Storia della progettista italiana che vuole salvare l’Antartide

Architetta, ricercatrice, attivista, docente, fondatrice dello studio d’architettura UNA e dell'agenzia non profit UNLESS, Giulia Foscari si occupa dell’Antartide. Continente fragile e conteso, è il solo privo di popolazione indigena che possa rivendicare i diritti territoriali. Essenziale per la nostra sopravvivenza, sfugge all’interesse di media e collettività

Alla Biennale di Architettura “post pandemica” curata da Hashim Sarkis, dal titolo How will we live together?, in tanti hanno conosciuto per la prima volta la ricerca collettiva Antarctic Resolution. Oltre a un libro “esploso” lungo 7 metri, per presentarla era stata concepita “un’opera che potesse travolgere il visitatore e trasmettere, seppur in modo astratto, il sentimento di emozione e inquietudine che ho provato in occasione della mia spedizione in Antartide”, racconta a due anni di distanza da quell’esperienza l’architetta Giulia Foscari Widmann Rezzonico. “Consapevole dell’impossibilità di rendere giustizia all’imponenza del deserto bianco attraverso immagini, ho deciso di ri-produrre il suono allarmante delle masse ciclopiche dei ghiacci dell’Antartide che si fratturano a ritmo sempre più accelerato. Per farlo Foscari scelse Arcangelo Sassolino, “un artista che realizza opere potenti utilizzando come ‘elementi’ fisici e concettuali della sua arte (prevalentemente scultorea) le forze che agiscono in natura. Elaborando dati scientifici e studiando le registrazioni forniteci dal glaciologo, recentemente scomparso, David Vaughan, Arcangelo ha saputo evocare con eloquenza drammatica i fremiti glaciali dell’Antartide con un’opera, un grande parallelepipedo di acciaio, in cui l’immissione ed estrazione di aria inducono una serie di deformazioni che producono suoni e tuoni allarmanti”. Dal 2021 a oggi, il lavoro di Foscari e della sua agency for change UNLESS non ha conosciuto battute d’arresto: a Toronto è stata appena inaugurata una mostra sul tema ed è stata lanciata la versione Open Access del pluripremiato libro Antarctic Resolution.

Un ritratto di Giulia Foscari W. R. Image courtesy of UNLESS ©️ Delfino Sisto Legnani

Un ritratto di Giulia Foscari W. R. Image courtesy of UNLESS ©️ Delfino Sisto Legnani

INTERVISTA A GIULIA FOSCARI

Cosa l’ha spinta a occuparsi dell’Antartide?
Prima ancora di essere un architetto sono un cittadino che ha avuto il privilegio di crescere in una città con una storia millenaria, Venezia, che esprime con le sue architetture e le sue opere artistiche il livello sommo di cultura e civiltà che la nostra specie ha saputo costruire sul pianeta. Ma Venezia è anche una delle testimonianze più eloquenti dei limiti dell’azione umana, delle conseguenze indotte dal cosiddetto “progresso” e dei rischi in cui andiamo tutti incontro se continuiamo a procedere a tutta velocità sulla “autostrada che porta all’inferno climatico” – per citare l’espressione del Segretario Generale delle Nazioni Unite alla recente assemblea di COP27, a Sharm El Sheik. È per questa coscienza, e il convincimento che sia urgente riappropriarsi della dimensione etica e politica della disciplina architettonica per partecipare alla costruzione di un futuro sostenibile, che ho deciso di fondare l’agency for change UNLESS e di occuparmi in primis del nostro settimo continente: l’Antartide.

Dati alla mano e scenari concreti: in quale modo la mancata salvaguardia dell’Antartide produrrà conseguenze sulla vita quotidiana di ciascuno di noi?
Innanzitutto preme ricordare che il continente antartico rappresenta il 10% della superficie terrestre (ha una superficie pari a circa una volta e mezza quella dell’Europa), il 70% dell’acqua dolce della Terra e il 90% dei suoi ghiacci. È il più importante archivio planetario della storia climatica del nostro pianeta – cruciale per estrarre dati scientifici necessari per improrogabili politiche ambientali – e rappresenta la più grande minaccia alle città costiere del mondo intero, che sono in pericolo a causa dell’innalzamento del livello del mare indotto dal cambio climatico antropogenico.

