Javier Zanetti, campione da museo: in mostra alla Triennale di Milano i cimeli dell’ex capitano dell’Inter. E i trofei del mitico Triplete

Non ha tatuaggi, piercing o orecchini; a creste e rasature acrobatiche, tinte shocking e ciuffi avventurosi contrappone da sempre una sana riga di lato da impiegato in banca. Di quelli che stanno allo sportello a rassicurare le vecchiette. Nel suo carnet non trovi veline o modelle: mai una notte brava in discoteca, una scazzottata tra […]

Non ha tatuaggi, piercing o orecchini; a creste e rasature acrobatiche, tinte shocking e ciuffi avventurosi contrappone da sempre una sana riga di lato da impiegato in banca. Di quelli che stanno allo sportello a rassicurare le vecchiette. Nel suo carnet non trovi veline o modelle: mai una notte brava in discoteca, una scazzottata tra ubriachi, un fermo per guida spericolata, un tamponamento alcolico davanti a questo o quel locale alla moda. Non servono sovrastrutture, a Javier Zanetti, per essere un mito. Gli basta la sua placida e persino un po’ noiosa normalità di padre, marito e sì – incidentalmente – campione dello sport. Ha vinto tutto quello che poteva vincere con la maglia dell’Inter, infilando il leggendario Triplete del 2010 a coronamento di una carriera ventennale con il club nerazzurro, di cui oggi è uomo immagine e vicepresidente: il ricordo ancora caldo di quei successi rivive in forma di omaggio alla Triennale di Milano, per una mostra che emoziona i tifosi e ha il merito di ribadire il banale eroismo dei vincenti. Quelli veri. Un operaio del pallone, Zanetti, forse nemmeno più forte – per valori tecnici – rispetto a mille altri calciatori di ieri e di oggi, ma un personaggio capace di vivere lo sport con una passione così totalizzante da risultare esplosiva, contagiosa; arrivando con cuore, testa e polmoni là dove i piedi non potevano portarlo. Un eroe antico, quasi mitologico, al pari di pochi altri come lui – tra i più vicini al nostro tempo giusto Paolo Maldini, Roberto Baggio e Alessandro Del Piero – ad essere rispettati e amati da qualsiasi tifoseria.
Non serve allora chissà quale sforzo di immaginazione per vedere impallidire i vessilli nerazzurri che ammantano in questi giorni l’atrio della Triennale, per vedere svaporare i loghi e i nomi incisi sui trofei vinti. Perché celebrare Zanetti non ha niente a che vedere con l’Inter: significa festeggiare il calcio in senso lato e quindi lo sport tutto. E quella piccola grande fetta che questo occupa nella nostra vita.

– Francesco Sala

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Francesco Sala

Francesco Sala

Francesco Sala è nato un mesetto dopo la vittoria dei mondiali. Quelli fichi contro la Germania: non quelli ai rigori contro la Francia. Lo ha fatto (nascere) a Voghera, il che lo rende compaesano di Alberto Arbasino, del papà di…

Scopri di più