIMO MAZZONE
ACCADEMIA DI BRERA – MILANO

Si insegna con l’apertura mentale, con la molteplicità dei punti di vista e delle metodologie; la ricerca nelle arti non va d’accordo col pensiero unico né con l’utile. Ciascuno insegna ciò che conosce con la metodologia che predilige. Personalmente sono nel solco di una tradizione italiana consolidata, quella di autori di molti scritti e riflessioni su arte e didattica dell’arte, come Munari, Maldonado, Novelli, La Pietra, Carrino, Lombardo, Fabro. Pratico e insegno la Scultura Costruita, quella Scultura Moderna né scolpita né modellata, analitica, geometrica, processuale, astratta e formalista, lontana anni luce dalla lugubre eredità della statuaria da monumento quanto dalle accademiche installazioni per il white box; anche se risento nella mia formazione, e quindi nella didattica, dell’eredità del metodo paranoico critico di Salvador Dalí, per aspetti subliminali.
Su arte e didattica esistono anche altri contributi significativi come quelli di Muntadas o Acconci. Rispetto a Brera come scuola, credo che il successo risieda proprio nella pluralità di voci presenti: penso a quanto han fatto a suo tempo Paolo Rosa o Caronia, o Alberto Garutti, o a quanto fanno oggi Nicoletta Braga, Loredana Putignani, Roberto Galeotti, Mauro Folci…

Sergia Avveduti

Sergia Avveduti

SERGIA AVVEDUTI
ACCADEMIA DI BELLE ARTI – BOLOGNA

Il laboratorio di tecniche espressive integrate che coordino, nel corso di Didattica dell’arte e Mediazione culturale del patrimonio artistico, è una sorta di “habitat relazionale” dove poter ridefinire una cultura comune. Propongo esperienze di coesistenza tra frammenti visivi e materiali dissonanti tra loro che possono circoscrivere una nuova vibrazione priva di definizione univoca. Si sperimenta una pratica multiforme che comprende l’uso di linguaggi diversi in continua commistione, tra sperimentazione tecnica e memoria delle cose, della storia e dell’antico.
Una riflessione sull’abbondanza d’informazione che caratterizza la cultura contemporanea s’innesta sull’uso di metodologie che esaltano il valore dell’errore e disegnano un personale senso di realtà che supera l’apparenza del visibile, proponendo una lentezza dello sguardo che è spessore di pensiero. L’obiettivo è intensificare e prolungare il momento tra la percezione, in senso puramente fisico, e la conoscenza come processo che ci porta alla comprensione intellettuale.

Francesco Jodice

Francesco Jodice

FRANCESCO JODICE
NABA – MILANO

La mia è una condizione anomala: non ho studi specifici alle spalle eppure insegno in tre diverse accademie, sono una sorta di “serial teacher” senza un diploma o una laurea artistica, tutto sommato sono un millantatore. Trovo che l’espressione “artista autonomo” suoni come una cacofonica tautologia: se un artista non è autonomo è più probabilmente un decoratore o, peggio, un creativo. Credo si debba piuttosto parlare di formazione autonoma, un artista dovrebbe concedersi quotidianamente il lusso e il dovere del deragliamento. Ogni scelta, ogni pensiero, ogni incrocio, ogni osservazione dovrebbe presentarsi come una favolosa opportunità per sbagliare strada, per provare qualcosa di diverso, per operare ogni giorno delle verifiche sulla fenomenologia del reale. Credo che la formazione di un vero artista assomigli molto alle passeggiate rabdomantiche del protagonista de Il giovane Holden, tanto nello spazio fisico della città quanto nei luoghi letterari, artistici, internettiani e onirici. Insomma, come diceva Palazzeschi nella sua famosa poesia: “Lasciatemi divertire!”.
Il percorso che cerco di porre ai miei studenti più qualificati, ad esempio quelli del Master di Arti Visive e Studi Curatoriali della NABA di Milano, propone la costruzione di una personale macchina ludica della conoscenza, l’invenzione di un proprio paradigma che metta a sistema ogni informazione, ogni immagine, ogni fenomeno per poi ruminare tutto questo bolo in mosaici del sapere non dissimili da quello descritto da Pasolini nel suo famoso editoriale “Io so”.

