Elogio della follia (al femminile). Nike celebra le donne pazze e gli atleti sognatori

Altro che isteria. Se le donne, per stereotipo antico, sono quelle emotivamente instabili, umorali, teatrali, un po’ matte, ecco che uno dei più grandi brand del mondo sovverte il senso del termine. La pazzia come chiave per le vittorie personali e i cambiamenti sociali.

È la vecchia storia dell’isteria, così come stereotipo vuole ed etimologia insegna: sindrome nevrotica con stati emozionali intensi e attacchi parossistici smaccatamente teatrali. Il termine arriva dal greco ὑστέρα, “utero”, e fu Ippocrate, 24 secoli fa, a imputare all’organo riproduttivo femminile l’origine di una serie di quadri clinici, più o meno assimilabili all’epilessia.
Roba che appartiene al mondo delle credenze popolari e a un certo maschilismo di derivazione pseudoscientifica e antropologica. Eppure, nei recessi dell’immaginario collettivo, il pregiudizio resta, invisibile, subdolo, coltivato tra le righe e le battute scherzose, incistato tra i cliché ripetuti senza troppo pensare. Donne ed emotività: un binomio scontato. Estrogeni, ovuli, progesterone: nel mix letale sopravvive l’origine di ogni attitudine irrazionale; e le lacrime, la fragilità, la nevrosi, l’intrattabilità, le scenate facili, l’enfasi, l’umore ballerino. Come se la questione emotiva non riguardasse il carattere di ciascuno o ciascuna; come se l’idea del femminile si scontrasse, tra conformazione cerebrale e fattore ormonale, con quella del controllo, della misura; e come se tra l’utero ed il logos ci fosse una cesura, un’incomunicabilità naturale. Pensare con le ovaie e stare più sulle frequenze misteriose della luna che non su quelle della logica severa. Il preconcetto è duro a tramontare.

Nike, Dream Crazier. La nuova campagna di Nike con cast tutto femminile

Nike, Dream Crazier. La nuova campagna di Nike con cast tutto femminile

É PAZZESCO FINCHÉ NON LO FAI. STORIE DI DONNE VINCENTI

Da questa favola resistente parte il nuovo bellissimo spot della Nike, presentato lo scorso 24 febbraio alla 91° edizione della notte degli Oscar. Il titolo: “Dream Crazier”. Sogna in modo più folle. Protagoniste le donne, con un tempismo perfetto: l’8 marzo 2019 ha il suo spot esemplare, costruito con la consueta dose di emotività, potenza narrativa, efficacia comunicativa. Produzioni pubblicitarie nobilitate dalle migliori finezze cinematografiche.
Sul set sfilano eccellenze di diverse discipline sportive, chiamate a dimostrare quanto il talento, la forza, la potenza, la tenacia, la velocità e la precisione non siano in contraddizione con la fantomatica “follia”. Anzi. Donne folli e vincenti. Una storia di sfide (con sé stesse, prima che con le avversarie); di limiti fisici, culturali, sociali, esistenziali, superati ad ogni costo e contro ogni cliché. Ed è tutto un montaggio di pianti, traguardi, abbracci, strappi, conflitti, esultanze, acrobazie, momenti di rabbia, di gioia, di concentrazione. Momenti in cui i costumi cambiano, in direzione di una parità che è in fondo un fatto recente, ancora non compiuto.

Nike, Serena Williams per Dream Crazier, la nuova campagna di Nike con cast tutto femminile

Nike, Serena Williams per Dream Crazier, la nuova campagna di Nike con cast tutto femminile

Ci sono, tra le altre, la ginnasta Simone Biles, la schermitrice Ibtihaj Muhammad, l’ex giocatrice della WNBA Lisa Leslie, la snowboarder Chloe Kim. Mentre la voce narrante è quella della superstar del tennis Serena Williams. Nel testo tutta la portata dello switch messo in atto: partire da un pregiudizio, da un racconto vecchio e fasullo, e capovolgerlo, tirarne fuori un altro senso, declinarlo in positivo. La pazzia come risorsa, in una parola sola. Altro che offesa.
Se mostriamo emozioni, ci chiamano ‘drammatiche’. Se vogliamo giocare contro i maschi, siamo fuori di testa. E se sogniamo uguali opportunità, siamo ‘deliranti’. Quando ci impuntiamo per qualcosa, siamo ‘sconvolte’. Quando siamo troppo brave, c’è qualcosa di sbagliato in noi. E se ci arrabbiamo, siamo isteriche, irrazionali, o semplicemente pazze”. Poi, tra immagini di repertorio che raccontano frammenti di storia dello sport, di battaglie femminili e di diritti conquistati, ecco il controcanto: “Ma una donna che correva una maratona era pazza. Una donna boxeur era pazza. Una donna che faceva canestro, pazza. Una che allenava una squadra NBA, pazza. Una che gareggiava con l’hijab, che cambiava il suo sport, che atterrava con un “double cork 1080°”, che vinceva 23 “grand slam”, avendo un bambino, e poi tornando a vincere ancora. Pazza, pazza, pazza, pazza e ancora pazza. Quindi, vogliono chiamarti pazza? Ottimo. Mostra loro cosa può fare un pazzo”. Infine il payoff: “It’s only crazy until you do it”. É pazzesco solo finché non lo fai.

