Legge per l’Architettura: cosa ne pensano gli architetti italiani? (III)

Terzo e ultimo appuntamento con il forum che ha coinvolto architetti, critici e studiosi della disciplina, diversi per formazione, generazione di appartenenza e con esperienze professionali eterogenee, maturate nel nostro Paese e all’estero. Obiettivo: esprimersi sul tema di una eventuale Legge per l’Architettura. E se volete consultare anche le infografiche, non vi resta che sfogliare Artribune Magazine.

IMPARANDO DAL PORTOGALLO ‒ CARLOS DE CARVALHO

Carlos De Carvalho, Casa Studio Bergamo. Photo Stefano Tacchinardi

Carlos De Carvalho, Casa Studio Bergamo. Photo Stefano Tacchinardi

Appare evidente che, in Italia, dentro al titolo “Nuova Legge per l’Architettura”, si celano concetti e opinioni differenti. Nel 2010 il Sole 24 ore aveva elaborato una “Proposta di Legge per l’Architettura”, il cui tema centrale era il concorso di architettura per tutte le opere pubbliche, come previsto nella maggior parte dei Paesi europei. Sicuramente un argomento interessante, ma che non tocca il vero cuore della questione, ossia che, “al fine di garantire il benessere della collettività e delle generazioni future, riconoscendo l’architettura e il paesaggio come patrimonio comune di interesse pubblico primario”, sia necessario fare chiarezza sul tema delle competenze professionali.
Nel mese di luglio del 2018, all’VIII Congresso Nazionale degli Architetti, il CNAPPeC ha presentato il testo intitolato “Disegno di Legge per una Legge per l’Architettura”, dove finalmente, all’articolo 4, si parla del tema delle competenze. Questo articolo ha suscitato fin da subito la preoccupazione degli ingegneri, probabilmente perché non ancora sufficientemente coinvolti nel processo di modernizzazione normativo proposto.
In questo senso, la legge dell’architettura portoghese “Lei 31/2009” potrebbe essere un valido esempio per tutti. La procedura legislativa è iniziata dopo vari anni di trattative con i diversi professionisti/e del settore, definendo chiaramente le competenze delle diverse categorie e riservando, nell’articolo 10, la progettazione architettonica ai laureati in architettura, la progettazione strutturale ai laureati in ingegneria strutturale e la progettazione impiantistica ai laureati in ingegneria impiantistica. Nella legge portoghese, si prevede soltanto all’articolo 11 la possibilità per tutti gli altri professionisti/e del settore di realizzare progetti dove non occorre la necessità di ottenere un’autorizzazione edilizia o il relativo deposito della pratica in Comune o, ancora, altre attività di supporto alla costruzione dell’opera. È una legge molto chiara e sembra molto logica, prevede che ciascuna categoria professionale operi nel settore per cui ha studiato e ottenuto il diritto a iscriversi a un Albo Professionale e non ammette, nel rispetto della normativa europea, che i professionisti/e non laureati possano presentare progetti di architettura o di ingegneria. Questo semplice concetto, in Italia, non è ancora chiaro e sembra difficilmente applicabile, nonostante la convergenza di tutte le ultime sentenze della Corte Suprema di Cassazione Italiana e del Consiglio di Stato in materia di competenze e nonostante la necessità di adeguarsi alla normativa europea o, ancora più importante, l’evidente necessità di adeguarsi alle esigenze contemporanee del costruire.
La finalità ultima di queste leggi dovrebbe essere la qualità e la tutela dell’architettura e del paesaggio. Noi sappiamo che questo non potrà essere garantito soltanto con l’emanazione di una legge, ma solo sarà possibile cambiare qualcosa partendo da un lavoro di squadra dove ognuno svolga al meglio il suo ruolo, così tutti insieme potremmo partecipare alla costruzione di un’identità condivisa che costituisca un patrimonio comune da tutelare.

