I grattacieli sono edifici monumentali firmati da grandi architetti. È giusto ricoprirli di loghi?
Il recente crollo dell’insegna di Generali sulla torre progettata da Zaha Hadid a Milano ci fa interrogare sulla necessità di un tale esibizionismo commerciale, soprattutto se privo di criteri estetici e architettonici

Mentre scrivo questo articolo, una squadra di operai si barcamena sotto un sole assassino nel tentativo di mettere in sicurezza l’ingombrante insegna sulla cima di un grattacielo di Milano che nel frattempo è parzialmente venuta giù. Non voglio entrare nel merito dell’incidente. Gli incidenti capitano anche se sarebbe meglio non capitassero a 200 metri d’altezza, sospesi su una frequentatissima piazza pedonale e un parco gremito di bambini: le conseguenze potevano essere oggettivamente tragiche. Scongiurati i drammi, possiamo prendere spunto dall’episodio per parlare di insegne e magari allargare il discorso alla tutela degli edifici contemporanei.
I grattacieli hanno un valore architettonico
Se da un lato ogni minima modifica ad un edificio storico viene vissuta come lesa maestà o violenza (anche quando così non è), pare non esistere nessuna grande attenzione per edifici di nuova costruzione. Eppure, anche loro sono pezzi dell’identità della città, del suo profilo, anche loro sono progettati da grandi architetti, anche loro sono in qualche modo storia dell’architettura e possono essere considerati monumenti quantomeno a livello valoriale.

La questione delle insegne sui grattacieli
E però – se restiamo a Milano – risulta del tutto normale collocare delle ingombranti insegne pubblicitarie sopra a strutture progettate da Cesar Pelli (la torre Unicredit e la torre Isy Bank), da Kohn Pedersen Fox (il Diamantone di BNP), da Mario Cucinella (la torre Nido di Unipol) o da Citterio & Viel (i Portali di KPMG o la torre Faro ancora in costruzione che avrà il logo di A2A). Stessa sorte anche per Daniel Libeskind sulla cui torre curva milanese sta il brand di PWC e per Arata Isozaki con le insegne Allianz. E infine lei, la torre di Zaha Hadid per Generali che ha beneficiato – o meglio ha subìto – dell’intervento più impattante. Una corona rossa a ricalcare la sagoma della pianta dell’edificio capace addirittura di incrementarne l’altezza e modificarne quindi le proporzioni. Proprio questo intervento così invasivo è venuto giù interrogandoci sull’opportunità di un così eccessivo esibizionismo commerciale.
Il problema non è tanto la brandizzazione dell’edificio…
Per carità: la visibilità del logo è un valore economico. E chi affitta i grattacieli per gli uffici delle grandi corporation sa che questo valore va monetizzato. Non c’è nulla di strano. Sebbene in molte città questo insistito inquinamento visivo sul panorama urbano non sia contemplato: non succede a Londra, non succede a New York, a Francoforte o a Madrid succede in modo morigerato. C’è anche da ammettere che tutto questo è sempre avvenuto in passato, anche andando molto indietro nella storia. I palazzi nobiliari avevano tutti un grande spazio per lo stemma di famiglia e in facciata iscrizioni grandiose che raccontavano la costruzione magnificando i benefattori che avevano investito sulla stessa. Erano i brand e le pubblicità dell’epoca. Per non parlare delle chiese.
È possibile una terza via?
C’è da capire insomma se tra l’oggettiva volgarità (e perfino pericolosità a quanto pare) delle insegne milanesi e l’assenza totale di insegne che forse potrebbe costituire una eccessiva penalizzazione economica, ci possa essere una via di mezzo. Una strada intermedia che garantisca la visibilità dei brand e tuteli la rilevanza paesaggistica e architettonica delle torri, dando loro la dignità che meritano in quanto elementi identitari della città e in quanto edifici firmati da grandi nomi dell’architettura contemporanea. Insomma, che rappresenti un rischio di crollo o meno, non dovrebbe proprio essere consentito realizzare una corona in lamiera rossa e piazzarla sulla testa di una torre progettata da Zaha Hadid. E non importa se lo studio di Zaha Hadid ha dato il permesso…
Massimiliano Tonelli
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