Tra astrazione e memoria. L’arte di Nilufer Yildirim incontra la moda per HIGH The Journal

Tra Istanbul, New York e Milano, l’artista turca riflette sulla pittura come linguaggio emotivo, tra stratificazioni materiche e tensioni visive in un progetto editoriale moda curato da Artribune

Strati di pigmento come tracce di un’esperienza. La pittura di Nilufer Yildirim (Istanbul, 1984) è un luogo di tensione tra astrazione e figurazione, tra percezione e memoria. Un linguaggio materico e aperto alla contaminazione, che l’artista racconta in occasione della sua partecipazione al progetto editoriale HIGH The Journal, curato da Artribune.

Intervista all’artista turca Nilufer Yildirim

Il tuo lavoro si muove tra astratto e figurativo. Cosa ti interessa esplorare in questo spazio di confine?
Il mio lavoro spazia tra astratto e figurativo perché sono attratta dalla tensione e dal dialogo che esistono in quello spazio intermedio. Mi interessa come le forme astratte possano evocare emozione o memoria senza fare affidamento a immagini riconoscibili, e come la figurazione possa essere frammentata o distorta per rivelare qualcosa di più psicologico o intuitivo. Questa zona di confine mi permette di esplorare la percezione, l’identità e i limiti del linguaggio visivo, quanto abbiamo bisogno di “vedere” per comprendere o provare sensazioni. Apre anche uno spazio per l’ambiguità, dove gli spettatori possono proiettare le proprie narrazioni ed esperienze.

Texture, pigmenti, materiali di recupero: il tuo metodo ha un’impronta quasi scultorea. Come si struttura la superficie nei tuoi dipinti?
Il mio approccio nella creazione della superficie di un dipinto è profondamente tattile e stratificato, quasi scultoreo per natura. Inizio a creare strati sin dall’inizio del processo—che sono sempre più presenti nel mio lavoro—e questi strati sono in continua evoluzione, plasmati dal momento e dall’energia che sto vivendo. È un processo dinamico radicato nell’esperimentazione; vedo ogni dipinto come un viaggio di scoperta. Lavoro con una varietà di materiali – olio, acrilico, pigmento, inchiostro – creando texture grezze e contrasti tra questi elementi. Ogni materiale porta con sé un carattere unico, contribuendo alla profondità e vivacità dell’opera. Incorporo questi elementi in strati spessi, a volte raschiando o rielaborando le superfici per rivelare tracce nascoste. A mio parere, la tela diventa quasi come un sito archeologico, dove la fisicità dei materiali e l’emozione del momento si convergono per formare una superficie riccamente testurizzata ed espressiva.

Che ruolo gioca l’ambiente, fisico ed emotivo, nel tuo processo creativo?
L’ambiente circostante, sia fisico che emotivo, è centrale nel mio processo creativo. Non li separo; sono costantemente in dialogo, plasmando il ritmo e il tono di ogni opera. L’energia di uno spazio – la luce, l’aria, le texture intorno a me – influenza spesso la mia palette, i miei gesti, persino il ritmo con cui lavoro. Ma, altrettanto forte, il mio mondo interiore gioca un ruolo importante. I miei pensieri, ricordi, stati d’animo e correnti emotive alimentano tutte le scelte che faccio sulla tela. Rispondo in modo intuitivo a ciò che accade sia intorno che dentro di me, e questa capacità di risposta diventa la base del lavoro. Le mie opere non sono una riflessione dell’ambiente in senso letterale, ma un’impronta emotiva, un’atmosfera catturata attraverso i materiali, il colore e il movimento. In questo modo, cerco di realizzare ogni dipinto come una testimonianza di presenza, di essere pienamente immersi in un particolare momento, con tutti i suoi strati, contraddizioni e complessità. Non si tratta tanto di catturare un’immagine fissa, quanto di tradurre un’esperienza in forma.

