Dario Franceschini lancia l’Italian Council per promuovere la nostra cultura all’estero

Il Ministro dei Beni Culturali annuncia la formazione di una struttura che coordinerà gli Istituti Italiani di Cultura all’Estero e lavorerà in sinergia con il Ministero degli Esteri

Se un sistema funziona perché non mutuarlo? Il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini guarda al modello anglosassone e lancia a sorpresa la nascita dell’Italian Council, soggetto interministeriale che dovrebbe agire da raccordo tra il MIBACT stesso, il Ministero degli Esteri e la rete degli Istituti Italiani di Cultura all’estero. Un ente intermedio chiamato, ha dichiarato lo stesso Franceschini a margine della presentazione della Giornata del Contemporaneo di AMACI, a “sostenere l’arte contemporanea nazionale. Sull’esempio del British Council e della Mondriaan Fonds, questa realtà opererà per incrementare le collezioni pubbliche attraverso la promozione e l’acquisizione di opere di artisti italiani contemporanei, sia per rafforzare la presenza dei nostri autori sulla scena internazionale”.

COME FUNZIONERÀ? QUANDO?
L’Italian Council” si legge nella nota diramata dal ministero “opererà all’interno della Direzione Generale arte e architettura contemporanee e periferie urbane del MiBACT con il preciso compito di promuovere la produzione, la conoscenza e la disseminazione della creazione contemporanea italiana nel campo delle arti visive. La struttura agirà nell’ambito del Piano per l’arte contemporanea continuando a incrementare le pubbliche collezioni tramite iniziative che consentiranno la promozione e l’acquisizione di opere. L’idea nasce dalla collaborazione con lo Steering Commitee (istituito da MiBACT nel 2015, n.d.r.) composto da rappresentanti della stessa Direzione Generale e del Comitato delle Fondazioni per l’arte contemporanea e dall’esigenza di rafforzare la presenza degli artisti italiani sulla scena internazionale. A tal fine, l’ufficio potrà farsi promotore di iniziative coerenti alle finalità anche con privati”.
Questo sulla carta: resta da capire come e quando il nuovo soggetto diventerà operativo, chi operativamente ne sarà alla guida e di quali fondi potrà disporre.

IL NODO DEI FINANZIAMENTI
Quello delle risorse non è chiaramente un problema accessorio: se si parla di incrementare le acquisizioni qualcuno, da qualche parte, dovrà mettere mano al portafoglio; idem quando si tratta di lavorare sulla promozione. Il British Council cui si fa manifesto riferimento, che è nato nel 1934 ed è oggi attivo in 110 nazioni del mondo, è inquadrato come charity, quindi fondazione di beneficenza, con tutto ciò che a livello fiscale questo comporta: non è ancora chiaro come verrebbe invece amministrato il suo corrispettivo italiano. Ma soprattutto: il bilancio 2014-2015 dell’ente dice che ad ogni sterlina investita dal pubblico nel Council corrispondono 5,28 sterline raccolte da altre fonti, con un incremento notevole rispetto al biennio precedente (con il rapporto fissato a 1:4,32). Questo ha permesso più o meno ovunque nel mondo di incrementare la dotazione a disposizione del dipartimento a dispetto della contrazione degli investimenti pubblici: solo per quanto riguarda le sedi europee il taglio di quasi due milioni di sterline nell’ultimo biennio è stato compensato da un incremento di 2,5 milioni di sterline nella voce “altre entrate”. Morale: lo Stato spende meno, il Council guadagna di più. Come è possibile? Attività fondamentale per la vita del British Council è la gestione a livello globale di corsi professionali di lingua inglese con i relativi esami riconosciuti (i vari PET, First Certificate e via dicendo). Corsi a pagamento, si intende, come a pagamento sono le procedure di esame. Si calcola che negli ultimi due anni il British Council abbia certificato 2,5 milioni di test IELTS, riconosciuto ufficialmente in buona parte dei Paesi madrelingua inglese come prova per l’ammissione a corsi universitari e per agevolare le richieste di cittadinanza.
Insomma: bene importare modelli di successo dall’estero. Ma dove li troviamo due milioni e passa di persone disposte a pagare per imparare l’italiano?

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Redazione

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