Era una mostra imperdibile. Sì, usiamo un aggettivo abusato, utilizzato spesso a sproposito in chiave di puro marketing for dummies. Ma in questo caso ci pare nient’affatto fuori luogo. E visto che siamo nel solco delle ovvietà, lo approfondiamo: così come nella lingua degli inuit ci sarebbero decine di parole per definire la neve (che poi non è così, ma rimandiamo la lezione di linguistica), al pari in quel di Murano dire ‘vetro’ significa indicare un materiale che può assumere mille forme e fogge. E se ne possono inventare sempre di nuove, come fece Carlo Scarpa.
Ecco, la mostra e il catalogo (Skira, pagg. 492, € 70) di cui parliamo ha come soggetto proprio l’architetto – definiamolo così per semplicità – e il suo rapporto con Venini, azienda con la quale collaborò dal 1932 al 1947. Mostra e catalogo che presentavano, per essere realizzati, difficoltà pressoché insormontabili. Innanzitutto perché la produzione di Scarpa fu copiosa e in molti casi portò alla creazione di prototipi e pezzi unici. Ma un archivio aziendale non esiste, direte voi? Esiste, ma per lungo tempo si credette perduto in seguito all’incendio che devastò la fornace di Murano negli Anni Settanta, e ha necessitato di un difficile restauro. Il lavoro per catalogare e reperire gli oggetti è stato dunque particolarmente complicato, ma il risultato è di quelli, come si diceva, imperdibili.
La mostra era allestita sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia grazie all’impegno della Fondazione Cini e di Pentagram Stiftung, e costituiva la rassegna inaugurale del progetto Le stanze del vetro, ovvero un centro studi tutto dedicato all’arte vetraria, con mostre, biblioteca, convegni, archivio. Il catalogo è curato, al pari della esposizione, da Marino Barovier. Contiene alcuni saggi introduttivi (apre doverosamente Tobia Scarpa) e un regesto delle opere, suddivise a seconda della tecnica utilizzata/inventata. Esempi: A bollicine, Lattimi, Corrosi, A fili e fasce, Conchiglie…
Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #10
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