È arrivato il momento di ricostruire la Sala delle Cariatidi a Milano?

È possibile in Italia oggi ricostruire in maniera filologicamente corretta i monumenti perduti? Il caso della Sala delle Cariatidi al Palazzo Reale di Milano in vista degli ottant'anni dai bombardamenti del 1943

Il 15 agosto 1943 è stata una delle giornate più tragiche che la città di Milano abbia mai dovuto affrontare. Ben 140 bombardieri Lancaster della Royal Air Force britannica colpirono duramente il centro della città con oltre 500 tonnellate di bombe. Le vittime più rilevanti nel novero del patrimonio storico-artistico furono il Castello Sforzesco, la Basilica di Sant’Ambrogio, il Teatro dal Verme e soprattutto Palazzo Reale. La strategia dei bombardamenti al tempo consisteva nel cercare di realizzare delle “tempeste di fuoco” che consentissero alle fiamme di auto-alimentarsi aspirando ossigeno, portando così a devastazioni ben maggiori di quelle ottenibili con le sole bombe. Per questo motivo venivano sganciati anche spezzoni incendiari, che servivano ad alimentare e propagare le fiamme.
Il destino volle che uno di questi spezzoni cadesse proprio sul tetto del Palazzo Reale, a distanza ravvicinata da una delle glorie cittadine: la leggendaria Sala delle Cariatidi. L’incendio si propagò con facilità in quella selva di capriate lignee rinsecchite per il caldo estivo, e il tetto sopra il salone del palazzo collassò, portando con sé i dipinti, gli stucchi e le decorazioni più gloriose del Neoclassicismo milanese, tra cui l’affresco Apoteosi di Ferdinando I di Francesco Hayez, realizzato nel 1838.
L’immaginazione corre subito a quello che accadde nell’aprile del 2019 alla cattedrale di Notre-Dame di Parigi, quando per fortuna si riuscì a salvare la volta da un collasso disastroso, a differenza di quello che avvenne al Palazzo Reale di Milano.
In realtà molto si sarebbe ancora potuto salvare, se solo fosse stata presa la decisione di coprire la volta e impedire che gli elementi naturali, la pioggia, il vento, la neve, il calore e l’umidità danneggiassero ancora di più i ricami in stucco di Giocondo Albertolli e le stupende statue delle quaranta Cariatidi realizzate dagli scultori Callani e Franchi, che diedero il nome all’intera sala. Invece la sala fu oggetto di uno specifico intervento della Soprintendenza solo a guerra finita, e le prime coperture a protezione della Sala delle Cariatidi non giunsero che nel 1947, ben quattro anni dopo il bombardamento!

Sezione della Sala delle Cariatidi. Tavola di Domenico Pedrinelli tratta da Le fabbriche più cospicue di Milano di Ferdinando Cassina, edizione 1844

Sezione della Sala delle Cariatidi. Tavola di Domenico Pedrinelli tratta da Le fabbriche più cospicue di Milano di Ferdinando Cassina, edizione 1844

LA SALA DELLE CARIATIDI E IL TEATRO ALLA SCALA DI MILANO

La Sala delle Cariatidi, va detto, è un ambiente di una dimensione davvero inaudita per l’intera Europa: misurava infatti ben quarantasei metri di lunghezza per diciassette di larghezza, per un totale di 782 metri quadrati, addirittura di più della celeberrima Galerie des Glaces della Reggia di Versailles, che si fermava a “soli” 766 metri quadrati. L’ambiente era sontuoso e regale, e doveva essere simile alla Grande Galleria del palazzo di Schönbrunn a Vienna, la principale reggia della corte asburgica. Il grande ambiente venne realizzato tra il 1774 e il 1778 dall’architetto folignate Giuseppe Piermarini, brillante allievo di Luigi Vanvitelli. La storia della Sala delle Cariatidi si intreccia con la vicenda dell’altro capolavoro di Piermarini, il Teatro alla Scala di Milano, costruito tra il 1776 e il 1778.
La vicenda della collocazione del teatro di corte al palazzo di Milano è particolarmente travagliata, dato che un primo teatro risulta esistente fin dalla fine del XVI secolo, poi distrutto da un incendio nel 1695, ricostruito in forme bibbionesche nel 1717 e infine andato in fumo un’altra volta per via di un altro incendio nel 1776. Fu deciso quindi di erigere un teatro dell’Opera isolato, in un edificio realizzato ex novo con l’unico scopo di essere un luogo ideale per godere al meglio della buona musica. Fu qualcosa di assolutamente rivoluzionario per l’epoca. Piermarini dunque si occupò del teatro che sarebbe sorto al posto dell’antica chiesa di Santa Maria della Scala (da cui prende il nome) e anche della sistemazione a sala da ballo e salone dei ricevimenti della manica lunga di palazzo Ducale, terminando quindi insieme nello stesso anno fatale, il 1778, quasi in contemporanea due meraviglie che si dovrebbero poter leggere solo assieme.
Simul stabunt, simul cadent”, potremmo dire riciclando una lontana forma legale.
Insomma, “O stanno in piedi entrambi, o cadono entrambi”, dice la formula latina.
E allora come mai il Teatro alla Scala ha avuto un trattamento radicalmente opposto rispetto alla Sala delle Cariatidi? Il Teatro alla Scala infatti, esattamente come il Teatro La Fenice di Venezia, il Teatro Petruzzelli di Bari o l’Abbazia di Montecassino, figura tra gli edifici ricostruiti “com’erano e dov’erano” per il loro intrinseco valore artistico.

