Nasce a Milano “My Little House”, progetto di mecenatismo dal basso che riattiva grazie all’arte le dinamiche relazioniali di quartieri dormitorio. Si parte in zona Lotto con il bosco incantato di Cristina Gardumi

È lo stereotipo più amato dei nuovi milanesi, di chi non ha mai smesso di abbandonare il paese – meglio se baciato dal sempiterno sole del sud, dal mare e dalla buona tavola a prezzi accessibili – per farsi concupire dalle spire mefitiche della metropoli cancerosa. Tuffandosi in una perenne atmosfera grigio fumo, con le […]

È lo stereotipo più amato dei nuovi milanesi, di chi non ha mai smesso di abbandonare il paese – meglio se baciato dal sempiterno sole del sud, dal mare e dalla buona tavola a prezzi accessibili – per farsi concupire dalle spire mefitiche della metropoli cancerosa. Tuffandosi in una perenne atmosfera grigio fumo, con le vetrine che si spengono sul far della sera coprendo la mesta ritirata in cambusa degli ossobuchivori gaddiani; che sgattaiolano sui pianerottoli senza salutare, senza nemmeno sapere chi abita al piano di sotto.
Contro l’idea di una città anestetizzata e insensibile arriva la tenera cura di My Little House, progetto che prende l’arte a pretesto per riallacciare i fili tranciati di una socialità un tempo spontanea. Oggi forse un po’ meno. Il padrone di casa apre la propria porta a un artista, lo ospita per una settimana, si racconta. In cambio riceve un’opera, ritratto ideale che eterna lo spirito del luogo e di chi lo vive: purché si renda disponibile alla condivisione, invitando e diffondendo, in una parola accogliendo – anche estranei, anche sconosciuti – trasformando per le settimane successive all’incontro, o perché no per sempre, lo spazio dell’intimità in spazio per la collettività. Non un progetto di residenza d’artista in senso stretto, non l’evoluzione del discorso delle mostre in casa; un semplice dono reciproco, peer to peer. Una forma di arte relazionale che va a insistere sulla riserva indiana di un ceto medio in via di assottigliamento: perché My Little House non si farà mai a casa Golinelli, né punta ad avventurarsi in aree di manifesto degrado, sostituendosi alle istituzioni nell’opera di salvataggio delle periferie in crisi. È una cura, vero: ma omeopatica più che antibiotica; condotta in piccole zone della città – un condominio, una strada, un rione – sanate dal silenzio grazie a minuscoli passaggi.
L’idea nasce da Fulvio Ravagnani, curatore ed editor free lance (è tra i protagonisti dell’avventura di boîte) che, fedele allo spirito di My Little House, dà subito il buon esempio. Aprendo il suo bilocale in zona Lotto, fetta di Milano ben lontana dalle luci della movida, a Cristina Gardumi: che per la prima volta si cimenta nella pittura su muro, facendosi narratrice della mitologia intima e personalissima del padrone di casa. Il seme è gettato, ora si tratta di continuare. Cercando My Little House su Facebook, entrando in rete. Semplicemente aprendo la porta…
https://www.facebook.com/mylittlehouseIT

– Francesco Sala


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Francesco Sala

Francesco Sala

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