Carlos De Carvalho
https://cdcrstudio.com/

PERCHÉ FARE LA LEGGE PER L’ARCHITETTURA È DIVENTATO URGENTE? ALVISI KIRIMOTO

Alvisi Kirimoto, Cantina Bulgari a Podernuovo, San Casciano dei Bagni. Photo © Fernando Guerra, FG+SG

Alvisi Kirimoto, Cantina Bulgari a Podernuovo, San Casciano dei Bagni. Photo © Fernando Guerra, FG+SG

Il primo motivo che propongo è la necessità di comprendere che il nostro meraviglioso paesaggio, la natura che ci accoglie e la storia che abbiamo ereditato accompagneranno la trasformazione che avverrà, e noi dobbiamo essere in grado di preservare non solo la loro struttura e i valori che rappresentano, ma essere protagonisti consapevoli di questa trasformazione: accompagnarla, per aumentare il nostro patrimonio, lasciando in eredità un Paese più prospero e bello.
Per fare questo è necessario che l’architetto abbia un ruolo nuovamente centrale nella guida dei cambiamenti del paesaggio naturale o antropico e sia allo stesso tempo tutelato perché ciò avvenga.
Oggi non è di fatto così.
La confusione dei ruoli, la costante perdita di peso della nostra azione professionale o la percezione della poca influenza che l’Architetto ha nelle fasi decisionali per la gestione del territorio, obbligano a una azione più profonda e decisiva, saldando nuovamente il ruolo culturale a quello tecnico: per fare questo una legge è necessaria subito!
Alcuni punti:
Qualità del progetto.
Tutela dell’opera dell’ingegno.
Definizione dei ruoli.
Studio dell’Architettura a partire dalla scuola elementare: perché una città è bella?
Obbligo di una visione architettonica anche per i programmi di trasformazione urbana.
Obbligo di concorsi aperti, con ingresso anche a giovani architetti, per ogni opera pubblica.
Obbligo di commissioni tecniche qualificate, sia per i concorsi che per le amministrazioni, accompagnate da processi partecipativi, aperti e collaborativi sia in fase di programmazione e istruttoria, che di aggiudicazione.
Eliminazione degli umilianti ribassi per le prestazioni professionali, per gli appalti pubblici che corrispondono necessariamente a un livello qualitativo analogo sia per il progetto che per l’esecuzione: bisogna premiare la qualità e l’innovazione.
Chiedere oggi una Legge è ancora più importante perché il nostro Paese, a meno di rare eccezioni, è lontano dall’Europa anche in questo e riallinearci ci permetterà di esportare con forza le nostre qualità uniche e le nostre idee.

Massimo Alvisi – Alvisi Kirimoto + Partners
www.alvisikirimoto.it

A TUTELA DELL’ARCHITETTURA, NON DEGLI ARCHITETTI ‒ MARIO CUCINELLA

Mario Cucinella Architects, ARPAE Headquarter. Photo credit Moreno Maggi

Mario Cucinella Architects, ARPAE Headquarter. Photo credit Moreno Maggi

È strano che un Paese che ha la più straordinaria storia dell’architettura stia ancora discutendo, dopo anni, del ruolo importante di questa disciplina nella cultura nazionale. Credo che questo sia il sintomo del fatto che alla politica dell’architettura non interessi, con la conseguenza che si ragiona, ancora, sui concorsi, sulle modalità con cui farli, sull’opportunità di farli… Non si vuole creare un meccanismo per rendere l’architettura un tema fondamentale di rappresentazione del Paese. Questo è un elemento aldilà della legge, che non deve essere a tutela degli architetti, ma a tutela dell’architettura: sono due cose diverse. L’architettura rappresenta un’economia e, soprattutto, il desiderio di una nazione di migliorarsi. Il fatto che lo Stato lo faccia attraverso una legge mi sembra importante. Bisognerebbe lavorare su due grandi fronti: il primo è una grande riforma della professione, perché gli architetti devono essere anche credibili, la loro deve essere una professione degna di grande rispetto agli occhi del Paese; la seconda è evitare di svendere l’architettura con un sistema tariffario. (…) Una riforma deve inoltre stabilire il fatto che un architetto è un autore, quindi non si può distruggere una sua opera perché ci mettono le mani tanti altri soggetti. (…) Lo Stato dovrebbe essere il primo a difendere l’architetto: altrimenti, perché dovrebbe farlo un qualsiasi committente? Un Paese che pensa che l’architettura non sia socialmente utile, non so di cosa voglia parlare.