Può farci un esempio?
Uno scioglimento completo dei ghiacci antartici porterebbe a un innalzamento del livello del mare di 60 metri. A oggi il fenomeno di scioglimento sta avvenendo a un ritmo accelerato pari al volume di 200 piscine olimpioniche al minuto, rischiando di dare il via alla più grande migrazione umana mai conosciuta dalla storia. È dunque un imperativo politico, e quindi anche morale, riconoscere che anche l’Antartide – l’unico territorio del Sud Globale senza rappresentanza ufficiale a COP27 e alle Nazioni Unite in quanto privo di una popolazione indigena – deve essere salvaguardato. Dobbiamo prendere coscienza che “quello che avviene in Antartide, non rimane in Antartide”, anzi, è proprio dal futuro del continente che dipende in larga misura il futuro della nostra civiltà.

Exhibition Fondazione Kenta, Milan. Image courtesy of UNLESS ©️ Delfino Sisto Legnani

Exhibition Fondazione Kenta, Milan. Image courtesy of UNLESS ©️ Delfino Sisto Legnani

Oltre che fragile e vulnerabile, l’Antartide è oggetto di contese. Perché?
L’Antartide è un Bene Comune dell’Umanità. Dalla sottoscrizione in piena Guerra Fredda del Trattato Antartico, il territorio a sud del 60esimo parallelo è da considerarsi terra nullius, ovvero non appartiene a nessuno. Il Trattato infatti ha congelato – qui il termine è doppiamente pertinente – le pericolose rivendicazioni territoriali che erano state fino ad allora esercitate da alcune nazioni sul continente polare. Eppure visioni nazionalistiche di dominio territoriale, ovvero logiche di sfruttamento, sono tuttora alimentate dalla coscienza che le rocce su cui posano e lentamente slittano gli immensi ghiacciai antartici contengono minerali e risorse preziose, tra cui molti idrocarburi. Malgrado la loro estrazione sia vietata dal Protocol of Environmental Protection to the Antarctic Treaty, quest’ultimo per statuto potrà pericolosamente essere “rivisto” nel 2048.

E a cosa potremmo andare incontro?
Le conseguenze di una possibile revisione che conceda estrazione di risorse antartiche sarebbero drammatiche e potrebbero mettere in crisi la fragile struttura di governance del Trattato. Nello scenario peggiore potrebbero riemergere le rivendicazioni nazionali, essere estratti idrocarburi e altri minerali (che a oggi non sono neppure considerati nei modelli climatici assunti per la definizione dell’Accordo di Parigi) e l’Antartide potrebbe diventare il nuovo “Wild West”. È importante dunque rendersi conto che quello che spesso viene immaginato come un bellissimo e astratto territorio incontaminato in realtà è un territorio conteso, pericolosamente appetibile. Specialmente in un momento storico di grande instabilità quale quello che stiamo vivendo.

Urban Campaign SpeakUpForAntarctica, Berlin. Image courtesy of UNLESS ©️ Louis De Belle

Urban Campaign SpeakUpForAntarctica, Berlin. Image courtesy of UNLESS ©️ Louis De Belle

L’AGENZIA UNLESS E IL PROGETTO DI RICERCA SULL’ANTARTIDE

In questi anni le connessioni tra architettura e geopolitica sono divenute più ricorrenti, ridefinendo il ruolo sociale degli architetti: pensiamo a Forensic Architecture. Qual è la missione dell’agenzia UNLESS?
UNLESS, in italiano, si traduce in “a meno che”. È un termine che trasmette un senso di urgenza: invoca la necessità di agire immediatamente per scongiurare che qualcosa di grave si avveri. Al contempo è intriso di ottimismo, della coscienza che l’azione – individuale o collettiva che sia – ha il potenziale di risolvere il problema dato. Einstein ha notoriamente enunciato che un problema ben posto contiene la soluzione, e sulla base di questo pensiero – anch’esso ottimista – ho fondato una agency for change. UNLESS è un’agenzia non profit interdisciplinare con cui ci impegniamo ad assumere le responsabilità sociali dell’architetto, coscienti che l’industria in cui siamo coinvolti contribuisce al 40% delle emissioni e determinati a lavorare incessantemente per garantire la difesa della giustizia inter-generazionale.

