Fuorisalone, le mostre del distretto 5Vie raccontano un nuovo umanesimo

Giunto alla sua sesta edizione, il distretto del centro storico del Fuorisalone àncora la propria offerta ad un nucleo solido di mostre che non hanno paura di affrontare temi complessi.

Del rumore di fondo del Fuorisalone si parla a ragione da anni; delle strategie per sconfiggerlo, un po’ meno. In linea con un approccio già sperimentato negli anni scorsi e reso quest’anno ancora più essenziale e circoscritto, il circuito delle 5Vie presenta una serie di mostre che poco o niente hanno a che vedere con l’intento commerciale tout court e che non esitano ad affrontare temi strettamente ancorati a questioni antropologiche. Delineando un affresco in bilico tra arte e design che proprio dalla sua natura composita e dalla eterogeneità dei designer coinvolti sembra trovare il proprio punto di forza.

HUMAN CODE

È la mostra che più getta luce su una personalità complessa eppure, per ragioni prettamente anagrafiche, con un potenziale ancora da svelare. Con la curatela di Annalisa Rosso, il designer Roberto Sironi allestisce nei sotterranei del SIAM una ricerca senza soluzione di continuità sui fondamentali dell’antropologia. In scena ci sono serpenti che raccontano la rottura del mito, fuochi simbolo del concetto astratto di focolare, ossa, ma anche numeri al neon a testimoniare lo scioglimento di un ghiacciaio valdostano negli ultimi cento anni. E se, durante il tour di presentazione alla stampa, Sironi cita Kubrick, non possiamo fare a meno di pensare che del grande regista inglese il suo lavoro rifletta la capacità di condensare in un unico istante le domande esistenziali che si sono distribuite su un asse temporale di millenni, dimostrando allo stesso tempo profondità e inquietudine.

SIAM
Via Santa Marta, 18

L’ULTIMA CERA

Anton Alvarez, protagonista con una nuova serie di bronzi della mostra a cura di un pezzo da novanta del design internazionale, Nicolas Bellavance-Lecompte, ha quell’aria un po’ geniale di chi riesce con naturalezza a fare un passo più avanti degli altri: nell’approccio che l’ha caratterizzato, non basta lavorare ad una nuova serie di oggetti, ma bisogna anche costruire ex novo le macchine che li producono. Per l’occasione, ha messo a punto The Extruder, un estrusore potentissimo che plasma, con la complicità dell’intervento manuale di Alvarez, le forme in cera da cui sono ricavati i bronzi. L’effetto, decisamente scultoreo, sfida la forza di gravità e dà leggerezza ad una serie

Chiesa di san Bernardino alle Monache
Via Lanzone, 13

IL PESCE E GLI ASTANTI

Per la prima volta in Italia con una sua personale, il giovane designer libanese Carlo Massoud mette in scena nel piccolo Oratorio della Passione nel complesso di Sant’Ambrogio una selezione ragionata dal suo portfolio con la curatela di Maria Cristina Didero. La mostra è strutturata come una liturgia e della stessa conserva il senso di intimità: l’altare in onice, concepito per l’occasione e assemblato a mano dallo stesso Massoud con la complicità della sorella Mary-Lynn, ha la forma di un pesce intorno al quale si raccolgono tra gli altri la collezione delle velatissime Arab Dolls, le cementine che abbandonano i motivi floreali per scegliere inediti cactus, e gli oggetti in marmo della serie Cities. Coraggiosa e allo stesso tempo onesta, la mostra non ha paura di indagare su temi antropologicamente distanti dall’interpretazione edonista e instagrammabile oggi tanto in voga al Salone e sa mettere in luce il grande potenziale narrativo insito non solo nel tema del sincretismo religioso, ma anche di un design spesso “astante” eppure ricchissimo e meno prevedibile: quello mediterraneo.

Oratorio della Passione
Piazza Sant’Ambrogio, 23

DESIGN TERRITORIALE

Di Ugo La Pietra siamo tutti debitori: in tempi largamente non sospetti, il grande designer si è fatto paladino di una ricerca che ha stretto un abbraccio inscindibile tra la profondità culturale dell’artigianato italiano e la capacità di rinnovamento, spesso scanzonata, di cui i designer si fanno portatori: se oggi quest’approccio è diventato una pratica collaudata – si pensi alla bella edizione di Doppia Firma a Villa Mozart, in questi giorni al Salone – lo si deve a lui. Nel cortile di via Cesare Correnti, la sua ricerca è presentata attraverso una selezione dalla sua storica produzione di artigianato artistico realizzata con maestranze e materiali provenienti da tutta Italia, dalle ceramiche di Caltagirone e Vietri, all’alabastro di Volterra, ai mosaici di Spilimbergo. In un video girato in occasione della grande monografica in Triennale del 2015, La Pietra racconta con lucida semplicità la nascita del design territoriale e il vissuto antropologico che questa classe di oggetti mai muti incarna ancora oggi.

via Cesare Correnti, 14

CONNECT

In tempi di Brexit, muri e altre catastrofi, la capacità di generare empatia e di costruire ponti si afferma come una pratica necessaria, un esercizio da coltivare con metodo. Se ne fanno portatori Kiki Van Eijk e Joost Van Bleiswijk, coppia olandese nella vita e sul lavoro, che sempre in via Cesare Correnti presentano una serie di arredi articolati sull’idea di giunto – il pezzo che connette due diverse componenti di un mobile o un oggetto – tra cui una bella serie di tavolini in ottone, una lampada modulare e tubolare, una serie di consolle dalla spiccata ortogonalità. La loro ricerca, libera da preclusioni tipologiche anche perché non soggetta ai vincoli della committenza, ha il vanto di riuscire a tradurre una caratteristica progettuale in una più ampia chiave di lettura, a tutti gli effetti metaforica.

via Cesare Correnti, 14

-Giulia Zappa

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Giulia Zappa

Giulia Zappa

Laureata in comunicazione all’Università di Bologna con una tesi in semiotica su Droog Design, si specializza in multimedia content design e design management a Firenze e New York. Da oltre dieci anni lavora come design&communication strategist, occupandosi di progetti a…

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