Fare architettura oggi a Palermo. Intervista a Studio Didea

Abbiamo intervistato gli architetti palermitani doc di Studio Didea che, nonostante il legame fortissimo con la loro città, nei loro raffinati interventi d'interni sembrano guardare lontano. Dal Giappone alla Scandinavia.

Studio associato con base a Palermo, che si occupa di progettazione architettonica e interior design, Didea è una realtà di spicco nel panorama progettuale siciliano di nuova generazione. Ha infatti all’attivo, nonostante la giovane età dei suoi componenti, un discreto numero di progetti realizzati, principalmente nei settori residenziale e commerciale. Il loro è un approccio progettuale che esprime le potenzialità del luogo d’intervento, consentendo di creare interventi sartoriali dal sapore minimalista, capaci di combinare, insieme, scelta dei materiali, delle finiture e delle maestranze, cura dei dettagli e attenzione alle realizzazioni artigianali.

Raccontateci com’è iniziato tutto. E, a proposito, da dove arriva il nome Didea e perché lo avete scelto?
Il gruppo di colleghi si forma già tra i banchi universitari. Consapevoli della passione per questo mestiere, dopo la laurea, abbiamo subito fondato il nostro studio, nella nostra città.
Il nome dello studio nasce dai cognomi dei primi tre fondatori: “di” di Emanuela Di Gaetano, “de” di Giuseppe De Lisi e “a” di Nicola Giuseppe Andò. Un nome poi che, rimandando alla parola idea, rappresenta la stessa essenza dell’azione del progettare. Ai soci fondatori si sono quindi aggiunti Alfonso Riccio e la nuova associata Maristella Galia; collaborano con noi anche Roberto Lombino e Agnese Abbaleo, oltre a un team di stagisti.

Rappresentate quella piccola parte di siciliani che dopo il percorso formativo ha deciso di restare coraggiosamente a lavorare nella propria città natale, la vitalissima Palermo. Quanto sentite forte il legame col vostro territorio di appartenenza? Quali le sfide che vi trovare ad affrontare?
La scelta di investire nel nostro territorio è dovuta all’amore che nutriamo per la Sicilia. Soprattutto, confrontandoci con le città europee, ci siamo sempre chiesti come mai Palermo non riuscisse a esprimere il proprio potenziale di architettura giovane e contemporanea.
Oggi Palermo è una città in crescita, vi è una nuova energia, una nuova primavera, e le ultime manifestazioni di interesse culturale hanno dato alla città una visibilità diversa. Ha forse perso la sua fama malavitosa, e ritorna a essere città d’arte come nei primi del Novecento, quando ci confrontavamo con le architetture europee grazie alle opere di Basile e Almeyda. Certamente il percorso di cambiamento è in atto e dobbiamo lavorare affinché questo non si fermi: noi come architetti cerchiamo di diffondere l’interesse verso la progettazione e la buona architettura.

Studio DiDeA. Photo Gianni Cipriano

Studio DiDeA. Photo Gianni Cipriano

LO STILE DI STUDIO DIDEA

Sempre a proposito di Palermo. Qual è stato il lascito di un’esperienza come Manifesta?
Manifesta, come altri eventi, ha senza dubbio portato attenzione sulla città, sulle sue potenzialità e risorse. L’augurio è che non rimangano episodi, ma che invece sappiano produrre cambiamenti nelle politiche culturali di Palermo, riuscendo così a rendere la città non solo palcoscenico ma protagonista proattiva di nuove proposte.

Il vostro stile più che alla Sicilia sembra guardare lontano, verso il Giappone o la Scandinavia. Un mix fatto di pulizia formale, eleganza, minimalismo, reso possibile dall’expertise artigianale di chi vi affianca nella fase realizzativa. Quanto è importante per voi questo aspetto sartoriale nel progetto di interior?
Crediamo sia fondamentale, e il nostro approccio progettuale ci porta spesso a confrontarci con architetture e architetti minimali. Come progettisti di interni, siamo chiaramente affascinati dalla luce: per noi è a tutti gli effetti un elemento progettuale su cui sviluppiamo il progetto. Ruolo indispensabile in questa metodologia lo rivestono le maestranze, fondamentali nel controllo del dettaglio, e nella scelta dei materiali, due aspetti che crediamo definiscano bene i nostri progetti.