Installation view della mostra di Pablo Atchugarry presso la Sala della Cariatidi, Milano 2021-22. Photo Thomas Villa

Installation view della mostra di Pablo Atchugarry presso la Sala della Cariatidi, Milano 2021-22. Photo Thomas Villa

LA SALA DELLE CARIATIDI E PALAZZO REALE IERI E OGGI

Invece l’altra opera di Piermarini, la Sala delle Cariatidi, è stata lasciata al degrado e ci sono ferme e autorevoli voci che si oppongono al restauro filologico, che pure potrebbe essere realizzato ormai con un confortevole margine di fedeltà, frutto delle rigorose ricerche sulle tecniche realizzative artigianali dei secoli passati ottenute grazie ai coraggiosi restauri dei monumenti del centro storico di Dresda o il recente esempio conclusosi nel 2020 della ricostruzione (con tanto di lapicidi e scalpellini, interpreti del più puro spirito dell’archeologia sperimentale!) del Castello di Berlino, realizzato peraltro in parte proprio da un architetto italiano: Franco Stella.
Insomma, gli esempi rigorosi e ben riusciti in giro per il mondo ci sono eccome, basta aprire gli occhi e studiare attentamente quali consigli possiamo ricavare dalle Best Practices. Possiamo essere anche gli eredi della trimurti Leonardo-Michelangelo-Raffaello, ma è il caso di osservare che la sensibilità nell’ambito accademico internazionale sta lentamente mutando verso una maggiore flessibilità e un nuovo consenso nei confronti del restauro filologico, qualora risulti solidamente documentabile, come è fortunatamente il caso della Sala delle Cariatidi.
La scarsa sensibilità dimostrata verso Palazzo Reale è in parte comprensibile dal punto di vista storico, dato che le regge erano la sede del potere aristocratico e dell’Ancien Regime che aveva portato alla tragedia del fascismo, e questa era indubbiamente strettamente legata alla Casa Reale dei Savoia. Al tempo l’arte doveva essere frugale, democratica, aperta a tutti, un arte che portò alla nascita del design italiano, fatto di brillanti idee in grado di cambiare il mondo. Il Barocco, il Settecento, la pomposità neoclassica di Palazzo Reale rappresentavano un mondo oppressivo e ripugnante, degenerato, da cancellare e dimenticare in ogni modo. Erano luoghi al popolo preclusi, e dunque sostanzialmente per l’epoca luoghi inutili, non degni dell’attenzione del restauro, al contrario dei teatri che invece potevano anche essere luoghi di socialità, aperti tanto alla borghesia quanto ai loggionisti. Palazzo Reale, all’epoca, non rispecchiava tutto questo. Divenne anzi un monumento alle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale quando nel 1953 per iniziativa di Franco Russoli, Fernanda Wittgens, Gian Alberto Dell’Acqua e Raffaele De Grada viene esposta nel salone, nell’ambito di una fenomenale mostra su Pablo Picasso, una delle icone dell’arte del XX secolo: Guernica.

Installation view della mostra di Pablo Atchugarry presso la Sala della Cariatidi, Milano 2021-22. Photo Thomas Villa

Installation view della mostra di Pablo Atchugarry presso la Sala della Cariatidi, Milano 2021-22. Photo Thomas Villa

IL RECUPERO DELLA SALA DELLE CARIATIDI

Ma oggi quel mondo sembra molto distante, e al ricordo vivo dei bombardamenti, al valore dato al monito che quei muri monchi e martoriati esprimono si è sostituito e si è forse sedimentato un nuovo giudizio espresso ‒ direbbe il filosofo Spinoza ‒ “Sub specie aeternitatis”, cioè lasciando al margine le varianti legate al trascorrere del tempo. E quello che la Sala delle Cariatidi ci dice è che è un monumento intrinsecamente degno, che merita ogni attenzione e ogni cura possibile, ed è forse giunto il momento di valutare l’opportunità di una sua ricostruzione integrale, come simbolo di una bellezza latente, resistente, in grado di sopravvivere e di testimoniare la sua forza anche attraverso le orrende violenze della guerra. Che sia forse proprio oggi il momento ideale per ricostruire la Sala delle Cariatidi? Nel 2023 ricorreranno gli ottant’anni dalla distruzione della Sala delle Cariatidi. Rimaniamo dunque in fiduciosa attesa, sperando che questa legittima domanda di recupero del patrimonio artistico perduto non resti inascoltata.

Thomas Villa

https://www.palazzorealemilano.it/

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