Orfani due volte: incognite sul futuro del Museo dei Martinitt, gioiellino multimediale nel cuore di Milano. Il Pio Albergo Trivulzio ne medita lo spostamento per liberarsi dell’immobile che occupa in corso Magenta

Destino infelice quello delle migliaia e migliaia di orfani che Milano ha conosciuto a partire dal Cinquecento. Abbandonati una prima volta dai genitori biologici, rischiano ora di trovarsi nuovamente per strada: almeno stando alle voci, sempre più insistenti, che gettano ombre sul futuro del Museo Martinitt e Stelline. Un piccolo scrigno di puro orgoglio civico, […]

Destino infelice quello delle migliaia e migliaia di orfani che Milano ha conosciuto a partire dal Cinquecento. Abbandonati una prima volta dai genitori biologici, rischiano ora di trovarsi nuovamente per strada: almeno stando alle voci, sempre più insistenti, che gettano ombre sul futuro del Museo Martinitt e Stelline. Un piccolo scrigno di puro orgoglio civico, nato nel 2009 grazie ad una donazione privata prossima ai 2milioni di euro; uno spazio di poco più di mille metri quadrati quello al civico 57 di Corso Magenta, in stretta contiguità con il complesso che nei secoli ha accolto le orfanelle della città – le Stelline: da qui il nome del palazzo adiacente – e i loro sfortunati fratellini. Un patrimonio di proprietà del Pio Albergo Trivulzio, ente assistenziale milanese per antonomasia. Che per il museo, ora, ha nuovi progetti.
La delibera del consiglio di amministrazione siglata nello scorso ottobre parla chiaro: tempo un mese c’è da trovare una nuova casa dove trasferire, entro e non oltre fine anno, Martinitt e Stelline. Lo stabile che occupano va usato per altri scopi, quali non è dato sapere – benché si vociferi di possibili appetiti immobiliari; in barba alle volontà del danaroso benefattore, che si era accollato i costi di restauro dell’edificio proprio con l’intento, specifico ed esclusivo, di veder nascere il museo. I mesi sono passati, l’ultimatum è scaduto, Martinitt e Stelline restano ancora al proprio posto: tutto tace. E, tacendo, produce l’onda lunga di un frastuono assordante: nessuno sa cosa sarà di un piccolo museo che, nei suoi pochi anni di vita, si è costruito una solida credibilità.
Diventando, grazie all’allestimento tecnologico studiato da N!03, l’unico multimediale aperto a Milano – la città di Studio Azzurro, nemo propheta in patria; guadagnando l’accreditamento di Regione Lombardia e arrivando a contare circa 7mila accessi l’anno. Più o meno quanti ne fa, in sole 36 ore, Picasso a Palazzo Reale: ma considerato che si parla di un museo storico è decisamente grasso che cola. I timori del sempre più nutrito gruppo di amici e sostenitori del museo sono rivolti al rischio di veder dispersa la sua collezione: la piccola quadreria, l’appariscente allestimento multimediale che mostra, su due piani, storie di vita vera nella Milano dell’Ottocento; ma soprattutto le centinaia di migliaia di carte che ne costituiscono l’archivio storico. Un patrimonio sterminato, salvaguardato secondo tutti i crismi e gli standard in merito a conservazione e tutela dei documenti, sul cui futuro nessuno sembra voler spendere una garanzia. Il consiglio di amministrazione del Pio Albergo Trivulzio, che ancora non ha comunicato dove intende spostare il tutto, annuncia in una nota un imminente vertice con la Direzione Cultura del Comune, con l’intento di studiare – insieme – una possibile soluzione; dalla direzione del museo, affidata a Cristina Cenedella, non trapela nulla. Ma non è un mistero che il clima, in casa Martinitt e Stelline, non sia dei più sereni; e che il nuovo corso inaugurato dal Pio Albergo Trivulzio, uscito appannato dall’ultimo scandalo dell’affittopoli milanese, non sia esente da critiche e polemiche. Il rischio è che, a farne le spese, possano essere ancora una volta i più deboli. Naturalmente gli orfanelli.

– Francesco Sala

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Francesco Sala

Francesco Sala

Francesco Sala è nato un mesetto dopo la vittoria dei mondiali. Quelli fichi contro la Germania: non quelli ai rigori contro la Francia. Lo ha fatto (nascere) a Voghera, il che lo rende compaesano di Alberto Arbasino, del papà di…

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