DREAM CRAZY, IL PRIMO SPOT SU SOGNO E FOLLIA

Lo spot è il secondo capitolo di una serie sul valore della follia, inaugurata nell’autunno 2018 con l’altrettanto riuscito videoclip “Dream Crazy”, in occasione del trentesimo anniversario dello slogan “Just Do It”. La voce era quella di Colin Kaepernick – l’ex quarterback dei 49ers, che nel 2016 in segno di protesta contro il razzismo e le politiche repressive di Trump, durante una partita decise di non alzarsi in piedi mentre risuonava l’inno americano: un gesto azzardato, che indignò il Pesidente USA e i suoi supporter, che costò a Kaepernick il licenziamento e che anche Nike pagò, dopo il lancio dello spot, con una serie di azioni di boicottaggio.
L’intero video, del resto, con una sfilza di atleti omaggiava il concetto di sogno, di sfida, di pazzia. Protagonisti donne e uomini, bianchi e neri, con storie di disabilità o di malattia, di fuga, di marginalità, di lotta, di sofferenza. Dal calciatore Alphonso Davies, rifugiato politico africano, a 16 anni entrato nella nazionale canadese, alla campionessa di basket Megan Blunk, vincitrice alle olimpiadi di Rio con la sua sedia a rotelle; da Charlie Jabaley, capace di competere per l’Ironman, distanza standard del Triathlon, dopo aver perso 55 Kg e aver sconfitto un tumore cerebrale, fino al ragazzino prodigio Isaiah Bird, nato senza gambe e diventato campione di wrestling; e ancora Lacey Baker, la più celebre skater donna, Alicia Woollcott, sorprendente linebacker nel football maschile, o la campionessa di boxe Zeina Nassar, tedesca di religione musulmana, testimonial nel 2017 – come Ibtihaj Muhammad – dell’Hijab griffato Nike, indossato durante le gare.
Recita il testo: “Se la gente dice che i tuoi sogni sono folli; se ridono di quello che pensi di fare, bene. Rimani così. È un complimento. Non cercare di essere il corridore più veloce nella tua scuola, o il più veloce del mondo. Sii il più veloce di sempre (…) Quando parlano della più grande squadra nella storia di questo sport, assicurati che sia la tua squadra”. E via così, in una carrellata di esempi e di moniti, con chiosa a effetto: “Credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto. E quindi, non chiedere se i tuoi sogni sono pazzi. Chiediti se sono abbastanza pazzi“.

Dream Crazy, lo spot 2018 Nike

Dream Crazy, lo spot 2018 Nike

UN MARCHIO OLTRE L’OSTACOLO

Due spot intitolati a eserciti di folli, le cui vite raccontano il senso dell’audacia come chiave per la vittoria. Niente è impossibile: uno dei giganti mondiali dello sportwear continua a costruire la sua narrazione enfatica spingendo su alcuni tasti, tra l’importanza di osare e la necessità di mettersi in gioco per vincere i propri limiti, per giungere alla meta. Niente sul valore pedagogico della sconfitta, sulla necessità di imparare a gestire l’errore. È intorno alla forza magnetica del sogno, al superamento di sé, al trionfo del corpo (qualunque corpo in questo caso, fuor di stereotipo) che il meccanismo pubblicitario si sviluppa, vestendo qui la più classica delle strategie con un volto etico, umano, politicamente corretto: nessuno è condannato alla fragilità, al pregiudizio, alla rinuncia.
Elogio della follia, rassicurando e insieme rompendo i cliché. Una narrazione azzeccata, fortemente sintonizzata con l’attualità, intorno a cui il brand imbastisce il proprio discorso valoriale. E il senso era ed è già tutto nel mitico swoosh, il logo obliquo e dinamico – evocazione di un’ala, un boomerang, un flag, uno stacco rapido dal suolo, un balzo irregolare, un segno divergente – semioticamente accostabile all’idea di movimento, a un’azione compiuta, alla possibilità di superare e non allinearsi: oltre l’ostacolo, la norma, la linea d’orizzonte, la resa.

– Helga Marsala

www.nike.com

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

Scopri di più