Mario Cucinella – MCA
www.mcarchitects.it/

UNA LEGGE PER IL BENE COMUNE ‒ TAMassociati

TAMassociati, H2OS. Un eco villaggio anti desertificazione, Senegal. Photo © TAMassociati

TAMassociati, H2OS. Un eco villaggio anti desertificazione, Senegal. Photo © TAMassociati

Paolo Inghilleri In un recente saggio (Verso un’architettura dei beni comuni e dell’identità, in Lotus 153) ha efficacemente riflettuto sul tema del rapporto tra beni comuni e architettura. In sintesi egli rileva come il dibattito sul tema dei beni comuni abbia assunto caratteri molto articolati. Infatti, nel parlare di beni comuni non ci si riferisce esclusivamente alle risorse primarie quali l’acqua, l’aria, la terra ma anche alle capacità di usarli e ai “(…) diritti di una comunità a godere dei frutti” di tali risorse. I beni comuni riguardano quindi anche le relazioni tra le persone e “(…) i luoghi in cui si svolgono queste relazioni: la casa, il quartiere, la città, il territorio, il lavoro”. Si traccia in questo passaggio il rapporto diretto tra beni comuni e architettura, vista da Inghilleri come pratica costruttiva e “(…) snodo tra la concretezza dei materiali, degli edifici, dei luoghi, della città e l’immaterialità dei legami degli affetti degli individui che li vivono”. L’architettura quindi da una parte utilizza e trasforma i beni comuni (i beni materiali) e dall’altra li costruisce, nel momento in cui ne riconosciamo gli effetti come beni comuni essi stessi: la casa, la città, il paesaggio costruito.
Finalità dell’architettura è, a nostro avviso, prendersi cura dei luoghi e delle persone, che è poi il dovere ultimo dell’architetto. È certamente questa una visione fortemente sociale dell’architettura, ma anche la radice del suo essere e il motivo per cui può essere considerata essa stessa bene comune. L’architettura, o meglio la buona architettura, in quanto bene comune, cura gli interessi materiali e immateriali delle persone e delle comunità, tutela e arricchisce i luoghi ed è palcoscenico dell’esperienza quotidiana del buon vivere, in spazi adeguati e su misura per tutti.
La pratica dell’architettura è anche baluardo contro il degrado del quotidiano poiché i luoghi respingenti e inospitali sono la prima barriera che si crea tra le persone.
Una buona legge, finalizzata a riconoscere questa peculiarità dell’architettura e a tutelarla nei fatti, è di interesse non tanto o non solo degli architetti (e di tutti i professionisti che operano nel campo della costruzione), ma delle comunità di persone, di cui gli architetti sono parte integrante.

