Bologna è street. Work in progress sui muri di Frontier(a)

Una conversazione con Claudio Musso e Fabiola Naldi, curatori di "Frontier", grande street project appena inaugurato a Bologna. Tredici artisti, italiani ed internazionali, all'opera in diverse aree urbane. I quartieri si trasformano in laboratori, aperti ai passanti: l'evoluzione progressiva dei grandi wall painting è un momento di partecipazione collettiva, che vede mutare la città, settimana dopo settimana. Vi raccontiamo tutti i dettagli, conditi da alcune riflessioni sullo stato della street art...

La città è un teatro in movimento, sotto un cielo d’estate rovente: cantieri aperti a Bologna, tra muri che esplodono e quartieri che cambiano. E sono esplosioni di linee, colori, visioni a due dimensioni germinate su immense superfici urbane, nell’euforica bellezza di un restyling che seduce l’occhio e riconnota il paesaggio: nuova pelle cromatica, per vecchi edifici spenti, strappati al grigio di sempre.
Frontier. La linea dello stile è un progetto ambizioso, strutturato in sei sessioni di lavoro, sei cantieri che progressivamente prendono vita tra diversi quartieri, da giungo ad agosto. Tredici artisti in totale, per tredici muri da reinventare. Si è appena conclusa la prima tranche di interventi, che ha visto in azione l’olandese Does, il parigino Honet e il polacco M-City. E poi arriveranno gli italiani Hotnes, Hetnik, Eron, Joys, Cuoghi e Corsello, Rusty, Andreco, Dado, fino al tedesco Daim e al veterano statunitense Phase II. Nel giorno dell’opening, che inaugura i primi muri completati, abbiamo incontrato i curatori, Claudio Musso e Fabiola Naldi.

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Che cos’è Frontier? Come si struttura? Bologna, in questi giorni, è un grande cantiere a cielo aperto…
In effetti è questa l’espressione che forse più rappresenta la fase attuale di Frontier, un progetto sviluppato come una piattaforma aperta, in grado di ospitare un cospicuo numero di artisti che operano su muri di grandi dimensioni. La maggior parte delle facciate si trovano in strade con grande affluenza o in contesti residenziali in cui il rapporto con il contesto cittadino è fondamentale.
I lavori sono iniziati il 18 giugno scorso e proseguiranno fino alla prima settimana di agosto. Per più di un mese sarà possibile osservare le fasi realizzative delle opere.

Chi ha finanziato il progetto? Tradizionali fondi pubblici o anche risorse alternative?
Frontier è sostenuto e coordinato in prima istanza dal Comune di Bologna e in particolare dall’Assessorato alla Cultura. Anche l’Assessorato regionale ci sostiene e ha dato il suo patrocinio all’iniziativa. Per il resto i fondi sono di provenienza privata: sponsorizzazioni dirette o di natura tecnica, senza le quali sarebbe stato impossibile realizzare il progetto. La ricerca dei fondi è sempre una questione complicata, ma possiamo tranquillamente affermare che tutti coloro che hanno deciso di appoggiarci hanno creduto fin da subito nelle intenzioni e nella passione che il nostro team era in grado di comunicare.

Tredici artisti, tutti di ottimo livello. Come li avete scelti? C’è stato un bando o un invito diretto?
La selezione è avvenuta in base a criteri di chiara evidenza stilistica: Frontier è un progetto curatoriale, in tutto e per tutto simile ad una mostra. Nel tentativo di sottolineare quanto il Writing e la Street Art abbiano influenzato e continuino ad influenzare la scena artistica globale, abbiamo invitato i rappresentanti di tendenze fortemente innovative degli ultimi decenni e alcune di quelle tuttora in atto.

