Tutti i giardini d’autore del Radicepura Garden Festival 2025
Estate 2025 in Sicilia? Fate tappa alla biennale internazionale dedicata al garden design e all'architettura del paesaggio nel Mediterraneo in corso a Giarre, nel catanese. Dopo l’intervista al direttore artistico di questa edizione, il paesaggista Antonio Perazzi, ecco i progetti esposti

La Tour d’y voir, torre per vedere meglio di Michel Péna è un giardino verticale che tiene fede al suo nome: ammantata di falso gelsomino in scioccante, sfacciata fioritura, schiude le mille e una notte del sogno e della memoria mentre emergiamo alla luce mediterranea della terrazza. Una luce che è rivelatrice: da qui si spalancano l’Etna e il mare, opere di Baronetto, Bonanno, Isgrò, Leotta, Paci, Lauretta, e giardini di artisti del paesaggismo internazionale. Il magistero semplice e raffinato di Vento e Acqua di Paolo Pejrone, Home ground scacchiera poetica di acqua e alberi disegnata da Antonio Perazzi, le materne concavità di Layers di Andy Sturgeon, e ancora Kamelia Bin Zaal, James Basson, Francois Abèlanet. Giunta alla sua quinta edizione, Radicepura Garden Festival può essere molto più di una stabile biennale dedicata al giardino mediterraneo.
Il tema e i progetti del Radicepura Garden Festival 2025
Accoccolata alle falde dell’Etna e delle sue ere geologiche come sul grembo di una grande madre, Radicepura si prende il tempo di fare le cose come natura comanda. Si accomoda di stagione in stagione nel respiro del cosmo e, ogni due anni, rinnova la sua collezione straordinaria di giardini contemporanei. Fortini di resilienza praticata, pronti a provocare un mondo intorpidito dalla banalità dei giardinetti, dai parchi funzionali senza fantasia, dalle intellettualità delle urban regeneration nel segno di un green-washing senza senso. Il tema di questa edizione attecchisce benissimo tra la violenza della lava inarrestabile e le fertilissime terre vulcaniche: “Chaos (and) Order in the Garden. Quando ho scelto questo tema”, racconta Antonio Perazzi, paesaggista e scrittore, direttore artistico del festival, “volevo che la congiunzione tra Caos E Ordine fosse un elemento che tenesse in tensione i due contrapposti: il caos come entropia, forza fuori controllo, forza transitoria capace di prendere forme migliori”. Tema classico declinato nel presente delle sfide ambientali, energetiche, climatiche: “Radicepura deve essere un luogo in cui non si fa design fine a sé stesso ma si sperimentano combinazioni in un luogo generoso” prosegue il direttore artistico. Chiamati a trovare la quadra tra egoistico iperconsumismo e la nouvelle vague di un ecologismo intransigente, i dieci paesaggisti under 36 selezionati da una call internazionale ci invitano a esplorare il nostro tempo in giardini scapigliati, lussureggianti, desertici. O almeno lo saranno: oggi, appena piantati, vi imporranno di immaginare in parte il futuro prossimo delle piante.
A Giarre la quinta edizione della biennale del paesaggio mediterraneo
Koni Chan e Rose Tan, garden designer di Hong Kong, sono autori di Intricate Dance of Armonic Contrast: superficie di cemento che si crepa, soccombendo alla riconquista vegetale. Giardino dalla forza urban, divaga dal The Rose that grew from the concrete del rapper Tupac e riflette sulla fragilità delle nostre città, su cui incombe la forza della natura pervasiva e dirompente.
Echoes è un’esperienza cerebrale, sofisticata nei dettagli. Dalla pavimentazione cheap-scape di cocci alle associazioni vegetali, questo giardino concepito da Claudio Bussei eccita i diversi percorsi della memoria con la suggestione delle piante: ora spinose, ora essenze odorose. Non da poco che l’uso di specie autoctone stemperi la memoria personale in quella ancestrale del Mediterraneo.
Guđmundur Björnsson, islandese, si è avvicinato all’Etna con profondo rispetto. Ignivomus Hortus è ispirato al paesaggio vulcanico sommitale, metafora del surriscaldamento globale ma non solo. In una raccolta concavità di sabbia nera, più minerale che vegetale, si raccoglie l’epopea delle piante colonizzatrici di questo ambiente apparentemente inospitale: la santolina, la salvia, la ginestra, l’astragalo. Di segno opposto Living Fence: Asmita Raghuvanshy, Parth Patankar e Amol Nimkar, esportano fiduciosi il metodo Miyawaki e fanno implodere, in pochi metri quadrati, una fitta consociazione di piante autoctone. Un caos indotto e moltiplicato, foresta intricata di chiome e cespugli che diventa confine, barriera, riempimento, adattabile senza eccesso anche in ambiente urbano.





