La lunga stagione del Simbolismo a Milano

Palazzo Reale, Milano – fino al 5 giugno 2016. Una grande mostra fa nuovamente luce su quel periodo di grandi cambiamenti storici, culturali e spirituali che investì l’Europa sul finire dell’Ottocento. E su come l’arte rispose ai tali sogni e inquietudini attraverso il subconscio, il mitologico e il fantastico, prima di abbandonarsi definitivamente al dogma delle avanguardie.

MILANO SIMBOLISTA
È una Milano che si riscopre simbolista quella che ospita a Palazzo Reale la grande selezione di opere curata da Fernando Mazzocca e Claudia Zevi.
Dopo la mostra dedicata ad Adolfo Wildt presso la GAM e quella dedicata a un altro protagonista della Belle Époque europea come Alfons Mucha, ecco dipanarsi più chiaramente l’intreccio di storie e di atteggiamenti artistici che tratteggiarono la fisionomia sfuggente di quel non-movimento chiamato Simbolismo. Sono appunto moltissime le storie e le declinazioni di uno stile che assunse caratteri del tutto peculiari nei diversi stati e regioni europei, per mano di autori che interpretarono il linguaggio del simbolico con fini e modalità differenti, espresse in esiti formali apparentemente inconciliabili.

IL MITO DI ORFEO
Si passa così dalla riscoperta del mito, che assume toni sontuosi e talvolta cupissimi nella Germania di Franz Von Stuck, nelle cui opere eroi e mostri del mondo antico rappresentavano valori e incubi che da lì a poco si sarebbero tragicamente materializzati nei vari nazionalismi. Ma tra meduse e ingannevoli sirene c’è soprattutto Orfeo, come figura cardine di un mondo poetico e anarchico, celebrazione del mito decadente dell’arte per l’arte.
Sublime, in questo senso, la testa mozzata di Orfeo e incastonata nella sua lira, così come immaginata dal belga Jean Delville nella sua opera che, al pari di altre in mostra, è connotata da una finezza di esecuzione degna degli antichi, ritrovabile in Moreau, Böcklin e Klinger.

Giovanni Segantini, L'Amore alla fonte della vita, 1896 - © Galleria Civica d’Arte Moderna, Milano

Giovanni Segantini, L’Amore alla fonte della vita, 1896 – © Galleria Civica d’Arte Moderna, Milano

CASI ITALIANI
Ed è proprio la tecnica pittorica ad aver poi costituito il prezioso lascito per numerosi autori in mostra, come dimostrato dalle tele di Previati e Segantini, che anticipano soltanto di un anno il periodo cruciale tra il 1910 e 1912, quando Boccioni licenziò il suo fregio sugli Stati d’animo, La città che sale e Materia, Elasticità, mentre Carrà I funerali dell’anarchico Galli e Balla La Lampada ad arco.
Se da un lato questi furono i semi avanguardistici di un nuovo modo di concepire l’arte, dall’altro convivevano con una tensione di segno opposto, orientata verso un passato perduto e tragico poiché irrecuperabile. Appare chiaro in Sartorio e nel suo ritorno alla cultura mediterranea, in quel turbinoso vento che sembra animare il suo maestoso e monumentale fregio allestito così come apparve nel 1907. Pitture e parole come fiumi inarrestabili, come una corrente che tutto travolge in un’estasi visiva, oppure tradotte in forme naturali stilizzate, testimoni della mistica esperienza secessionista o del gruppo dei Nabis, nei quali i tumulti dell’animo sembrano finalmente placarsi e approdare in una natura dove tutto si purifica e si ricompone.

Félicien Rops, Pornokratès, 1878 - © Musée royal de Mariemont - photo M. Lechien

Félicien Rops, Pornokratès, 1878 – © Musée royal de Mariemont – photo M. Lechien

TRA ROMANTICISMO E OSCENITÀ
Il tono riconciliante di certe vedute, rese fantastiche e nuovamente romantiche, stride accanto ad altre rappresentazioni, soprattutto in area francofona, dove gli eredi di Sade e soprattutto di Baudelaire tracimarono i valori borghesi in acute e graffianti rappresentazioni, come nelle felici e implacabili oscenità di Félicien Rops, o in sentimenti più silenziosi e insieme radicali come quelli espressi dal capolavoro di Fernand Khnopff, Carezze (l’Arte) (1896), simbolizzazione della natura ermafrodita e ambigua della creazione artistica, che non solo anticipa il Surrealismo ma anche il rock-glam.
Vi è poi un altro aspetto, non meno affascinante: alcune delle opere esposte furono completate da cornici che ne esaltavano e in alcuni casi ne continuavano la narrazione, come nella Diavolessa (1906) di Alberto Martini, e nei piccoli capolavori di arte applicata realizzati dal celebre ebanista Carlo Bugatti, o nel sofisticato esempio che adorna La Leggenda di Orfeo (1905) di Luigi Bonazza, dichiaratamente secessionista.

Riccardo Conti

Milano // fino al 5 giugno 2016
Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra
a cura di Fernando Mazzocca, Claudia Zevi e Michel Draguet
Catalogo 24 Ore Cultura
PALAZZO REALE
Piazza del Duomo 12
02 54914
www.mostrasimbolismo.it

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/50908/simbolismo/

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Riccardo Conti

Riccardo Conti

Riccardo Conti (Como, 1979; vive a Milano), critico d’arte e pubblicista, si occupa principalmente di cultura visiva e linguaggi come video e moda. Collabora con riviste come Vogue Italia, Domus, Mousse, Vice e i-D Italy, ha curato diverse mostre per…

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