Riccardo Benassi

Riccardo Benassi

RICCARDO BENASSI
ACCADEMIA CARRARA – BERGAMO

Ho creduto – e consiglio di credere – che sia possibile imparare da una frase scritta su un libro tanto quanto da una frase scritta su un muro. Credo sia necessario sapere cosa è avvenuto prima di noi e discuterne, in modo che, se per caso qualcuno si è dimenticato o ha sottovalutato qualcosa che invece oggi ci sembra importante, ci possiamo dare noi da fare al riguardo per eventualmente colmare quel vuoto. A volte si tratta di apportare upgrade soggettivi a idee collettive, altre volte si tratta di identificare la minoranza a cui si appartiene al fine di incontrare nuove persone che ci somigliano ed espanderla per renderla rilevante. Quando parlo di Storia dell’Arte non mi riferisco esclusivamente alle opere: quello che mi interessa è il ruolo dell’artista all’interno della società, ed è quello su cui mi concentro con gli studenti. Coltivo motivazioni.
L’obiettivo è che ognuno di loro identifichi il proprio ruolo all’interno della società, ovviamente implementando la flessibilità e la tenacia necessarie a un lungo percorso (parafrasando un caro amico, potrei dire che cerco di farmi così sottile da poter diventare un soffio di vento per le vele delle loro barche). Ne consegue il fatto che – benché sia evidente che teoria e pratica si nutrono a vicenda – dal mio punto di vista il “come” si fa qualcosa ha un valore secondario rispetto al “perché”. Questo fattore assume estrema importanza se visto dalla prospettiva della fenomenologia delle interfacce tecnologiche. Credo che questa, nella società dei web tutorial, sia la sfida della formazione, non solo artistica.

Pietro Di Terlizzi

Pietro Di Terlizzi

PIETRO DI TERLIZZI
ACCADEMIA DI BELLE ARTI – FOGGIA

Difficile rispondere a questa domanda: molti non ci credono, e si comportano da perfetti incendiari, detestando con tutta la loro forza i luoghi o coloro che si sforzano d’insegnare l’arte. Per quello che riguarda la mia esperienza, rispondendo in maniera più matura e da pompiere, posso solo dire che si può “insegnare e sensibilizzare al gusto”, nei posti dove s’insegna l’arte.
Dopotutto, come in qualsiasi professione che si rispetti, c’è sempre l’esigenza di preparare e formare al lavoro, con tutto quello che questo comporta, c’è solo l’esigenza di avere un orizzonte di conoscenza meno ortodosso, ed esercitare l’impegno didattico in forma di dialogo, prevedendo nella formazione del proprio bagaglio un elemento essenziale, da non trascurare assolutamente, e cioè il “fallimento”, e la possibilità costante di mettere il proprio lavoro sempre in discussione. Oserei dire: nessun dogma.

Luigi Pagliarini - photo Marita Cosma

Luigi Pagliarini – photo Marita Cosma

LUIGI PAGLIARINI
ACCADEMIA DI BELLE ARTI – MACERATA

Nel rispondere, ci tengo a porre l’accento sull’ambiguità del concetto di “arte”, che racchiude al suo interno molteplici aspetti, espressioni e di conseguenza definizioni. L’ovvio effetto di tutto ciò è che insegnarla è un processo che va a comprendere diverse forme pedagogiche e altrettante metodologie. Credo. Detto ciò, nello specifico del mio insegnamento (i.e. cinque discipline di carattere psicologico), ciò che ritengo fondamentale per la formazione degli studenti è la crescita personologica degli stessi.
Per questo, al di là dell’ovvio progresso culturale che qualsiasi forma di studio viene a contenere, l’obiettivo principale delle mie docenze è la facilitazione della crescita dell’Io degli allievi. Fatto che, “per sé”, implica una visione del discente in una prospettiva umana che, concedimi il gioco di parole, porta diritti al raggiungimento di un Sé da cui inevitabilmente deriverà un’autonomia che, nel mio caso, è quasi “accidentalmente” anche quella artistica.

Yuri Ancarani - photo Maki Galimberti

Yuri Ancarani – photo Maki Galimberti

YURI ANCARANI
NABA – MILANO

Mi ricordo che da studente, al primo anno di corso, Gianni Colombo insegnava disegno geometrico. I primi esercizi erano disegni di prospettiva di un cubo, con matita, squadra e righello. Una noia mortale… Solo una volta terminati gli studi capii l’importanza di quegli esercizi. Essere un artista è una vocazione, ma si può costruire solo iniziando dalle fondamenta della tecnica. Nel mio corso cerco di seguire le stesse regole: insegno le basi della grammatica audiovisiva al primo anno, per lavorare sul come guardare al secondo. Creare un’opera audiovisiva è decisamente complesso e stressante, figuriamoci se abbiamo le mani bloccate perché non sappiamo come realizzarla tecnicamente o abbiamo indecisioni su dove posizionare la camera. Può bastare l’idea, ma nel mio caso vedo l’immagine in movimento più vicina alla pittura, fatta di ostinate e continue velature.
Dall’esatto momento in cui ti iscrivi all’Accademia sei un artista, o sicuramente vuoi essere trattato come tale. Ogni anno ho tre classi di venti studenti ciascuna, il che significa che ho a che fare con sessanta artisti all’anno. Non sono autonomi, questo è sicuro. La presunzione di sentirsi artisti è molto pericolosa, perché nella fase degli studi è fondamentale ricevere stimoli, non imporre i propri – come farebbe un artista autonomo. Sicuramente una caratteristica fondamentale per essere autonomi è l’essere riconoscibili; la scuola mette le basi per questo lento processo di formazione che continua nel tempo.

Santa Nastro

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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