Ogni architettura è architettura dell’acqua: la Catalogna alla Biennale Architettura 2025 

Evento collaterale della Biennale Architettura in corso a Venezia, “Water Parliaments: Projective Ecosocial Architectures” è un progetto (non solo) espositivo che vuole rafforzare la consapevolezza sul futuro dell’acqua. E quindi sulla nostra sopravvivenza

Non ha dubbi l’architetta, curatrice, ricercatrice e docente universitaria catalana Eva Franch i Gilabert: “Gli architetti hanno il dovere di progettare ciò che nessuno chiede: futuri radicali, infrastrutture speculative ed ecologie della cura”. Lo afferma mentre spiega Catalonia in Venice_Water Parliaments: Projective Ecosocial Architectures, l’evento collaterale, commissionato e prodotto dall’Institut Ramon Llull, della 19. Mostra Internazionale di ArchitetturaLa Biennale di Venezia. Nell’edizione della kermesse lagunare in corso fino al 23 novembre prossimo, l’istituzione pubblica che promuove la lingua e la cultura catalana nel mondo ha scelto di affidarsi alla curatela della già citata Franch i Gilabert e degli architetti Mireia Luzárraga e Alejandro Muiño (alla guida dello studio di architettura e ricerca TAKK, con sedi e Barcellona e New York) e di affrontare il tema delle risorse idriche in un’ottica non solo locale. 

Water Parliaments. Il team curatoriale - Alejandro Muiño, Eva Franch i Gilabert, Mireia Luzárraga. Photo by Institut Ramon Llull
Water Parliaments. Il team curatoriale – Alejandro Muiño, Eva Franch i Gilabert, Mireia Luzárraga. Photo by Institut Ramon Llull

Alla Biennale Architettura 2025 la Catalogna ragiona sulla gestione delle risorse idriche  

Il risultato è un progetto multiforme e articolato, che si interroga sulla crisi idrica – con i suoi drammatici e talvolta conflittuali riverberi nel paesaggio e nell’ambiente costruito –, non solo attraverso i contributi esposti negli spazi dei Docks Cantieri Cucchini, nel sestriere di Castello. In una fase storica in cui, non solo in Italia, l’impalcatura partecipativa su cui si basa l’assetto democratico appare in crisi, Water Parliaments fa esplicito riferimento alla dimensione di scambio e ascolto che dovrebbe essere propria del parlamento per incoraggiare ogni singolo visitatore a una maggiore consapevolezza come cittadino. In particolare di fronte a un ambito, come quello dell’acqua e delle sue molteplici implicazioni, che riguarda chiunque, ovunque. Un processo che si concretizza non solo nella mostra fisica, a sua volta caratterizzata da un composito layout che simula l’inafferrabile fluidità dell’acqua attraverso una tensostruttura sospesa negli interni della dismessa sede produttiva veneziana. È in questa sorta di “cangiante bozzolo”, in perpetua metamorfosi, che si snoda una narrazione in cui centrali sono sette installazioni (Fontane dei Dati, Sala dei Sedimenti, Porte Idriche, Pyrineucus-Eco-Hydrator, Denominazione di Destinazione, Comunità di Falde Acquifere, Acque del Mondo): prendono in esame in cui criticità e situazioni legate ai contesti della Catalogna, di Valencia e delle Isole Baleari, fornendo risposte di respiro internazionale. 

Water Parliaments, Llull 2025. Photo Flavio Coddou
Water Parliaments, Llull 2025. Photo Flavio Coddou

Il progetto Water Parliaments oltre la Biennale Architettura 2025 

Oltre il contesto della Biennale propriamente intesa, il progetto Water Parliaments muta, si ramifica e, come l’acqua, si manifesta in molteplici stati. Lo fa con la pubblicazione 100 Words for Water: A Vocabulary (sostenuta dall’Institut Ramon Llull e dal Collegi d’Arquitectes de Catalunya (COAC), e pubblicata da Lars Müller) e, soprattutto, con un archivio online in costante espansione ribattezzato L’Atlante: Architetture dell’acqua. In entrambe queste modalità, così come nell’iter che ha preceduto la mostra, si può riconoscere una forma di adesione all’invito espresso dal direttore della 19. Mostra Internazionale di Architettura, Carlo Ratti, a “sfruttare tutta l’intelligenza che ci circonda”. Nel primo caso, quello del libro, diffondendo oltre 100 definizioni relative all’acqua elaborate da esperti di tutto il mondo; nel secondo ponendo le condizioni per condividere buone pratiche, percorsi, saperi, tecniche sull’acqua, sulla sua gestione, sui diritti a essa legati. 

Eva Franch i Gilabert, Mireia Luzárraga, Alejandro Muiño, Laboratoris de Futurs. Image by 15L Films, Xavi Garcia Martinez. Courtesy of Water Parliaments
Eva Franch i Gilabert, Mireia Luzárraga, Alejandro Muiño, Laboratoris de Futurs. Image by 15L Films, Xavi Garcia Martinez. Courtesy of Water Parliaments

A dialogo con la curatrice catalana Eva Franch i Gilabert 

Lei è considerata una delle più autorevoli voci dell’architettura internazionale. Ritiene che, soprattutto in Europa, la crisi idrica sia sottovalutata da architetti e amministratori? 
Sì. Nonostante la crescente consapevolezza nelle comunità scientifiche e ambientaliste, in Europa la crisi idrica è ancora spesso sottovalutata, in particolare nel modo in cui viene affrontata da architetti e politici. 

