Si chiama Pelanda dei Suini. Forse per questo viene gestita inanellando una serie di porcate? Storiaccia di uno spazio culturale romano potenzialmente interessante. Potenzialmente…

Probabilmente il grande insegnamento di questa storia, che ripercorreremo velocemente, è il seguente: smettiamola di aprire nuovi spazi espositivi e occupiamoci di far funzionare quelli già esistenti. La Pelanda dei Suini, nel recinto affascinante dell’ex Mattatoio di Testaccio a Roma, è un nuovo spazio espositivo, creativo, culturale nato all’inizio del 2010. Gli obbiettivi erano ambiziosi: […]

Probabilmente il grande insegnamento di questa storia, che ripercorreremo velocemente, è il seguente: smettiamola di aprire nuovi spazi espositivi e occupiamoci di far funzionare quelli già esistenti. La Pelanda dei Suini, nel recinto affascinante dell’ex Mattatoio di Testaccio a Roma, è un nuovo spazio espositivo, creativo, culturale nato all’inizio del 2010. Gli obbiettivi erano ambiziosi: sul modello del Matadero di Madrid e del 104 di Parigi, qui doveva nascere uno spazio non tanto di esposizione quanto di produzione culturale. Emiliano Paoletti, oggi direttore della Biennale dei Giovani Artisti del Mediteranneo e all’epoca capo di Zone Attive – società “creativa” del Comune di Roma – aveva seguito il progetto fin dai suoi albori. Il restauro fu piuttosto riuscito grazie al lavoro dello Studio Carmassi di Firenze. Immediatamente tuttavia si capì che gli investimenti pubblici si sarebbero arenati lì, al ripristino della struttura: niente attrezzature, niente gestione orientata a dare spazi alle realtà creative della città (musica, teatro, arte…). Emiliano Paoletti emigrò a Torino a dirigere la Bjcem e la Pelanda – prima in seno al Macro poi, per fortuna, fuori – si trasformò nell’esatto contrario: una location espositiva in affitto con mostre-marchetta, fiere, feste e party, rassegne espositive (anche una compresente all’altra) senza nessuna direzione e alcun filo conduttore.
Uno spreco clamoroso che mortifica un’area – l’ex Mattatoio di Roma – dotata di potenzialità incredibili e infinite, potenziale strumento di generazione anche di enormi introiti per l’amministrazione comunale. Ma per far funzionare le cose e per farle rendere occorre in primis avere le competenze e le capacità per farlo… In questi giorni l’epilogo: una parte della Pelanda è stata cartongessata e assegnata alla Fondazione Insieme per Roma, un giovane ente creato dall’AMA (la municipalizzata romana per l’immondizia) e dalla Camera di Commercio per stimolare i cittadini a combattere il degrado urbano per mezzo di forme di volontariato. Un nobile lavoro che non si capisce cosa c’azzecchi con la mission della Pelanda. Se bisognava trovare degli spazi a questa associazione erano proprio questi i migliori da regalargli?
Per il resto gli spazi, giusto per facilitare le cose, sono stati spezzettati. Parte della gestione oggi è passata all’assessorato ai giovani (a cedere l’assessorato alla cultura), il quale vuole utilizzare lo spazio come piattaforma creativa per i giovani e, dopo il referendum, ha rinominato alcuni ambienti della Pelanda con l’innovativo e geniale nome di… Factory, con esattamente cinquant’anni di ritardo rispetto al nome dello spazio creativo inventato a New York da Andy Warhol nel 1962. Insomma caos istituzionale, scarsa qualità e alcun tipo di filtro, totale provincialismo e subalternità culturale rispetto alle esperienze internazionali. Nel giro di neppure tre anni la Pelanda è riuscita a vincere la palma dello spazio espositivo a suo modo più fallimentare della Capitale e forse d’Italia.

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Redazione

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