E il target? Un mix tra star ed emergenti?
L’idea era quella di tracciare un ponte che dalla Old School di New York arrivasse ai giorni nostri. La scelta quindi ha privilegiato individualità che esprimessero caratteristiche forti e riconoscibili nel panorama nazionale e internazionale. Phase II è una leggenda vivente non ha bisogno di presentazioni. Chiara fama si sono guadagnati nel tempo Honet, Daim e i nostri Cuoghi Corsello. L’Italia anche oggi spicca per originalità a livello mondiale e lo dimostrano gli inviti ricevuti da Etnik, Dado o Joys nei principali festival internazionali e la presenza sempre più diffusa di Hitnes e Andreco. Emergente, ma con un curriculum di grande rilevanza, è l’olandese Does a cui speriamo di aver dato una grande possibilità operando da solo su una parete di grandi dimensioni.

Le aree destinate ai wall painting sono tutte pubbliche o avete individuato anche muri privati?
Sono tutti muri di proprietà comunale, la maggior parte in gestione ad ACER (Azienda Casa Emilia-Romagna della Provincia di Bologna). Ci piacerebbe, com’è ovvio che sia, che le opere restassero nel tempo, il più a lungo possibile. Ma siamo anche coscienti che questo tipo di interventi nascono per essere effimeri, sia per questioni tecniche che per volontà degli stessi artisti.

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C’è una certa diffidenza diffusa nei confronti della Street art e del Writing. Il confine tra vandalismo e azione creativa spesso si assottiglia – a torto – nell’immaginario collettivo. Com’è stato accolto “Frontier” dai residenti dei quartieri e gli abitanti dei palazzi? Avete stabilito un dialogo, un percorso condiviso? Una delle questioni salienti dell’arte pubblica è quella dell’accettazione dell’opera da parte delle comunità…
Mesi fa sono iniziati gli incontri preliminari che hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo del progetto. Dopo l’incarico ricevuto dall’Assessore alla Cultura Alberto Ronchi, abbiamo incontrato tutti i presidenti dei quartieri coinvolti per studiare insieme una strategia di comunicazione. Con la collaborazione di ACER abbiamo organizzato assemblee condominiali per introdurre e spiegare ai condomini gli scopi e il valore di Frontier. Senza pretese di unanimità del consenso o di cambiamenti radicali nella percezione del Writing e della Street Art, dopo la conclusione dei primi quattro cantieri, ti possiamo dire che la disponibilità, l’entusiasmo e la partecipazione di inquilini e vicinato sono stata la nostra più grande soddisfazione.

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Dal vostro punto di osservazione privilegiato, dove pensate stia andando la Street Art? quella che conosciamo oggi ha tutt’altra valore rispetto agli esperimenti illegali degli anni ’80 e ’90. E le quotazioni dei big sono alle stelle. Molto mercato e poco underground? Troppe gallerie e pochi muri urbani? Normale evoluzione o uno snaturamento eccessivo?
Crediamo di aver dimostrato come la pensiamo: la street art deve rimanere rimanere in strada. Esistono particolari evoluzioni scultoree e installative, sono sempre più diffuse le collaborazioni con la moda, ma il cuore pulsante è ancora lì, a più di quarant’anni dagli albori: sui muri, nello spazio urbano. E’ ovvio che dalle prime tag al ruolo nel fashion, dalle prime mostre alle sale dei musei dedicate all’argomento, di tempo ne è passato. Non sappiamo in che direzione andrà il futuro, ma pensiamo che la strada sia ancora il luogo privilegiato per questa forma di sperimentazione linguistica.

La scena street italiana: rispetto alle grandi capitali internazionali, com’è la situazione qui? Molti talenti, ma che restano spesso sommersi, contesti espositivi spesso non proprio di qualità e le grandi committenze pubbliche praticamente assenti…
L’Italia è stata e continua ad essere ottima fucina per giovani talenti, ma tutt’altro discorso bisogna fare se parliamo di sostegno e promozione. Il sistema fatica a creare reti che diano agli artisti italiani la possibilità di inserirsi in una scena internazionale, cosa che credo valga per qualsiasi artista. Nel nostro piccolo abbiamo mantenuto una certa proporzione tra italiani e stranieri, perchè nell’incontro i nostri venissero conosciuti e dal confronto fossero valorizzati.

Helga Marsala

www.frontier.bo.it

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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