Da dove avete cominciato?
Come prima missione di UNLESS ci siamo prefissati di mettere in luce il “problema antartico”, che è trascurato dalla coscienza collettiva, in parte sottaciuto da chi il sapere lo detiene per soddisfare interessi geopolitici, ma che deve essere urgentemente affrontato per “invertire la caduta libera dell’umanità verso l’oblio… [e] la bancarotta cosmica”, per usare le parole di Buckminster Fuller. La missione di UNLESS è quella di catalizzare l’attenzione globale sui Beni Comuni dell’Umanità, ovvero territori estremi quali l’Antartide, l’Oceano, l’Atmosfera e lo Spazio, che appartengono all’umanità intera ma che, essendo privi di popolazioni indigene, non hanno una loro circoscrizione che possa rivendicare la definizione di una governance appropriata che ne garantisca la salvaguardia.

Urban Campaign SpeakUpForAntarctica, Berlin. Image courtesy of UNLESS ©️ Louis De Belle

Urban Campaign SpeakUpForAntarctica, Berlin. Image courtesy of UNLESS ©️ Louis De Belle

E per fare tutto questo avete scelto Venezia come vostra base, città considerata paradigmatica per il cambiamento climatico e l’overtourism. Perché?
È una scelta in parte fortuita, ma non casuale. Malgrado la Serenissima sia una realtà molto lontana dall’Antartide, il suo futuro – come quello di infiniti altri insediamenti costieri – è imprescindibilmente legato a quello del continente polare. Ma contrariamente a molti altri preziosi luoghi che assieme a Venezia rischiano l’oblio, quest’ultima ha il potenziale di “usare” la sua fragilità per catalizzare l’attenzione globale in quanto è un’icona della nostra civilizzazione. Essa rappresenta infatti in modo emblematico quanto la specie umana abbia potuto raggiungere nel passato livelli di eccellenza sul piano ideologico e culturale, e si presenta tuttora come una realtà sperimentale: una sorta di laboratorio del contemporaneo in tutte le sue forme, incluso il citato overtourism. In una cultura mediatica quale quella in cui viviamo, valorizzare l’immagine iconica di Venezia – immortalata da milioni di telefonini in miliardi di selfies all’anno – quale barometro dei cambiamenti climatici che inesorabilmente consumano la geografia iconoclasta dell’Antartide, sconvolgendo equilibri planetari che hanno prevalso nell’era dell’olocene fino alla rivoluzione industriale, credo sia un potenziale che va esplorato.

Nel 2021, le ricerche sull’Antartide sono confluite in Antarctic Resolution: edito da Lars Müller Publishers, è considerato il libro di riferimento sul tema e, fra gli altri riconoscimenti, ha ottenuto il Gran Premio S+T+ARTS della Comunità Europea. Come sta evolvendo il progetto?
Antarctic Resolution è stato concepito per colmare una lacuna collettiva sulla conoscenza del nostro settimo continente. Ho invitato i 150 massimi esperti mondiali in molteplici ambiti disciplinari, tra cui scienza, geopolitica e architettura, a contribuire alla pubblicazione curata da UNLESS e arricchita da un vasto portfolio di immagini, cartografie, disegni e infografiche che traducono in termini visivi dati raccolti da archivi e programmi nazionali antartici del mondo intero. A due anni dalla presentazione della pubblicazione alla Biennale di Venezia, abbiamo appena lanciato la versione Open Access del libro, nel convincimento che sia fondamentale promuovere una democratizzazione dei dati per amplificare esponenzialmente la diffusione del sapere su un tema di tale rilevanza, superando la limitazione del formato analogico dei libri. Dalla piattaforma digitale è possibile scaricare tutti i contributi e l’apparato iconografico, nonché tradurre i testi con immediatezza in tutte le lingue. L’Antarctic Resolution Open Access è stata appena inaugurata in occasione della mostra tenutasi a Toronto, in Canada: Resolutions for the Antarctic. International Stations & The Antarctic Data Space.

Resolutions for the Antarctic. Exhibition @ Courtesy of UNLESS © Harry Choi

Resolutions for the Antarctic. Exhibition @ Courtesy of UNLESS © Harry Choi

SALVAGUARDARE L’ANTARTIDE SECONDO GIULIA FOSCARI

Quali sono le risoluzioni che state promuovendo ora?
La prima si ricollega direttamente al tema sollevato con l’Open Access, ovvero si fonda sulla convinzione dell’assoluta importanza che i dati e la conoscenza rappresentano per garantire la salvaguardia della democrazia e per informare urgenti politiche globali. A questo proposito riteniamo che sia improrogabile un cambio di paradigma radicale nella gestione dell’Antartide, che porti alla modifica degli statuti di governance del continente imponendo agli stati membri del Trattato – che hanno accesso all’Antartide a beneficio e “in nome dell’umanità intera”– l’obbligo di far confluire gli esiti delle loro ricerche scientifiche e i dati raccolti, non appena pervenuti e senza data embargo, in un Antarctic Data Space condiviso e accessibile a studiosi del mondo interno. Fiduciosi che questo progetto possa essere recepito a livello internazionale, crediamo che possa essere il presupposto per una politica che potrebbe portare alla formazione di un Global Commons Data Space, ovvero uno spazio normato di condivisione dati sui Beni Comuni dell’Umanità.

