Jeff Koons, Firenze e il martello calvinista. Parla Nicola Verlato

Perché il più importante artista americano, rigorosamente anticlassico, decide di esporre delle opere nella culla del Rinascimento? Banale desiderio di affermazione? Iconoclastia? Ecco gli spunti di una conversazione con Nicola Verlato sull’intervento di Jeff Koons in riva all’Arno.

La mostra di Koons ospitata in alcuni dei luoghi più noti di Firenze è un evento particolarmente significativo, visto il contesto in cui le sue opere sono collocate (e che potrebbero diventare permanenti) Probabilmente Koons è l’artista americano più importante dopo Warhol. Ne ha raccolto il testimone, sotto un certo profilo. Ma poi forse si è spinto più in là, in maniera più radicale.
Il suo lavoro si muove infatti in diverse direzioni, accomunate dalla ricerca del conseguimento di un obiettivo molto preciso. Nelle opere più note, quali per esempio le sculture dove ingrandisce/gonfia le immagini prodotte dalla cultura popolare americana, sembra voler mostrare come lo strumentario dell’arte contemporanea non sia in grado di attribuire ad esse alcun significato trascendente, nonostante queste, per la loro immensa diffusione, rappresentino una parte culturalmente profonda della società che le accumula.

A cosa ti riferisci?
Hulk ad esempio, nonostante cresca da figurina di plastica a dimensioni monumentali, rimane ciononostante un giocattolo, svelando la sua fragilità formale e simbolica nonostante lo sforzo, anche muscolare, esibito.

Koons, in maniera astuta, sembra quasi volerci suggerire come gli strumenti interpretativi che sono stati negoziati e successivamente utilizzati dal sistema dell’arte, in particolare l’ermeneutica post-duchampiana e post-postmoderna, non siano in grado di andare oltre le icone della cultura popular. È come se volesse sedurci proponendoci icone luccicanti che sono importanti solo perché icone, come non avesse senso leggerle altrimenti…
Si astiene dal proporre una metodologia interpretativa alternativa perché, proprio nel momento in cui applica il suo trattamento a quelle opere realizzate secondo le metodologie proprie dell’arte figurativa classica – che potrebbero dare senso anche alle icone pop e costituire una possibile alternativa all’estetica del ready made – succede qualcosa di molto interessante.

Pluto and Proserpina di Jeff Koons a Firenze

Pluto and Proserpina di Jeff Koons a Firenze

Cosa?
Nel Pluto and Proserpina e in Gazing Ball tutto l’intento di Koons sta nel rimuovere, con un’attentissima e sottilissima strategia, l’aura che costituisce l’attrattiva delle sculture originali. Nel Fauno Barberini pone sulla coscia della figura una sfera di colore scuro assolutamente riflettente e annulla tutta la gamma chiaroscurale della scultura ellenistica, trasformandola così in una macchia bianca e gessosa. Non solo qualsiasi relazione simbolica fra calco e sfera è stata accuratamente evitata, ma inoltre è stata scelta una collocazione che evidenzi l’impossibilità della scultura antica di interagire con l’oggetto geometrico e di trovare un nuovo significato.

Diabolicamente Koons potrebbe aver poi considerato che, nell’era dei social media, le immagini vengono immesse in Rete in tempo reale e immediatamente consumate. Se la quasi totalità delle immagini sono scattate con le fotocamere degli smartphone, la presenza della sfera blu sbilancia il tempo di esposizione verso un intervallo più lungo, producendo un ulteriore appiattimento dei valori chiaroscurali della statua, che diventa quasi una sagoma bianca.
Probabilmente in queste settimane il Fauno addormentato è più visibile su Google nella versione koonsiana, ridotto a un piedistallo bianco per la sua Gazing Ball, piuttosto che nell’ammorbante bellezza dell’originale. Nelle sue stesse parole comunque si trova il significato di quest’opera, che evidentemente vuole mostrare l’assoluta scarsa considerazione in cui è tenuta la rappresentazione della figura umana, e, di converso, il valore trascendente delle forme astratte: “I’ve thought about the gazing ball for decades. I’ve wanted to show the affirmation, generosity, sense of place, and joy of the senses that the gazing ball symbolizes. The Gazing Ball series is based in transcendence, the realization of one’s mortality is an abstract thought and from there, one is able to have a concept of the external world, one’s family, community, and a vaster dialogue with humankind beyond the present”. Discorso analogo può essere fatto anche per Pluto e Proserpina – che non deriva dal Bernini della Galleria Borghese, ma da una porcellana francese di tardo Settecento – in cui la statua riprodotta in metallo color oro lucidato a specchio produce una quantità tale di riflessi sulla superficie, causati sia dalla scultura che dal contesto, da annullarla completamente.

Il paradosso che Koons mette in scena è che la pretesa celebrazione di un capolavoro del passato diviene invece la sua disintegrazione.
Sia l’azione di gonfiare dimensionalmente le icone della cultura pop che quella di frantumazione del valore iconico dell’arte classica mirano infatti a dimostrare la medesima tesi: l’arte figurativa è ammissibile solamente quando si mostra incapace di esercitare alcun potere su colui che guarda.

Jeff Koons, Gazing Ball - photo Pietro Savorelli

Jeff Koons, Gazing Ball – photo Pietro Savorelli

Viene da pensare all’azione – portata avanti da Lutero, Zwingli o Calvino – di espulsione delle immagini dalla pratica religiosa. Contro ogni forma di adorazione/devozione iconica si voleva spingere il fedele alla lettura del testo, piuttosto che all’educazione mediata dall’esemplarità iconica. Modalità cui invece la cristianità cattolica è ricorsa con particolare forza nella Controriforma che ha alimentato il Barocco.
Il pensiero di Koons è ben più radicale e tagliente di quanto si possa immaginare, e testimonia quanto le radici culturali dell’America puritana siano cariche di un profondo sospetto verso le immagini ed il potere che possono avere. Molta della rilevanza della sua opera sta proprio nel mirare, attraverso la dimensione monumentale, alla demolizione del compito che all’arte è stato affidato per millenni: la produzione di idoli.

Perché invece Jeff Koons ha scelto Firenze? Che è città simbolo del Rinascimento, nonché, insieme a Roma, epicentro universalmente riconosciuto del recupero del mondo classico greco e romano, sia nel campo delle arti visive che dell’architettura?
Firenze è infatti il luogo principe di una identità culturale che è impossibile da ritrovare altrove: il recupero delle figure nude e monumentali, degli ordini classici, della prospettiva, è avvenuto qui nel contesto di un più generale recupero di fiducia nelle facoltà percettive e investigative dell’individuo. La rivoluzione riformista luterana e calvinista – anticipata dai roghi Savonaroliani – si scagliò proprio contro il recupero della classicità politeista, riaffermando con vigore la proibizione della creazione di immagini, così come enunciato nei comandamenti. Koons è figlio di questa sensibilità e solo in questa chiave si può riconoscere il valore profondo della sua opera collocata in Piazza della Signoria: con lui la supremazia culturale americana trova così un altro alfiere per la sua affermazione, il cui obbiettivo viene conseguito anche demolendo – dall’interno e con molta accuratezza – il valore culturale di altri paesi ed altre culture.

Daniele Capra

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Daniele Capra

Daniele Capra

Daniele Capra (1976) è curatore indipendente e militante, e giornalista. Ha curato oltre cento mostre in Italia, Francia, Repubblica Ceca, Belgio, Austria, Croazia, Albania, Germania e Israele. Ha collaborato con istituzioni quali Villa Manin a Codroipo, Reggia di Caserta, CAMeC…

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