Biennale d’Orleans (II). L’omaggio a Patrick Bouchain e Guy Rottier

Quell’uomo “alato” che campeggia al centro di frammenti di filo spinato, immagine della performance dell’austriaco Mario Terzic, in un certo senso potrebbe sintetizzare lo spirito della Biennale di Architettura d’Orleans; in fondo l’architetto è un visionario e un pioniere, un po’ novello Icaro, che segue i sogni più arditi, e un po’ Otto Lilienthal, che al sogno del volo accompagna precisi studi scientifici. A questa visione, fra tecnica e utopia, risponde l’opera di Patrick Bouchain e Guy Rottier, a cui la Biennale dedica due importanti monografiche.

Forma, prospettiva, sperimentazione, sono i punti chiave della prima Biennale d’Architettura d’Orleans, che spiega come l’architettura sia capace di guardare avanti trasformando il passato in una possibilità di futuro, attraverso progetti che vanno a incidere sul paesaggio e gli individui. L’“indecisione permanente” di Patrick Bouchain (Parigi, 1945) rientra a pieno titolo fra i punti chiave di cui sopra, ed è celebrata da una retrospettiva che ne ripercorre mezzo secolo di carriera, suggellando la recente acquisizione dell’intero suo archivio da parte del Frac Centre-Val de Loire, che appunto ospita la mostra. Dall’impegno nel partito comunista francese ‒ per il quale realizzò numerosi manifesti di propaganda e curò gli allestimenti dei comizi elettorali ‒, ai progetti di edifici importanti fra cui la Grange au Lac di Évian e il Lieu Unique di Nantes, Bouchain ha sempre messo, in un certo senso, l’arte al servizio dell’architettura, cercando di rispondere alle nuove esigenze di una società in trasformazione, che richiede spazi flessibili e polifunzionali. La struttura dell’edificio, per lui, è sempre una condizione dell’azione, la quale è connessa a quella sperimentazione architettonica che si traduce nell’ibridazione di linguaggi e materiali. Ovunque si dispieghi, l’architettura di Bouchain amplia gli orizzonti, trasmette il senso e la necessità dell’impegno civile, e apre al dialogo con altre culture, una su tutte quella africana, per ovvie ragioni di continuità storica con la Francia. Esposti per la prima volta i quaderni del grande architetto, con appunti, bozzetti, disegni, che aiutano a conoscere il suo metodo creativo, all’apparenza caotico, zingaresco, improvvisato; in realtà, i suoi progetti sono il risultato dell’incontro di culture ed esigenze diverse, sintetizzate in un edificio. Bouchain guarda molto all’Africa settentrionale, alle strutture delle tende dei nomadi Touareg, pensate per essere in continuo movimento, dalle pareti flessibili che lasciano passare aria e luce. Anche i teatri e gli spazi culturali progettati dall’architetto parigino, generalmente realizzati in legno, lasciano pensare a strutture flessibili, non troppo impattanti, perché solitamente costruiti in aree sottoposte a vincoli.
Il pensiero di Bouchain si basa sul piacere di creare, sulla sperimentazione, e sulla responsabilità etica dell’architetto. Principi ai quali si è rifatto il governo francese nel promulgare la legge 2016-925, che disciplina la possibilità di deroga ad alcuni vincoli in materia di edilizia. A richiedere una legge in tal senso, lo stesso Bouchain, che rivendicava la libertà di rendere l’architettura una disciplina condivisa anche da sociologi, artisti, naturalisti, normali cittadini; per questo, i suoi cantieri saranno “laboratori aperti” a tutti, luoghi dove un collettivo di cittadini potrà sviluppare progetti edilizi che tengano conto dell’interesse generale, integrati il più possibile con il territorio e chi lo abita. Un percorso agli esordi, ma che nei prossimi anni potrà sicuramente arrivare a risultati importanti.

