Mike, l’impostore. Ma siamo in Biennale o a Gardaland?

Durante le giornate inaugurali della Biennale era il Padiglione con davanti la coda più lunga. Impossibile da vedere per gran parte dei visitatori. Ma a conti fatti, forse sarebbe valsa la pena aspettare. Mike Nelson torna a stupire e disorentare con una grande installazione ambientale. Il Padiglione britannico ne è uscito completamente stravolto.

L’artista che rappresenta la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia 2011 è Mike Nelson (Loughborough, 1967) con l’opera I, Impostor. L’intervento, in linea con la precedente produzione dell’artista inglese, è, a conferma delle aspettative, puntuale, nitido e ben orchestrato.
Nelson stravolge l’aspetto fisico del Padiglione predisponendo un ambiente immersivo, una degente scenografia da b-movie, un reticolo d’ambienti che l’avventore annusa, palpa, teme. Il gioco funziona, anche grazie a un controllo rigoroso del numero di accessi. La trappola tesa dall’artista ha facile presa.
Entrati nel secondo ambiente, come succede al cinema dopo le prime scene, si perde il contatto con la vita vera, con Venezia, con il caos e perfino con la stessa Biennale. La mente attiva al massimo i recettori di senso e di sopravvivenza: luci labili, suoni intermittenti, storie sospese.
Nelson intreccia le periferie di Venezia con le baracche di Istanbul; l’artista delinea in realtà un topos trasversale e più ampio che sorvola i suk del Mediterraneo, il quartiere Simalu a Shanghai, le nebbie di Bucarest e le favelas di Rio. Nulla da capire, soprattutto nulla da interpretare.

05 British Pavilion Mike, l’impostore. Ma siamo in Biennale o a Gardaland?

Mike Nelson – I, Impostor - Padiglione Gran Bretagna - Biennale di Venezia 2011

E allora cosa rimane? Dove il limes tra ricerca e pretesto? Tra poesia e intrattenimento? E in definitiva, tra la Biennale e Gardaland? L’artista inglese dà vita a un’opera iperbolica, invita a mantenere uno sguardo lucido, a non lasciar sfuggire la meraviglia del mondo, scandisce la rassegnata asserzione per cui in fisica nulla si crea nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Per sei millenni il dato culturale si è dovuto violentemente imporre su quello naturale; ecco allora le città e poi le metropoli. Col vapore e l’acciaio quella fase storica e antropologica cambia pelle, l’avvento della macchina dà all’uomo la consapevolezza – o meglio, la percezione – del controllo sulla natura. Il ratto del fuoco di Prometeo non è stato vano. Il secolo breve apre una nuova era. Il suo cerbero vive nel Traumdeutung di Freud, 1899. Ecco che varcare le soglie del Novecento significa varcare i confini della coscienza. Lo sguardo dell’uomo si rivolge dalle cose del mondo al modo in cui si percepiscono; dal testo al contesto. L’artista non imprime più il gesto energico di Vulcano a forgiare linguaggio ma, bisturi alla mano, ne viviseziona i tessuti; Buñuel insegna il come, Duchamp il cosa.
E così ancora oggi, I, Impostor ne è un esempio perfetto. L’artista si astiene dal caricare la singola scelta di fitti rimandi simbolici. Nelson sembra sommessamente asserire un dato di fatto.

Oggi, in un’epoca di sovrapproduzione mediatica, di costante stress visivo, di touch screen e pop up, in questo Occidente che deturpa il termine ‘arte’, che eccede col digitale nella produzione di immagini e suoni e gonfia – diluendo – il consumo di prodotti culturali, l’arte, stremata, fa un passo in-dentro e cerca rifugio negli occhi. Lontana dalle categorie e dai mercanti del tempio.
Il Padiglione britannico sembra rivolgersi dunque a un’arte negli occhi per fare, in un’epifania, di ognuno un artista.

Luca Labanca

Venezia // fino al 27 novembre 2011
Mike Nelson – I, Impostor
(Padiglione Gran Bretagna)
a cura di Richard Riley
venicebiennale.britishcouncil.org

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Luca Labanca

Luca Labanca

Luca Labanca si muove nel 2006 da Varese a Bologna per iniziare il percorso di studi del DAMS, curriculum Arte. Negli anni di residenza bolognese collabora stabilmente col bimestrale d’arte e cultura ART Journal, contemporaneamente idea e sviluppa progetti ed…

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