A Venezia nasce OSA. Un laboratorio civico per restituire un bene pubblico ai cittadini

Nel sestiere di Castello prende vita l’Osservatorio Sant’Anna: un progetto di rigenerazione urbana partecipata che si oppone alla monocultura turistica per restituire voce, spazio e potere decisionale alle comunità residenti. Negli spazi di un’ex infermeria militare

In una Venezia sempre più assoggettata alla logica del profitto e alla rendita turistica, OSA – Osservatorio Sant’Anna si configura come un gesto culturale e politico in decisa controtendenza. Nato nel cuore resistente del sestiere di Castello Est – una delle ultime aree del centro storico ancora stabilmente abitate – il progetto coinvolge abitanti ed esperti per ripensare le sorti del complesso di Sant’Anna, presentandosi come “un percorso di rigenerazione a lungo termine, generato dal confronto con la cittadinanza, dalla sua partecipazione consapevole, dalla messa in parola di timori, aspirazioni, bisogni”, come racconta Maria Eugenia Frizzele – ricercatrice indipendente in politiche culturali, nonché promotrice dell’iniziativa – che in 29 anni ha visto stravolgere la conformazione del quartiere in cui è cresciuta. Ad affiancarla nel sovvertire questa deriva ci sono il curatore e progettista culturale Matteo Binci e il duo di architetti Lemonot, composto da Sabrina Morreale e Lorenzo Perri. Dopo anni di abbandono e tentativi di speculazione privata, il collettivo ha ottenuto in concessione provvisoria dall’Agenzia del Demanio l’ex infermeria militare del complesso, che durante singole giornate distribuite nell’arco di sei mesi verrà trasformata in uno spazio attivo e condiviso, con il supporto tecnico dell’associazione Marche Arte Viva.

Sant’Anna a Venezia: tra abbandono, speculazione e difesa dei beni comuni

Sorto nel 1242 come convento benedettino, il complesso di Sant’Anna ha attraversato secoli di trasformazioni, da luogo di culto a Collegio della Marina nel periodo napoleonico, fino a diventare Ospedale della Regia Marina dopo l’Unità d’Italia. Successivamente, in tempi più moderni, il comune di Venezia, in accordo con il Demanio, iniziò a recuperare alcuni spazi dell’ex convento, sviluppando 103 alloggi. Tra il 2009 e il 2010, tetti e coperture dell’ex infermeria sono stati messi in sicurezza, ma a oggi l’ex ospedale, assieme alla chiesa e alla cappella sono edifici vuoti e inutilizzati. L’area è stata poi inserita, insieme a San Pietro di Castello, nel quadro del Federalismo Demaniale Culturale: questo dispositivo normativo, promosso dallo Stato italiano, consente agli enti pubblici di acquisire beni demaniali per destinarli alla valorizzazione culturale tramite soggetti terzi. Nel 2020, però, una proposta di riconversione privata – avanzata dalla società francese ARTEA – aveva previsto la trasformazione dell’area in una struttura di co-living e co-working di fascia alta, destinata a una clientela internazionale. Una “valorizzazione” che ha incontrato forte opposizione da parte della cittadinanza, portando alla nascita del movimento “Salviamo San Piero e Sant’Anna”. OSA si è quindi contrapposta a questa progettualità — conclusasi senza esiti concreti — affermandosi come un’alternativa capace di offrire proposte sostenibili e di introdurre un nuovo modello di utilizzo dei beni comuni.“Come architetti e docenti, siamo interessati a progettare quei meccanismi che stimolano ed aiutano a costruire un certo senso di appartenenza, soprattutto in relazione ai luoghi”, racconta Lemonot. “Tentiamo di promuovere l’educazione e la conoscenza del territorio come strumenti attivi per la salvaguardia di quei patrimoni potenzialmente disponibili per la collettività”.

Il programma e il primo incontro di OSA

Da aprile a ottobre 2025, Frizzele, Binci e Lemonot condurranno una serie di workshop, iniziative culturali, azioni collettive e momenti di confronto pubblico con l’obiettivo di restituire centralità alla comunità locale nei processi decisionali e dimostrare che Venezia può (e deve) essere ripensata a partire da chi la vive ogni giorno. Il fulcro del programma è l’attivazione dell’ex-infermeria in una “clinica urbana”, uno spazio in cui osservare i sintomi della crisi che affligge la città – in primis il sovraffollamento turistico – e sperimentare pratiche collettive e partecipate. Il primo appuntamento si è tenuto il 9 maggio: un tavolo di lavoro aperto ha coinvolto architetti come Lisa Fior (Muf Architecture, Londra), Francesco Apuzzo (Raumlabor, Berlino), Ezio Micelli, docente allo IUAV, Ingrid Schroder (AA Director, Londra), Sandra Denicke-Polcher (RCA, Londra), insieme a professionisti e studiosi come Andrea Perini di Terzo Paesaggio, la filosofa e teorica dell’architettura Lidia Gasperoni, residenti e rappresentanti dell’Agenzia del Demanio.“Quello che è emerso da questo primo incontro” racconta Frizzele “è sicuramente la necessità di creare una quotidianità nel luogo, per quanto possibile, già in questi sei mesi, quindi una serie di attività che non siano dei momenti puntuali di esibizione, ma proprio creare una continuità e costruire una comunità intorno allo spazio che se ne prenda cura e che possa davvero abitarla in base alle proprie esigenze”.

OSA - Osservatorio Sant'Anna (assemblee e interni chiesa). Credits foto chiesa Giacomo Bianco. Photo assemblee Sabrina Morreale
OSA – Osservatorio Sant’Anna (assemblee e interni chiesa). Credits photo chiesa Giacomo Bianco. Photo assemblee Sabrina Morreale

OSA può essere un modello replicabile di rigenerazione partecipata?

Guardando al futuro, OSA ambisce a molto più di un semplice intervento di sei mesi. L’obiettivo a lungo termine è delineare un progetto solido per la rigenerazione duratura del complesso, in risposta alla carenza di servizi essenziali e, più in generale, alla scarsa attenzione riservata sia ai giovani sia agli anziani. “Nel tempo, lo spazio dovrà necessariamente adattarsi a queste esigenze”, afferma Frizzele. “Immaginiamo luoghi dedicati alla sperimentazione, alla socialità, alla partecipazione, senza direttive imposte dall’alto”. Il collettivo guarda, quindi, alla permanenza e alla tenuta nel lungo periodo, come evidenzia anche Lemonot:“Alcune decisioni andranno prese con urgenza, per arginare fenomeni di gentrificazione che rischiano di cambiare drasticamente ed irrimediabilmente il tessuto socio-culturale del quartiere, ma saranno alternate a momenti di ascolto, riflessione e co-creazione più lenti – in ogni modo sempre coinvolgendo la cittadinanza in maniera diretta e operativa”.
In una città sempre meno vivibile per chi la abita, OSA si presenta non solo come una risposta concreta, ma anche come un paradigma possibile per affrontare la sfida comune a tutti quei centri che aspirano a resistere e a costruire la propria dignità urbana.

Carolina Chiatto

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Carolina Chiatto

Carolina Chiatto

Cresciuta in provincia di Potenza, si laurea in Scienze dell’Architettura presso l’università di Roma Tre. Dopo aver vinto una borsa di studio con l’università di Cagliari per partecipare a un corso di formazione per giovani imprenditori, si appassiona al mondo…

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