Nilufer Yildirim tra Istanbul, New York e Milano

Hai vissuto a Istanbul, New York e ora Milano. Come si riflette tutto questo nel tuo linguaggio visivo?
Tutti scelgono, consapevolmente o meno, i luoghi che li plasmano. Per me, essere in posti diversi non riguardava solo l’aspetto geografico, ma era un modo per crescere, mettermi alla prova e arricchire il mio mondo. Quel percorso mi ha dato un senso di indipendenza, e cerco di canalizzare quella libertà nel mio lavoro. Credo che vivere tra Istanbul, New York e Milano abbia profondamente influenzato il mio linguaggio visivo. Ogni città ha lasciato la sua impronta: Istanbul con i suoi contrasti, tra tradizione e modernità, Oriente e Occidente. New York con la sua energia, audacia e un apprezzamento per la sperimentazione e il rischio. Milano, con la sua elegante tranquillità e le sue stratificazioni di storia, porta riflessione e una profondità diversa. Il linguaggio visivo che ho sviluppato è una sorta di sintesi, una risposta stratificata e in evoluzione alle atmosfere emotive e culturali che ho assorbito in ogni luogo.

Aprire uno studio a Milano segna un nuovo capitolo. Cosa ti ha spinto a stabilirti qui?
Aprire lo studio a Milano è stata un’esperienza entusiasmante e spontanea; Milano è sempre stata una città a me molto cara. Qui ho studiato vent’anni fa e ci sono tornata molte volte nel corso degli anni, per trascorrere del tempo in un luogo che mi fa sentire a casa. Avere uno studio qui mi ha permesso di sperimentare liberamente in un ambiente vivace, all’interno di una comunità di artisti e creativi. Essere qui e presentare il mio lavoro è diventato un’estensione naturale del mio percorso artistico, e questo dinamismo è attualmente molto stimolante per me.

La collaborazione con HIGH The Journal

Hai scelto di sostenere il progetto editoriale HIGH’s in-house organ, the HIGH The Journal curated by Artribune. In cosa riconosci una consonanza con la tua visione artistica?
Ciò che mi ha spinto a sostenere HIGH The Journal curated by Artribune è il suo impegno per la profondità, il dialogo e l’esperimentazione, valori che si allineano perfettamente con la mia pratica artistica. La rivista crea uno spazio per la riflessione, per lo scambio interdisciplinare, e per le voci che esplorano la complessità anziché semplificarla. Questo risuona profondamente con il mio approccio al lavoro: costruisco strati, invito a letture multiple e credo nel potere dell’arte di contenere emozione, pensiero e tensione materiale tutto insieme. Sostenere HIGH mi sembra come di fare parte di una conversazione più ampia su come l’arte e la moda possano interagire l’una con l’altra in un dialogo visivo.

Potresti condividere la tua idea del marchio HIGH e della cura nelle scelte sartoriali e nei materiali che lo rendono un punto di riferimento del Made in Italy?
Ciò che mi colpisce di più di HIGH è la sua meticolosa attenzione ai dettagli e alla maestria artigianale. Come artista che lavora con strati e texture, mi riconosco nel loro approccio attento ai materiali e al design. HIGH incarna l’essenza del Made in Italy, fondendo tradizione e innovazione in modo che risulti sia sofisticato che senza tempo. Non si tratta di seguire le tendenze, ma di creare qualcosa di unico e duraturo, che risuona profondamente con la mia stessa filosofia artistica.

Alessia Caliendo

Production Alessia Caliendo
Photographer Errico Fabio Russo
Muah Lucrezia Florindi
Production assistant Francesca Severino

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Alessia Caliendo

Alessia Caliendo

Alessia Caliendo è giornalista, producer e style e visual curator. Formatasi allo IED di Roma, si è poi trasferita a Londra per specializzarsi in Fashion Styling, Art Direction e Fashion Journalism alla Central Saint Martins. Ha al suo attivo numerose…

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