Ricordate l’ultima volta che avete spento il cellulare, tolto l’orologio, annullato ogni brusio esterno? Quanto è passato: forse una settimana? Un mese? Se non avete la vocazione dell’eremita siete, come tutti, assordati dal rumore della frenesia, amplificato fino allo stordimento dall’iper-velocità tecnologica che segna le nostre vite. Proseguono le azioni di riconquista del tempo perduto di Marina Abramović, che presenta al Centre d’Art Contemporain di Ginevra le attività del suo centro per le arti, in fase di realizzazione nel Connecticut.
In Svizzera avrà sede il braccio europeo della sua organizzazione – che si occupa di fund-raising e di tenere i contatti con il Vecchio Continente – e qui, al CAC, ha luogo Counting the rice, azione che porta l’artista a lavorare là dove compì l’ultima performance insieme a Ulay.
Un esercizio pubblico condiviso, al tempo stesso collettivo ma fortemente e individuale: seduti ai banchi disegnati da Daniel Libeskind, gli adepti distinguono bianchi chicchi di riso da neri semi di lenticchie. E li contano. Facendo leva su quell’antichissimo concetto di ripetitività che, dai mantra orientali alle preghiere cattoliche, unisce culture e religioni nella necessità di raggiungere la contemplazione del sé. La libertà.
Francesco Sala