I giardini d’autore del Radicepura Garden Festival 2025, tra ordine e caos
Il miracolo di Quasimodo dei fratelli Carlo Federico e Franco Enrico Serra è una scenografia teatrale, vibrante di tensione: da un lato monumentali radici ripulite dal tempo e fluttuanti nell’aria, monumento organico nel loro pallore; dall’altra una carnosa, foltissima vegetazione. Stessa ambivalenza usano Monica Torrisi e Giada Straci che in Mira giocano con un muro traforato. Da un lato l’elenco di riquadri incornicia le piante, irrigidisce la conoscenza. Prerequisito per destrutturare e applicare le regole del caos: dietro il muro-paravento si stende un fresco giardino a schema libero. Con la memoria dell’approccio pittorico di Gertrude Jekyll, Parita Jani, insieme a Urvish Bhatt, dipinge un quadro astratto dall’esuberante cromatismo e pesca nella profonda conoscenza visiva della botanica: ogni colore si fa vegetazione nel loro The Rumbctious Garden, in cui oltre 50 specie uniscono estetica ed ecologia, destinate a un fluido mescolarsi di stagione in stagione. Nel The Garden of the Mazari Palm, invece, lo statunitense Nicholas Roth si avventura in una sua interpretazione del paesaggio afghano, dove tutto è necessario e nulla è superfluo, correndo l’azzardo della autenticità. Il totemico Giardino di Terra di Vincent Dumai e Baptiste Wullschleger è articolato da una sequenza di monoliti di terra compattata, dalle superfici scanalate, destinato a disfarsi come tutte le opere umane con l’erosione di pioggia, vento e sole. Marta e Fernanda Gamarro, infine, usano vasi in terracotta come elementi seriali di una articolata architettura-rifugio: il loro Patio, totalmente riutilizzabile e dai colori di marca andalusa, ospita piante accudite nella cattività di una pottery mediterranea.






In Sicilia anche il progetto della pluripremiata paesaggista internazionale Sarah Eberle
Last but not least: Sarah Eberle, madrina di questa edizione, paesaggista internazionale, pluripremiata al Chelsea Flower Show. Al cospetto dell’Etna, frontiera dell’ordine e del caos che fa polpette dei modelli dell’universo e del tempo, Sarah Eberle si rifugia in un giardino che, a queste latitudini e a prima vista, sembrerebbe di grande routine. Anche il titolo è spiazzante: A postcard from Sicily. Alberi agli angoli, al centro una monumentale giara di terracotta da cui fa capolino un polpo-simulacro che ingaggia la curiosità: suggestione dei relitti sommersi, memoria dei millenari scambi commerciali, dell’Isola crocevia. Con questo espediente Eberle ci aggancia con il suo storytelling, dove le piante sono protagoniste: in fondo è in Sicilia che Goethe cercava la urpflanze, la pianta primigenia. Ed Eberle incornicia e condensa l’Isola fino a farne modello estetico, luogo delle contaminazioni, delle piante viaggiatrici, della biodiversità si dice oggi. All’ombra del rustico carrubo, dell’olivo, del pistacchio, e dell’immancabile limone re degli agrumi, le alte piante di finocchio, la sempreverde e robusta euforbia, l’artemisia, il cisto, la valeriana, la palma, e piante che vengon da lontano, tra cui aloe sudafricana, cycas del Giappone, plumeria pudica con i suoi fiori candidi, farfugium japonicum dalle foglie cordiformi verde smeraldo. Con esercizio di grande umiltà, Eberle sta un passo indietro e ritrae la Sicilia per come essa è: una sintesi rispettosa ed elegante, che può ricordare la nostalgia del giardino di Alcinoo come le sofisticate raccolte botaniche di gattopardesca memoria. Non era difficile, si dirà. Ma se fosse firmata Dolce & Gabbana questa cartolina sarebbe sulla copertina di tutte le riviste.
Perché vale la pena visitare il Radicepura Garden Festival 2025
In ordine sparso, un ventaglio di indagini e possibilità, di ipotesi e interrogativi, variegato, contraddittorio, frammentario, magnificamente imperfetto e molteplice. Tra pragmatismo e utopia, una raccolta in cui caos e ordine si contaminano, fino a confondersi, con l’idea di informale e formale, selvaggio e domestico, spontaneo e artificiale, fino all’estrema opposizione Natura e Uomo. E la portata di questo equivoco perenne è, alla resa dei conti, quanto di più tormentoso. Dal Wild gardening di Robinson a Gertrude Jekyll (“ogni pianta ha il suo posto”, diceva), da Richard Mabey fino ad Antonio Perazzi (e al suo Elogio delle Erbacce) e al Jardin Ensauvage di Louis Jones, emerge una tensione inesausta alla ricerca di un giardino risorgente, capace cioè di sopirsi e destarsi, di morire e rinascere da solo. Ecco, un giardino perfetto, divino: che sopravviva anche senza il giardiniere. Non è forse questa la chiave per l’immortalità?
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Gabriele Mulè
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