E poi?
La seconda risoluzione affronta un tema che è strettamente pertinente alla mia formazione disciplinare, ovvero l’architettura. Si prefigge infatti di promuovere una modifica di un articolo dello statuto del Trattato Antartico che attualmente incoraggia la costruzione di basi scientifiche nazionali sul territorio. La nostra proposta contempla che il Trattato imponga agli stati membri una condivisione delle stazioni scientifiche sul continente. Una risoluzione in tal senso è importante perché arresterebbe il processo che induce alla proliferazione di stazioni-ambasciate che antepongono interessi geopolitici a interessi scientifici che dovrebbero rappresentare il fondamento del Trattato stesso.

Il volume Antarctic Resolution. Image courtesy of UNLESS ©️ Delfino Sisto Legnani

Il volume Antarctic Resolution. Image courtesy of UNLESS ©️ Delfino Sisto Legnani

Qual è l’attuale “scenario architettonico” del continente?
In Antartide ci sono 76 basi di ricerca: nessuna di queste è stata costruita seguendo alcuno standard edilizio (in quanto terra nullis, il territorio antartico non è disciplinato da alcuna norma edilizia). Tutte le stazioni eccetto una (Concordia) sono nazionali; alcuni Paesi (notoriamente tra quelli con rivendicazioni territoriali) hanno oltre 10 stazioni e le stazioni sono sempre localizzate nel settore del continente corrispondente alla rivendicazione territoriale; 44 delle 76 stazioni attive hanno terminato il loro “ciclo di vita” offrendo un’opportunità unica per promuovere una politica che porti a ottimizzare la nostra presenza antropica sul continente. Se per un attimo contemplassimo un futuro in cui ci fossero meno stazioni, e queste fossero collocate sul territorio in aree strategiche identificate per rispondere a esigenze scientifiche (e non geopolitiche o opportunistiche rispetto a presunti bacini di risorse naturali), e che gli stati membri investissero le stesse risorse (ovvero denaro pubblico con budget molto ingenti) sul continente, potremmo supporre che l’umanità intera beneficerebbe di scoperte scientifiche infinitamente potenziate. Il beneficio culturale indotto dalla fervida collaborazione che si potrebbe instaurare tra gli scienziati che lavorano fianco a fianco nelle stazioni internazionali sarebbe inestimabile. Una condivisione programmata di infrastrutture polari e di dati scientifici estratti dal continente (che, come abbiamo detto, devono essere urgentemente convogliati in data center transnazionali dedicati) ha il potenziale di contribuire indirettamente, ma in modo fondamentale, alla sopravvivenza della nostra specie sulla Terra.

In quanto “agency for change”, come operate per promuovere queste trasformazioni?
Abbiamo dapprima presentato la ricerca in numerose istituzioni culturali, convinti del potere implicito delle arti nel catalizzare attenzione globale. Ma ci siamo presto resi conto che fosse importante operare anche fuori da tali ambiti, per relazionarci direttamente con i decision-maker in occasione di incontri politici internazionali quali, per esempio, le plenarie del 30esmino Anniversario del Protocollo di Madrid e della 44esima riunione del Trattato Antartico, tenutasi a Berlino. In quest’occasione abbiamo testato un nuovo formato, lanciando una campagna a scala urbana in cui abbiamo invitato i cittadini a colmare il vuoto di rappresentanza del nostro settimo continente e rendersi portavoce della regione polare. “Speak Up For Antarctica Now” è stata concepita come una “call to action”, culminata nella raccolta firme per tre petizioni e in un Rally per l’Antartide (il primo della storia, che abbiamo coordinato con Fridays for Future, Greenpeace e l’Antarctic and Southern Ocean Coalition), e che ci ha visti impegnati in prima linea sotto la Porta di Brandeburgo.

Valentina Silvestrini

https://una-unless.org/en

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

Scopri di più