TAMassociati
www.tamassociati.org/

VERS (UNA LEGGE PER) UNE ARCHITECTURE – SIMONE CAPRA

stARTT, La cité des cultures d’Italie, Parigi. Courtesy stARTT

stARTT, La cité des cultures d’Italie, Parigi. Courtesy stARTT

L’architettura è lo spazio in cui i nostri figli giocano, le piazze che attraversiamo, gli edifici che abitiamo. L’architettura da forma al nostro orizzonte fisico e culturale.” Questo piccolo estratto è parte dell’appello che ha aperto i seminari ospitati al MAXXI di Roma, per una Legge per l’Architettura in Italia.
Contesto. Le architetture delle città ci parlano della società che le hanno realizzate. Nelle società avanzate la costruzione dello spazio fisico è un processo complesso. Vi partecipano in team professionisti diversi con competenze specifiche: architetti, ingegneri, geologi, paesaggisti, economisti. L’architettura riflette la cultura di un Paese e il grado di complessità che questo è capace di gestire; una buona architettura è il prodotto del riconoscimento sociale delle competenze dei professionisti che collaborano in team.
L’Italia è l’unico Paese occidentale dove i ruoli che competono all’architetto possono essere svolti, in tutto o in parte da altri, geometri e ingegneri civili. Tuttavia queste figure non hanno studiato per affrontare i problemi che gli architetti devono saper affrontare. Il risultato è che le opere pubbliche e molti edifici della città contemporanea ‒ con poche eccezioni ‒ sono di scarsa qualità, definiscono un orizzonte deludente per le persone che vi abitano.
Cosa fa l’architetto. La sovrapposizione dei ruoli rende confuso cosa un architetto faccia. Nell’immaginario comune è un visionario, a volte poco affidabile, che schizza l’idea, poi arrivano altre figure professionali che fanno il progetto. In realtà il ruolo dell’architetto è quello di progettare lo spazio che le persone abitano. L’architetto lavora con gli ingegneri (alti tecnici delle scienze applicate) per arrivare a questo obiettivo; organizza la sequenza delle funzioni di un edificio, di un pezzo di città, di una casa. Nella sua formazione c’è lo studio delle architetture e dei modelli di città dall’antichità a oggi.
Una legge per l’architettura italiana. L’interesse pubblico, i concorsi. La condizione di scarsa efficacia degli architetti è anche il prodotto della normativa italiana e il frutto di una malintesa interpretazione dell’interesse pubblico. Quando parliamo di opere pubbliche questo interesse è misurato sul costo, sul risparmio economico. Gli indicatori sono il requisito economico del progettista e l’offerta di ribasso sul compenso in palio. La qualità architettonica del progetto, la sua relazione con la città hanno un ruolo marginale nella valutazione dell’interesse pubblico.
L’interesse pubblico è in realtà ottenere un territorio salutare e di qualità per le nostre vite. Lo strumento che abbiamo (poco utilizzato) è quello del concorso di progettazione, dove si possono comparare più proposte, dove viene selezionata quella migliore e il team di progettisti che l’ha presentata. Tutte le opere pubbliche dovrebbero essere progettate mediante concorsi.

Simone Capra, stARTT
www.startt.it/

LA DIFFICOLTÀ DI AGIRE IN MODO EFFICACE ‒ FRANCO ZAGARI

Franco Zagari, Saint Denis. Les abords de la basilique Place Victor Hugo, 2007. Photo credit Franco Zagari. Architettura e Paesaggio

Franco Zagari, Saint Denis. Les abords de la basilique Place Victor Hugo, 2007. Photo credit Franco Zagari. Architettura e Paesaggio

Una Legge per l’Architettura? Ne servirebbero forse diverse, per la protezione di questa professione liberale che ha radici nel sociale, nell’economia, nell’arte, e per il suo sviluppo, perché è passato tanto tempo da quando l’architetto in senso moderno ha preso forma dalle ceneri delle belle arti e delle scuole di ingegneria. Una figura interessante, con una storia epica, cresciuta molto rapida con le esigenze della ricostruzione, fino a una progressiva perdita di prestigio con la caduta dell’aura del progetto come missione.
La mia opinione è che essendo l’architettura una espressione essenziale della nostra società, che rappresenta tanti e complessi valori e interessi, sia difficile agire sul quadro legislativo in modo efficace. Credo che in questo momento sia piuttosto il caso di promuovere delle politiche di sperimentazione. La materia è molto delicata e rischia di produrre danni gravi in un mondo che invece ha un disperato bisogno di evolversi, in modo anche radicale. Il pericolo è di fare una legge generica, soprattutto se non finanziata.
Il successo della legge dipenderà da un suo quadro normativo non opprimente, di facile e spontanea interpretazione. La questione centrale, comunque, è combattere il frazionamento del progetto in stadi successivi che, spesso, non hanno coerenza, anche perché affidati a professionisti che spesso non si conoscono neppure. Il processo deve essere accompagnato in ogni sua fase, dall’ideazione alla realizzazione delle opere, passando per le misure progettuali di intenzione, di tutela, di gestione, di valorizzazione e innovazione.

Franco Zagari
www.francozagari.it

Valentina Silvestrini

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #38

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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