Il riuso della moda: da nicchia a trend

Sempre più colossi della moda stanno facendo propria la logica del riutilizzo, in linea con le esigenze dei compratori, particolarmente attenti alla sostenibilità e alla salvaguardia delle risorse naturali. E il fashion sbarca su Amazon.

Sono i numeri a parlare. Le strategie della grande distribuzione a confermarlo. Poi le ricerche di mercato agganciano il tutto al fenomeno generazionale. Per il consistente gruppo di consumatori formato da Millennial+Gen Y il resale (“usato”, “second hand”, “pre-owned” che dir si voglia…) si sta trasformando da fenomeno di nicchia a trend. Ricorda un certo “poverismo” Anni Settanta? Per niente: quello che lo ha rimesso in gioco è un mix fatto di disponibilità agli acquisti online e attenzione alla sostenibilità.  Che la prodizione di abbigliamento e accessori sia il settore produttivo più inquinante dopo l’estrazione degli idrocarburi è ormai patrimonio comune. Che questa nuova generazione di consumatori sia costituita di nativi digitali altrettanto.

COS

Si capisce allora perché Cos, marchio di proprietà della svedese H&M, lo sta sperimentando attraverso la piattaforma Resell, un nuovo tipo di commercio che consente alla community del brand di vendere i propri capi usati e di acquistarne di nuovi. La piattaforma ha debuttato all’inizio di settembre nel Regno Unito e in Germania e sarà attiva a livello globale entro la fine dell’anno. Questo ingresso nell’universo della sostenibilità non è una novità per Cos che, lo scorso anno, ha annunciato il lancio di Cos Restore, una collezione che raccoglie gli abiti danneggiati, provenienti o dalla supply-chain di Cos o restituiti dai consumatori, i quali, previa selezione, vengono sistemati e ripuliti così da essere di nuovo idonei alla vendita. Il gruppo H&M è inoltre già attivo nel campo del reselling grazie alla piattaforma generalista Sellpy, di cui il colosso svedese è proprietario di maggioranza.

Cos Restore

Cos Restore

ZALANDO

Lo scorso anno, GlobalData aveva previsto che il resale sarebbe cresciuto dai 24 miliardi di dollari nel 2018 a 51 miliardi di dollari entro il 2023. E la mossa di H&M non è rimasta isolata. Zalando (sede a Berlino, 34 milioni di clienti), la più potente tra le società di e-commerce in Europa, ha messo in campo una piattaforma specifica nel tentativo di assumere il controllo del resale, al momento assai frammentato, del continente. Gli indumenti raccolti, sistemati e fotografati vengono venduti per ora in Germania e Spagna, ma raggiungeranno altri quattro Paesi entro la fine di ottobre. Prima del lancio attuale Zalando ha sperimentato il resale sia offline che online per due anni. La società dal 2018 ha raccolto e venduto abbigliamento donna tramite un’app separata chiamata Zalando Wardrobe, che ora include anche abbigliamento uomo, calzature e accessori, ed è migrata sul portale principale di Zalando.
Qui i clienti potranno vendere 20 articoli alla volta e ricevere crediti sul sito per l’acquisto successivo.

LUCI E OMBRE DEL SECOND HAND

Quanto a sostenibilità l’esperimento messo in campo da H&M e Zalando avrà un impatto reale solo se i prodotti venduti verranno progettati per essere durevoli e senza tempo. È questa però una combinazione che richiede ai designer un modo di pensare diverso da quello attuale: concentrarsi sulla longevità di un indumento significa progettare pratiche innovative e sostenibili che coinvolgono l’intera filiera di approvvigionamento. Se è vero che il resale è un trend in espansione, cresciuto al di fuori di ogni spinta commerciale dei brand, ai marchi spetta ora esplorare le opportunità di vendita a prezzi premium di articoli rimasti invenduti magari poche stagioni precedenti; potrebbe essere un’impresa significativa tanto in termini di comunicazione che di logistica, e per di più che utile se questo significa investire meno nell’approvvigionamento e nella produzione di nuovi prodotti.