Guy Rottier, Immeuble de la Radio, Rabat (Proposition), 1982. Photo François Lauginie Collection Frac Centre Val de Loire Donation Guy Rottier

Guy Rottier, Immeuble de la Radio, Rabat (Proposition), 1982. Photo François Lauginie Collection Frac Centre Val de Loire Donation Guy Rottier

L’OMAGGIO A ROTTIER

Anticipò la sensibilità contemporanea parlando di efficientamento e risparmio energetico attraverso l’utilizzo della luce solare, e concepì ogni progetto con una buona dose d’ironia che lo rendesse più gradevole ai destinatari; per Guy Rottier (Tanjung Morawa, 1922 ‒ Nizza, 2013) l’architettura è stata principalmente una scienza sociale, strettamente connessa all’urbanistica e a questo proposito destò impressione il suo appello al decisionismo politico, al richiamo alle responsabilità di ministri e assessori, affinché avessero il coraggio di portare avanti rapidamente quei programmi di sviluppo urbano che non sempre, sulle prime, sono accettati dalla popolazione. A questo pioniere dell’architettura integrata, la Biennale d’Orleans rende omaggio con la prima retrospettiva mai organizzata sulla sua opera. Trattandosi di una Biennale diffusa sul territorio, la mostra si tiene a Les Tanneries ‒ Centre d’art contemporain nella cittadina di Amilly, dove sono riuniti circa cinquanta pezzi fra disegni, fotografie e modelli plastici, che riassumono i sei decenni della carriera di Rottier, nel corso dei quali rinnovò profondamente il linguaggio architettonico coniugando pittura, poesia e architettura. I bozzetti dei suoi progetti sono già opere d’arte, che ricordano la pittura surrealista, i collage cubisti, il modernismo olandese e quello di Frank Lloyd Wright.
Ecco che dalla sua mente prendono forma abitazioni volanti, abitazioni interrate, abitazioni estensibili sulla base dell’aumento dei membri della famiglia; un approccio a tratti ironico e sognatore, ma capace di cogliere e risolvere le problematiche abitative. Ad esempio, con il progetto della “città solare” Ecopolis, pensato nel 1970 e mai realizzato. Con l’eliofisico Maurice Touchais, Rottier fu uno dei primi a tener conto degli effetti della scarsa distribuzione della luce solare negli edifici. Insieme, svilupparono i “lumiducts”, tubi con pareti interne riflettenti che, collegate a uno specchio sensore, avrebbero illuminato i volumi ciechi e profondi e, per inciso, ridotto l’inquinamento del gasolio utilizzato per il riscaldamento. Ecopolis è una città pensata con edifici a basso impatto ambientale, una cosa straordinaria per gli Anni Settanta. E ancora, la non meno audace Maison éolienne, del 1979, capace di ruotare grazie a un perno centrale, permettendo di cambiare costantemente panorama, in un raggio di 360 gradi. Un progetto “politico”, pensato contro le leggi francesi in materia di edilizia che, con i loro vincoli paesaggistici e sui materiali, a suo dire ostacolavano la libera espressione degli architetti; la “casa eolica”, quindi, è un inno alla creatività, e anche alla realizzazione di se stessi.
Progetti in gran parte non realizzati, quelli di Rottier, ma che comunque hanno tracciato una strada, se è vero che l’efficienza energetica è oggi uno dei cardini della buona architettura, e le stesse amministrazioni politiche la incentivano. Ciò dimostra, quindi, l’importanza di un’architettura che abbia il coraggio dell’utopia, di una prospettiva sociale dove, platonicamente, il bello si unisce all’utile, nobilitando il paesaggio e creando quel senso di appartenenza che si traduce in rispetto, a sua volta foriero di civiltà.

Niccolò Lucarelli

Orleans // fino al 1° aprile 2018
Biennale d’Orleans
FRAC CENTRE-VAL DE LOIRE
88 rue du Colombier
Amilly // fino al 1° aprile 2018
LES TANNERIES ‒ CENTRE D’ART CONTEMPORAIN
234 rue des Ponts
www.frac-centre.fr
www.lestanneries.fr

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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