La profonda leggerezza di Christian Boltanski

La studiosa di fotografia Angela Madesani ricorda Christian Boltanski a pochi giorni dalla scomparsa. Il ritratto che ne deriva è quello di un artista gentile e riservato, capace di affrontare il tema della memoria storica con grande intelligenza.

Nel giorno della ricorrenza della presa della Bastiglia, dell’inizio del mondo nuovo, se n’è andato Christian Boltanski (Parigi, 1944 – 2021), uno dei più intelligenti e profondi artisti contemporanei.
Sono molti i lavori che lo rappresentano: mi vengono in mente una sua installazione con una lampadina a basso voltaggio, che riusciva a evocare i più profondi sentimenti dell’esistenza, ma anche la sua straordinaria installazione bolognese con il relitto del DC-9 dell’Itavia precipitato in mare il 27 giugno 1980 al largo di Ustica.

LA STORIA DI CHRISTIAN BOLTANSKI

Il cuore del suo lavoro è stata la memoria, la storia. Era nato nel 1944 da un medico ucraino, che aveva passato il periodo della persecuzione chiuso in un piccolo ambiente buio, ricavato nel suo appartamento. Ambiente tornato tanto spesso nel lavoro del figlio. La madre corsa era, invece, una scrittrice di fede cattolica. L’artista francese ha parlato in modo più o meno diretto per tutta la sua vita della Shoah, della perdita, della scomparsa, dell’assenza. Ha usato per i suoi racconti fotografie, installazioni, oggetti di uso comune, disegni, libri e altro ancora.
Nonostante l’apparenza drammatica, il suo è stato un lavoro di grande leggerezza, quella leggerezza, nel senso più profondo del termine, che è di pochi e che ho riconosciuto in Boltanski quando ho avuto la fortuna di passare qualche ora con lui in un caffè parigino. Era un uomo gentile. Lo avevo invitato a partecipare alla mostra Polemos al Forte di Gavi. Non solo partecipò, ma rese tutto semplice, senza creare problemi di sorta. Era un uomo riservato che avevo già incontrato a Villa delle Rose, a Bologna, dove aveva fatto un lavoro indimenticabile. In quell’occasione lo salutai e lo ringraziai per aver partecipato a Utopie quotidiane, la mostra che avevo curato a PAC di Milano con Vittorio Fagone, qualche anno prima.

Christian Boltanski, Le Théâtre d'Ombres, 1985-90. Courtesy l’artista

Christian Boltanski, Le Théâtre d’Ombres, 1985-90. Courtesy l’artista

LE OPERE DI BOLTANSKI

Boltanski, negli oltre cinquant’anni di lavoro e di ricerca, ha raccontato la sua storia, ha proposto le sue immagini, ci ha coinvolto nelle sue mitologie quotidiane: l’uomo, che fosse il bambino del club Mickey Mouse, lo scolaro della scuola ebraica di Parigi, i suoi avi arrivati dall’est a Parigi, o lui stesso in diversi momenti dell’infanzia e dell’adolescenza, è colto nella tragica normalità dell’esistenza, in cui tutto può accadere, in cui tutto può finire da un momento all’altro.
Se penso a lui in questo brutto momento, mi vengono in mente i suoi Théâtre d’Ombres, dove tutto appare e scompare, come in un gioco, come in un mondo di apparenze, illusioni, rimandi in cui di volta in volta la presenza si fa assenza e viceversa, in cui morte e vita si alternano senza soluzione di continuità.

Angela Madesani

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Angela Madesani

Angela Madesani

Storica dell’arte e curatrice indipendente, è autrice, fra le altre cose, del volume “Le icone fluttuanti. Storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia”, di “Storia della fotografia” per i tipi di Bruno Mondadori e di “Le intelligenze dell’arte”…

Scopri di più