AMAZON E OSCAR DE LA RENTA

Mentre H&M e Zalando sperimentano il resale, Amazon prova a lanciare in questi giorni il suo nuovo Luxury store sulla sua app mobile. Il target è lo stesso: sempre loro, i Millennials+ Gen Y, interessati al resale ma capaci anche di comprare un’opera d’arte da 1 milione di euro  online (qui i numeri sono ovviamente molto più ristretti), gesto impossibile per un qualsivoglia Boomer. Primo brand partner di Amazon è Oscar de la Renta, non proprio una testa di serie ma purtuttavia un marchio che “risuona”: certamente per i membri Prime di Amazon che in USA stanno per ricevere tramite email un invito a provare il nuovo servizio a loro dedicato. Per la cronaca, Amazon vanta oltre 150 milioni di Prime, mentre oltre un miliardo di articoli moda sono stati gli acquistati moda nel 2019.
Certo, “the everything store” (così si autodefinisce il mostro creato da Jeff Bezos) non è noto per la vendita di articoli di fascia alta. Proprio per questo Amazon ha collaborato con Vogue America per l’iniziativa Common Threads, costituita per aumentare le vendite dei designer durante la pandemia. Da quando Common Threads è stato lanciato a maggio, non tutto è andato per il meglio: due marchi ‒ Tabitha Simmons e Chloe Gosselin ‒ sono se ne sono andati e tuttavia da allora Common Threads ha ne ha aggiunti altri dieci.
Ora, con la possibilità di acquisto in modalità mobile di capi di Oscar de la Renta, Amazon fa un altro passo avanti. Conta di far salire presto a bordo dei suoi luxury store molti altri, fornendo più libertà d’azione di quanto previsto in una partnership tradizionale con dep store o su un qualsiasi altro sito di e-commerce di lusso. Il team di Oscar de la Renta è oggi in grado di prendere decisioni in modo indipendente in merito all’ assortimento da proporre, ai prezzi, a cosa mostrare ai clienti e quando… niente buyer a fare da filtro. Anche il tipo di servizio offerto ai clienti per la spedizione è libero: può usufruire della logistica di Amazon ma anche utilizzare vettori diretti. Amazon e Oscar de la Renta hanno anche coprodotto un video di lancio, con Cara Delevingne, diretto da Bunny Kinney e disegnato da Jason Bolden. Ma in ogni caso l’innovazione più impressionante è il suo View in 360, una funzione di visualizzazione interattiva a 360 gradi che consente ai clienti di osservare come apparirà il capo selezionato su vari tipi di corporatura e tonalità della pelle, con più modelli per ogni taglia del vestito.
Il lavoro avviato nel 2020 da Amazon per penetrare nel cuore del fashion system non finisce qui: nel frattempo è stato siglato un accordo di collaborazione con il British Fashion Council per il lancio di una vetrina digitale dedicata a nuovi stilisti britannici attivi sulle sue piattaforme in Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito. Il progetto si chiama Amazon fashion x London fashion week e permetterà ai designer di disporre dei servizi di consegna Amazon e mostrare le loro collezioni ai suoi milioni di clienti.

E L’ITALIA?

Quello che sta avvenendo nella moda – esattamente come in altri settori produttivi ‒ è una trasformazione rapidissima, certamente accelerata dagli effetti della pandemia. Nuovi player stanno conquistando spazi impensabili sino a poco tempo fa.  Per questo nel nostro Paese è tempo che chi gioca da protagonista o si propone come tale (Pitti Immagine, CNMI, Altaroma) acceleri: lo scouting sulla “creatività” come unica (o prevalente) attività proposta all‘infinito è una foglia di fico che copre tutto e niente, occorre ben altro: occorre mettere in campo strategie e alleanze globali. O la partita questa volta la perdiamo definitivamente.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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