Progettare il post-pandemia. La nuova piattaforma del Circolo del Design di Torino

Il passato è strettamente connesso al futuro. Ne sono convinti i designer che hanno partecipato al progetto crossmediale lanciato dall’associazione torinese durante il lockdown, rintracciando nella produzione dei loro omologhi di venti, trenta o sessant’anni fa spunti utili per immaginare il mondo che verrà.

Mentre gli occhi di tutti noi sono puntati sul futuro post-pandemico che ci aspetta e sui cambiamenti che ci saranno ‒ o forse no ‒ nel nostro modo di vivere insieme, alcune risposte progettuali possono venire dal passato. Guardando, ad esempio, il progetto preparato nel 1964 da Le Corbusier per un nuovo complesso ospedaliero che avrebbe dovuto essere la prima importante realizzazione architettonica del dopoguerra a Venezia e che non fu mai realizzato, si nota un’attenzione alla gestione dei flussi che potrebbe essere d’ispirazione per un architetto che, oggi o in un immediato futuro, si trovasse a progettare un luogo di cura includendo nel suo orizzonte l’esistenza di un virus nuovo e altamente contagioso. Al terzo piano della struttura su pilotis immaginata dall’architetto svizzero, la degenza dei pazienti è organizzata secondo cellule a geometria variabile, con unità-letto che a seconda delle necessità possono essere isolate oppure messe in comunicazione con quelle attigue.
L’ufficio mobile gonfiabile e trasparente proposto da Hans Hollein nel 1969, decenni prima che la tecnologia permettesse il ricorso a quello che chiamiamo smart working, può essere letto oggi come uno spazio di lavoro portatile ma anche come un modo per isolarsi dagli altri ‒e dagli agenti patogeni eventualmente presenti nel loro respiro ‒ mantenendo un contatto visivo. L’esperienza del designer finlandese Ilmari Tapiovaara, che nel 1941 viene arruolato dall’esercito del suo Paese con il compito di progettare e costruire tutte le infrastrutture necessarie alla vita quotidiana delle truppe di stanza in Carelia Orientale, al confine con la Russia, con scarsissimi mezzi e il legname della foresta come unico materiale a disposizione, può insegnarci molto su come fare grandi cose con molto poco.

Le Corbusier, Proposta per l’ospedale di Venezia presso San Giobbe, 1964 (raccontata da Stefano Martorelli). Courtesy Circolo del Design di Torino

Le Corbusier, Proposta per l’ospedale di Venezia presso San Giobbe, 1964 (raccontata da Stefano Martorelli). Courtesy Circolo del Design di Torino

IMMAGINARE IL FUTURO

Questi esempi, e molti altri ancora, si trovano nel database costruito come esercizio da quarantena dal Circolo del Design di Torino, Welcome to the Post Analog Condition. Il titolo del progetto è una citazione dal libro The Age of Earthquakes: A Guide to the Extreme Present (L’era dei terremoti: guida al presente estremo, Blue Rider Press, 2015), scritto a sei mani da Shumon Basar, Douglas Coupland e Hans-Ulrich Obrist. L’obiettivo principale dell’iniziativa, partita durante la quarantena, era raccogliere spunti di riflessione provenienti da coloro che gravitano intorno al progetto ‒ curatori, critici, designer ‒ e organizzarli, dando vita a un serbatoio di idee dal quale una comunità più ampia potesse attingere per le sue ricerche. “All’inizio di marzo, quando è stato chiaro che sarebbe cominciato il lockdown, non sapevamo a cosa saremmo andati incontro, quanto sarebbe durato o che conseguenze avrebbe avuto”, racconta la direttrice del circolo Sara Fortunati. “Quello che facciamo di solito ovviamente era fuori discussione, perché ha un vero e proprio obiettivo di assembramento. Immediatamente, però, ci è sembrato più giusto non tanto trasferire in una formula online i contenuti su cui stavamo lavorando, bensì provare ad aprire un contenuto nuovo con cui stare dentro alla grande incognita che stavamo vivendo”.  Per questo lei ed Elisabetta Donati De Conti, coinvolta come curatrice, hanno fatto appello, in un primo momento a undici teorici del design, ai quali hanno chiesto di andare oltre le soluzioni tattiche che il loro ambiente di riferimento stava già offrendo, dalle mascherine alle valvole stampate in 3D, e provare a ragionare su un orizzonte più lungo. “Sono state conversazioni piacevolmente lunghe, fatte tra marzo e aprile, in una situazione di grande incertezza in cui eravamo tutti chiusi nelle nostre case, ed è stato a maggior ragione interessante aprire quegli spazi di socialità. Le interviste vanno lette in quell’ottica”.