Ovvero? 
Gran parte del settore legato all’ambiente costruito continua a trattare l’acqua come un’utilità invisibile piuttosto che come un agente ecologico, sociale e politico fondamentale. L’infrastruttura idrica – la sua scarsità, la sua cattiva gestione e il suo impatto ecologico – raramente rientra nel dibattito architettonico o nella progettazione politica in modo integrato e lungimirante. Questa sottovalutazione non è solo tecnica, ma anche culturale. Water Parliaments sfida questo fenomeno ponendo l’acqua al centro della speculazione architettonica, proponendo non solo risposte sostenibili, ma anche cambiamenti sistemici nel modo in cui viviamo l’acqua e legiferiamo su di essa. 

Nel recente passato, alla Biennale di Venezia 2023, alcuni padiglioni nazionali si erano concentrati sull’acqua, dal Portogallo, con Future Fertile, alla Danimarca con Coastal Imaginaries. Nel 2025, con Water Parliaments, quali buone pratiche rendete note e disponibili per tutti? 
Quelle radicate nei territori catalano, balearico e valenciano, che però si espandono anche a livello globale attraverso l’open call e l’Atlante online. Sono pratiche che offrono modelli scalabili e ispirano a pensare in termini multispecie, trasversali, locali-globali quando si affronta il futuro dell’acqua. 

Qualche esempio? 
Tra questi: gli strumenti collaborativi di citizen science, come le Fontane di Dati a Barcellona, che trasformano il monitoraggio delle acque in un atto partecipativo. Le strategie ecologiche rigenerative, come quelli della Sala dei Sedimenti per il Delta dell’Ebro, che ripensa i flussi di sedimenti e sfida la mancata azione amministrativa. In Porte Idriche c’è poi la resilienza urbana basata sulla comunità, che mette in discussione gli obsoleti codici edilizi emersi dalle recenti alluvioni a Valencia. In Comunità di Falde Acquifere si rivelano sistemi invisibili, che nelle Isole Baleari ricollegano le persone alle falde acquifere sottostanti. Con Denominazione di Destinazione, che visualizza il percorso planetario dell’acqua locale attraverso le colture esportate, parliamo di consapevolezza della sovranità alimentare e idrica. 

L’architettura? Deve diventare uno spazio di polifonia 

Quanto esposto in questi mesi a Venezia è una parte del progetto Water Parliaments. La mostra è stata preceduta da un semestre di lavoro con istituzioni culturali nei territori catalano, balearico e valenciano; avete curato un libro e aggiornate l’Atlante online. Puoi spiegarci i dettagli di questo ampio iter curatoriale? 
È stato profondamente radicato nel coinvolgimento territoriale; si è sviluppato in tre formati principali, a partire dai Laboratoris de Futurs (Laboratori del Futuro): si trattava di workshop partecipativi tenuti in sei località idrologiche strategiche in Catalogna, Valencia e nelle Baleari. Hanno riunito scienziati, agricoltori, artisti, designer e attivisti in conversazioni multidisciplinari. Ogni workshop ha prodotto una diagnosi locale e una risposta speculativa, successivamente integrate nella mostra e nel film. 

E poi? 
C’è quindi il libro 100 Words for Water: a projective ecosocial vocabular: un glossario collettivo che ridefinisce il nostro rapporto con l’acqua attraverso oltre 100 termini scritti da pensatori globali. È uno strumento fondamentale per spostare il discorso dall'”estrazione di risorse” alla cura multispecie. Infine, online su www.waterparliaments.org, è accessibile un database aperto e in continua crescita di pratiche architettoniche ed ecologiche legate all’acqua, sia del Mediterraneo che a livello globale. Permette a tutti di contribuire e mappare gli immaginari idrici emergenti. Si possono inviare nuove proposte qui. Questo approccio curatoriale multiscalare garantisce che la mostra non sia isolata, ma inserita in un dialogo a lungo termine, con un lavoro sul campo e nella produzione di conoscenza. 

Come architetta e curatrice, cosa auspica che i visitatori ricordino di Water Parliaments? 
Spero che escano dalla mostra con tre profonde intuizioni. La prima: abbiamo bisogno di parole nuove per immaginare nuovi futuri. Il linguaggio plasma le nostre possibilità architettoniche. Senza trasformare il modo in cui parliamo dell’acqua, non possiamo trasformare il modo in cui la progettiamo. In secondo luogo che dobbiamo ascoltare voci inaspettate: non solo gli esperti, ma anche gli agricoltori, i fiumi, i flussi di sedimenti e persino i miti. L’architettura deve diventare uno spazio di polifonia. E forse, cosa più importante, che gli architetti hanno il dovere di progettare ciò che nessuno chiede: futuri radicali, infrastrutture speculative ed ecologie della cura. Water Parliaments ci ricorda che l’architettura non riguarda solo gli edifici, ma anche la creazione delle condizioni affinché la vita, umana e non umana, possa prosperare. 

Valentina Silvestrini 

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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