Siete specializzati principalmente in residenziale e commerciale. Scegliete un progetto per tipologia, come emblematico, rappresentativo del vostro stile e raccontatecelo brevemente.
Casa #A210 è un progetto su una preesistenza storica, con volte affrescate e pavimenti marmorei di primo Novecento, dove abbiamo potuto applicare il nostro metodo, generando un mix di storia e contemporaneità minimale. L’input progettuale è la fluidità luminosa, oltre alla continuità visiva fra i tre principali ambienti, ottenuta grazie all’inserimento di una libreria custom-made che corre lungo tutto il perimetro: il segno artigianale che diventa il filo rosso dell’intervento. Poi il ristorante Sobremesa, uno degli ultimi progetti in ambito commerciale. Siamo intervenuti in uno spazio difficile, affacciato su Piazza Cassa di Risparmio nel centro storico e caratterizzato da piccoli e angusti vani. L’idea è stata quindi quella di esaltare la luce naturale realizzando degli infissi con telai a scomparsa, e per contrasto utilizzare una pittura blu cobalto sulle pareti, giocando così sulla percezione di osmosi tra esterno e interno. Il risultato – anche a detta dei clienti – è uno spazio raccolto, intimo. Come una sorta di camera oscura.

Studio Didea, #A210. Photo Serena Eller

Studio Didea, #A210. Photo Serena Eller

L’ARCHITETTURA SECONDO STUDIO DIDEA

Chi sono i vostri attuali riferimenti, nazionali e internazionali, non solo di natura architettonica?
Non avendo appreso una metodologia già consolidata presso uno studio, abbiamo fatto esperienza dal nostro percorso personale, cercando continuamente maestri e riferimenti in diversi mondi: dall’architettura alla fotografia, fino all’arte. Guardiamo a Luigi Ghirri per la sua capacità di interpretare il paesaggio con pochissimi elementi, riuscendo a sintetizzare la semplicità di un luogo; o a James Turrell che agisce sulla potenza della luce e la percezione estrema che si ha di essa.
Non possiamo non citare l’architetto Carlo Scarpa, che è stato presente nel nostro percorso anche grazie alle eredità lasciateci nella nostra città; di lui ammiriamo l’amore nella definizione dei particolari e la capacità di selezione e analisi dei materiali.

Tre parole/aggettivi per descrivervi?
Metodo, osservazione, cura. / Metodici, osservatori, accurati.

Come vi vedete tra qualche anno e quali sono, a vostro avviso, i topic su cui l’architettura contemporanea deve lavorare nel prossimo futuro, anche in considerazione del complesso scenario attuale?
L’architettura dovrebbe tornare a riflettere sull’importanza del vivere in spazi domestici e pubblici in cui sia garantito il benessere di chi li vive. Il ruolo dell’architetto deve tornare a essere visibile, per garantire una migliore qualità della vita. Occasioni come il lockdown dovrebbero essere sfruttate per migliorare la qualità degli spazi di vita: può esserci una rinascita diffusa se, anche in zone dove l’architettura cresce lentamente come la nostra Sicilia, si riconosce e valorizza il ruolo dell’architetto.

Giulia Mura

www.studiodidea.it

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Giulia Mura

Giulia Mura

Architetto specializzato in museografia ed allestimenti, classe 1983, da anni collabora con il critico Luigi Prestinenza Puglisi presso il laboratorio creativo PresS/Tfactory_AIAC (Associazione Italiana di Architettura e Critica) e la galleria romana Interno14. Assistente universitaria, curatrice e consulente museografica, con…

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