Gruppo 9999, Proposta di concorso per la Nuova Università di Firenze, 1971 (raccontato da From Outer Space). Courtesy Circolo del Design di Torino

Gruppo 9999, Proposta di concorso per la Nuova Università di Firenze, 1971 (raccontato da From Outer Space). Courtesy Circolo del Design di Torino

PAROLA AI DESIGNER

Per dare al progetto una dimensione ancora più corale, il secondo step è stato rintracciare nelle undici interviste fatte a curatori, pensatori e critici altrettanti macrotemi da approfondire con i progettisti in maniera puntuale, utilizzando degli esempi tratti dalla produzione di loro omologhi del passato, più o meno noti. “Le prime undici interviste ci sono servite come apparato teorico”, spiega la curatrice. “Ma il designer non ragiona sul mondo e sulla società soltanto in maniera concettuale, vista la natura del suo lavoro ha bisogno di esperienze concrete”. I contributi dei designer coinvolti si muovono su terreni diversi con differenti livelli di concretezza. Si va, per esempio, da vere e proprie case history di successo come quella della Fiat Panda progettata da Giorgetto Giugiaro, raccontata da Giulio Iacchetti per sottolineare l’efficacia di una relazione diretta e non mediata con la committenza, a riflessioni più astratte sul rapporto tra uomo e natura come quella che Roberto Sironi costruisce ricordando una delle performance più note di Joseph Beuys, I like America and America likes me, in cui l’artista condivide per giorni lo spazio ristretto di una galleria d’arte con un coyote, e mettendola in relazione con la pericolosa prossimità tra uomo e animali che potrebbe aver portato al salto di specie del Coronavirus nel mercato di Wuhan. In comune hanno, però, il tentativo di fissare i punti di uno scenario futuro che, nel momento in cui scriviamo, appare ancora nebuloso. Qualcosa cambierà, o sta già cambiando? E in che modo? “Sicuramente la bolla in cui abbiamo vissuto porterà ad alcuni cambiamenti. Non credo che la formula dei festival sia destinata a cambiare completamente, o che tutto si sposterà online, però cambieranno alcune modalità di socializzazione legate alla cultura”, risponde Sara Fortunati. “Uno degli intervistati ci ha detto, off the records, che rinuncerà ad alcuni appuntamenti oltreoceano già fissati perché non ritiene più etico o costruttivo spostarsi in aereo per soggiorni molto brevi, magari per una mezza giornata di talk. E questo tema è tornato più volte nel dialogo con i designer”. “Stiamo capendo quanto sia inadatto rivolgersi al design distinguendo tra il prodotto e gli altri ambiti”, le fa eco Elisabetta Donati De Conti. “Uno dei nostri obiettivi è far comprendere anche quanto sia riduttivo ragionare in maniera individualistica. Dobbiamo sforzarci di creare un orizzonte comune perché la situazione richiede un nuovo pensiero”.

Giulia Marani

https://www.circolodeldesign.it/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giulia Marani

Giulia Marani

Giornalista pubblicista, vive a Milano. Scrive per riviste italiane e straniere e si occupa della promozione di progetti editoriali e culturali. Dopo la laurea in Comunicazione alla Statale di Milano si specializza in editoria a Paris X-Nanterre. La passione per…

Scopri di più