Utopie radicali. L’ultima “rivoluzione” fiorentina, cinquant’anni dopo

Nel decennio 1966-1976 la scena fiorentina si popolò di singoli autori e gruppi artefici di una stagione travolgente. Per la prima volta, l’abbraccio di arte, design e architettura rivive in un’unica mostra alla Strozzina, Palazzo Strozzi e al Mercato Centrale di Firenze.

Sfuggivano persino dalle anse della memoria dei loro stessi artefici alcune delle 320 opere ‒tra progetti, plastici, fotomontaggi, fotografie, mobili, lampade e persino abiti, gioielli e tessuti ‒ riunite da Alberto Salvadori, Gianni Pettena e Pino Brugellis negli spazi underground della Strozzina in occasione di Utopie Radicali. Oltre l’architettura: Firenze 1966-1976. Anche per questo il visitatore che oltrepasserà indenne lo sguardo fiero del gorilla con l’aureola, piazzato da Alessandro Mendini sulla copertina di Casabella 367 nel 1972 e divenuto immagine guida della mostra, difficilmente riuscirà a sottrarsi allo stupore. Del resto, nessuno prima di ora era riuscito a presentare congiuntamente le esperienze di Archizoom, Remo Buti, 9999, Superstudio, Lapo Binazzi UFO, Zziggurat e dello stesso Gianni Pettena, stringendo sodalizi con archivi di primo ordine, tra cui il CSAC dell’Università di Parma e il Canadian Centre of Architecture di Montréal. Eppure, altrettanto intensa si rivelerà la nostalgia per una Firenze irresistibile e irripetibile, della quale tanto il percorso espositivo quanto il poderoso catalogo edito da Quodlibet contribuiscono a tracciare un ritratto. Quanto avvenuto a partire dai banchi e dai tecnigrafi della facoltà di architettura del capoluogo toscano, dal 1966 al 1976, sembra ormai dissolto, come forse era nella sua stessa natura, ma non dimenticato. L’eco dei “radicali fiorentini” è riuscita a generare un sussulto nelle generazioni che oggi riempiono le pagine dei giornali, da Koolhaas alla sua allieva Hadid, fino a Stefano Boeri, le cui visioni urbane sono popolate di edifici-bosco replicabili. Soprattutto quella generazione è riuscita a far germogliare una curiosità trascinante in quanti, di quegli stessi anni, non possono avere diretta memoria per ragioni anagrafiche.

Superstudio, Divano componibile Bazaar, 1968 Casalguidi (Pistoia), Giovannetti Collezioni

Superstudio, Divano componibile Bazaar, 1968 Casalguidi (Pistoia), Giovannetti Collezioni

NEL SEGNO DELL’EMANCIPAZIONE

Rinunciando a un ordinamento cronologico o a focus su singoli autori, con il coordinamento della storica dell’arte Elisabetta Trincherini, il team curatoriale ha prediletto una suddivisione tematica, sostenuta da un principio di connessione tra i vari argomenti. Probabilmente si tratta della soluzione più congeniale per delineare una visione corale degli esiti raggiunti in campi progettuali tanto eterogenei, vista anche la distintiva conformazione spaziale della Strozzina. Dall’editoria al design del prodotto – impossibile dimenticare l’eccellenza Poltronova, guidata dal “gigante” Ettore Sottsass ‒, dall’oreficeria all’abbigliamento – notevoli le sperimentazioni di “Dressing design” –, dall’happening progettuale fino alle utopiche figurazioni dello spazio urbano e domestico, il punto di incontro si rintraccia nel vigoroso slancio di emancipazione dalla cultura progettuale dell’epoca.

Copertina della rivista «Casabella» del luglio 1972 (numero 367) realizzata dall’allora direttore Alessandro Mendini

Copertina della rivista «Casabella» del luglio 1972 (numero 367) realizzata dall’allora direttore Alessandro Mendini

QUANDO LE IDEE ERANO DI TUTTI

Esattamente come avviene al piano nobile di Palazzo Strozzi con l’acclamata Il Cinquecento a Firenze, che ha oltrepassato la soglia dei 100mila visitatori, anche la mostra Utopie Radicali chiude, almeno idealmente, un ciclo espositivo. Preceduta da La grande arte dei Guggenheim e da Bill Viola. Rinascimento elettronico, che ripercorreva anche l’innovativa esperienza del centro art/tapes/22, l’istituzione diretta da Arturo Galansino sembra aver fatto la propria parte nel racconto della vivace Firenze del secondo dopoguerra, sospesa – esattamente come oggi ‒ tra la perplessità verso il nuovo e il desiderio di essere la prima a sperimentare. Appare legittimo chiedersi se oltre alle due installazioni gonfiabili della serie Urboeffimeri del gruppo UFO, posizionate nel cortile del Palazzo e nell’ottocentesco Mercato Centrale, la mostra avrebbe potuto attivare una connessione più marcata con lo spazio urbano fiorentino. In una stagione nella quale le operazioni culturali promosse dal Comune di Firenze nelle principali piazza cittadine continuano a dividere pubblico e critica, quale significato avrebbe avuto orientarsi verso una più convinta presenza oltre gli spazi del Palazzo? Sarebbe stato possibile presentare a tutti, residenti e turisti, come la Loggia dei Lanzi, Piazza Santo Spirito, Piazza Santa Croce e altri luoghi non solo del centro storico siano già stati capaci di sollecitare processi, spesso provocatori, di indagine dello spazio pubblico, come ricordano i celeberrimi fotomontaggi del collettivo Zziggurat o le videoproiezioni del 1968 sul Ponte Vecchio? “All’epoca queste persone, avevano già individuato tutto il presente e il futuro. Volevano che andassimo avanti in una certa direzione. Oggi probabilmente dovremmo avere lo stesso coraggio, lo stesso senso di responsabilità coerente. Per distruggere le regole bisogna conoscerle” ‒ ha osservato Alberto Salvadori nel corso della conferenza stampa. “La mostra nasce da un concetto che Dario Bartolini, uno dei protagonisti di quella stagione, mi ha spiegato tempo fa. In quel periodo le idee erano di tutti e poi venivano individualmente elaborate da ciascuno. Le idee erano dei veri cavalli di Troia. Allora, proviamo a pensare che il Cavallo di Troia può essere una metafora per costruire qualcosa di nuovo, per sovvertire, per andare avanti e non semplicemente stare nelle regole per non cambiare nulla. L’utopia radicale era questo”. E forse è per questo che ne abbiamo così tanta nostalgia.

Valentina Silvestrini

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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