Riscoprire l’architettura di Vittorio Giorgini. A Milano
La Triennale, Milano – fino al 25 giugno 2017. In occasione della Milano Arch Week, una mostra getta nuova luce sulla visionaria ricerca dell’architetto fiorentino, a partire da due celebri dimore. Tra documenti d’archivio, disegni, dipinti, fotografie e modelli.
Non poche personalità di grande interesse sono state escluse per molto tempo dalle “storie ufficiali” dell’architettura moderna italiana, per via della loro indole naturalmente solitaria, dell’ostracismo doloso di critici e giornalisti, delle geografie periferiche delle loro realizzazioni. Da qualche anno, mentre il moderno si trasforma in modernariato, le opere dei “lupi solitari” riemergono copiose dai paesaggi multiformi della penisola, anche grazie a pubblicazioni intelligenti – come i preziosi volumi di Italomodern –, che azzardano un disinvolto appiattimento tra i presunti maestri e coloro che non furono mai riconosciuti come tali.
E proprio Italomodern è una delle più recenti apparizioni editoriali di Vittorio Giorgini (1926-2010), il geniale progettista outsider fiorentino cui la Triennale di Milano dedica in questi giorni un’interessante retrospettiva curata da Emilia Giorgi. Realizzata con il supporto di B.A.Co. (Baratti Architettura e Arte Contemporanea) e dell’Archivio Vittorio Giorgini, con la consulenza scientifica di Marco Del Francia e l’allestimento di Emanuela Salimei, è stata inaugurata in occasione della Milano Arch Week diretta da Stefano Boeri.
Per l’occasione, Giorgi ha selezionato le due case più celebri di Giorgini – Casa Esagono del 1957 e Casa Saldarini del 1962, entrambe nel Golfo di Baratti – e la visionaria “Ipotesi per un habitat più naturale”, esposta per la prima volta nel 1968 al Palazzo dei Diamanti di Ferrara.
UN OUTSIDER, TRA AUDACIA E SPERIMENTAZIONE
La curatrice racconta Giorgini come un “pirata dell’architettura”, un esploratore e sperimentatore indomito: “Arriva a Baratti sospinto da una tempesta che lo costringe ad attraccare in rada, s’innamora del golfo e, tornato a Firenze, scopre che la sua famiglia possiede un appezzamento di terra proprio in quel luogo”. Costruita dalla ripetizione della stessa geometria modulare, interamente prefabbricata e completamente sopraelevata dal suolo, la Casa Esagono è il cabanon estivo dove Giorgini incontra i grandi intellettuali e artisti della sua epoca, come André Bloc, Gordon Matta-Clark, Isamu Noguchi ed Emilio Vedova. Proprio a uno dei suoi ospiti propone un progetto ancora più audace. La casa dell’industriale comasco della seta Salvatore Saldarini è una struttura a membrana isoelastica in rete e cemento (tecnica allora inedita), di cui nessun ingegnere volle mai firmare i calcoli strutturali e la cui tenuta fu verificata unicamente tramite modelli in scala, letteralmente cavalcati dai figli di Giorgini nel giardino dell’Esagono. Così, Casa Saldarini appare nella pineta come una concrezione di calcestruzzo ruvida e formosa, un’ideale bisettrice culturale e formale tra le ricerche di Gaudí e di Gehry.
ARCHITETTURA E SCIENZE NATURALI
Il padiglione in legno e la caverna di cemento “sono diversissimi tra di loro” – prosegue Giorgi –, “tanto che si fatica ad attribuirne la paternità allo stesso autore. Eppure entrambi, e con loro la mostra del ’68, dove la ricerca intrapresa con Casa Saldarini si estende alla dimensione urbana, raccontano dei temi più cari a Giorgini: l’urgenza di “non violentare il paesaggio” (com’era solito affermare), l’interesse per l’ibridazione tra l’architettura e le scienze naturali, gli influssi potenti del mondo dell’arte contemporanea sulle sue opere. Giorgini fu un uomo di grandi entusiasmi e grandi delusioni: per questo la mostra lo racconta anche attraverso la sua fotografia più bella, che lo ritrae a cavalcioni del camino di Casa Saldarini, felice e sfinito”, mentre la sua architettura si slancia verso le acque del golfo, miracolosamente intatta.
– Alessandro Benetti
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