Musei e digitale. L’esempio del Victoria & Albert Museum di Londra

La nostra ricognizione sul rapporto tra i musei e il digitale stavolta fa tappa a Londra, dove Katie Price del Victoria & Albert Museum ci ha raccontato, prima del lockdown, come funziona il dipartimento in cui lavora.

Katie Price ricopre il ruolo di Head of Digital Media al Victoria & Albert Museum di Londra, dove, prima del lockdown, ha aperto una straordinaria mostra dedicata ai kimono.

Quanto sono importanti la comunicazione e lo sviluppo digitali per un museo? E quanto al V&A in particolare?
Negli ultimi trent’anni, i media digitali hanno aperto nuovi modi per i musei di connettersi e far crescere il proprio pubblico. Il digitale è diventato uno strumento vitale per aiutarci a realizzare le nostre missioni, per fornire accesso agli oggetti contenuti nelle nostre collezioni. Al V&A raggiungiamo quattro volte più persone online che fisicamente ogni anno: il digitale è uno dei modi in cui coinvolgiamo il nostro pubblico e raccontiamo le storie dei milioni di oggetti nelle nostre collezioni.

Quanto significa la digitalizzazione delle risorse (ad esempio delle collezioni) e dei processi in termini di efficacia della comunicazione attraverso i canali dei social media?
Con una collezione grande come la nostra, stiamo lavorando progressivamente alla digitalizzazione di tutti gli oggetti dei quali ci prendiamo cura: hanno dimensioni variabili da una piccola spilla Tudor a una complessa scala medievale. Avere immagini in alta risoluzione e produrre metadati di buona qualità per ogni oggetto richiede parecchio tempo. Ma una volta che avremo questi dati, potremo iniziare a creare avvincenti esperienze online e potremo servirci dei nostri contenuti per raggiungere nuove audience. La grande crescita dei social media ha visto i nostri contenuti raggiungere più persone che mai. Ci ha anche sollecitati a pensare modi nuovi per strutturare e comunicare le storie sugli oggetti nelle nostre collezioni.

Per il V&A quali attività sono rilevanti e significative? Avete attività partecipative?
Il V&A ha una serie di priorità strategiche e il digitale, in ciascuna di esse, riveste un ruolo importante; in sintesi e per temi, indico l’obiettivo specifico del digitale. Segmenti di pubblico: diversificare le audience in tutta la famiglia di siti, in crescita, del V&A e costruire un brand riconosciuto a livello globale. Collezioni: presentare per intero la portata delle collezioni del V&A, posizionando il museo al centro dei dibattiti globali su arte, design e performance. Nazionale/internazionale: estendere e approfondire la portata della missione del V&A attraverso partnership e collaborazioni innovative in tutto il Regno Unito e all’estero. Learning/Creative Industries: attivare la collezione del V&A, programmi pubblici e reti creative per ispirare artisti, designer e innovatori. Sostenibilità: diversificare e aumentare le fonti di finanziamento pubbliche, private e commerciali a sostegno di tutti i siti e le strategie di V&A.

Mary Quant. Exhibition view at Victoria and Albert Museum, Londra 2019

Mary Quant. Exhibition view at Victoria and Albert Museum, Londra 2019

Che tipo di metriche usi per valutare un progetto digitale?
Stiamo lavorando per far maturare le nostre metriche, per superare quelle di “vanità” riferite a portata o volume, verso metriche più significative e rappresentative delle prestazioni digitali. Stiamo pensando a identificare i differenti tipi di obiettivo dei nostri utenti nell’utilizzo delle risorse online e al modo migliore per sviluppare una serie di metriche che possono aiutarci a valutare, e quindi perfezionare, il modo in cui soddisfiamo le esigenze dei nostri visitatori. Abbiamo identificato tre tipi di obiettivo: acquistare, imparare e visitare. Quando il fine della visita online è l’acquisto, impostiamo alcuni snodi di conversione per valutare quanto sia buona la nostra esperienza utente (ad esempio), vendere abbonamenti, merchandising e biglietti e per capire in quali punti le persone abbandonano il percorso di acquisto. Quando il fine è imparare, misuriamo il rendimento dei nostri contenuti: le persone sono interessate a questo, stanno trovando ciò di cui hanno bisogno? Le metriche in quest’area includono, ad esempio, la frequenza di rimbalzo, il tempo di permanenza, la percentuale di un video guardato o di un articolo letto. Sul tema della visita, tracciamo quante persone che visitano il museo fisicamente hanno utilizzato il sito web come fonte di informazioni. Di fatto, ho costruito business case per importanti investimenti sulla dimensione digitale del museo (nel 2016), scommettendo sul fatto che se l’utente avesse avuto garantita una migliore esperienza della navigazione online e, di conseguenza, anche del brand museo, saremmo stati in grado di convertire più visitatori online in visitatori del museo. E nei successivi tre anni il nuovo sito web del museo ha portato altre 500mila persone al museo.

Ci sono due mondi separati là fuori? Uno online e uno offline?
Questa è una domanda troppo filosofica!

Torniamo alla relazione tra i visitatori del sito web e i visitatori del sito “fisico”.
Una buona percentuale di persone che navigano il sito ha intenzione di visitare il museo. Abbiamo sviluppato contenuti più stimolanti e una migliore esperienza per l’utente al fine di trasformare una più alta percentuale di quelle visite online in visite fisiche. Ma il rovescio della medaglia è che, comunque, la maggior parte dei nostri visitatori online non arriverà mai ai nostri edifici. Ecco perché è così importante creare un’esperienza online avvincente che non tenti di ricreare l’esperienza museale, ma offra invece qualcosa di veramente distintivo. Al V&A abbiamo il quadruplo di visitatori online rispetto a quelli fisici. È una proporzione eccezionalmente alta rispetto a molti musei, dove il rapporto online/on site è più contenuto. Ovviamente il brand V&A ha un ruolo fondamentale: è riconosciuto a livello globale e questa è una delle ragioni per cui abbiamo un pubblico online così vasto.

Parlaci del rapporto con il museo per cui lavori. Quali sono i tuoi progetti preferiti? È facile lavorare su “cose digitali”?
La mia relazione con il V&A è iniziata nel 1997 quando ho fatto il Master in Design History, un corso tenuto tra il V&A e il Royal College of Art. In realtà era iniziata prima, come visitatore, ma è stato solo durante i due anni del MA che ho davvero iniziato a costruire un profondo legame con le collezioni. Quattordici anni dopo sono tornata come responsabile dei media digitali. Questa è la parte preferita del mio ruolo: creare nuovi modi per le persone per connettersi con le storie dei nostri oggetti. È facile? Non sempre, ma chi vorrebbe un lavoro sempre facile?

Puoi raccomandare un libro che ritieni utile per i colleghi italiani e non solo?
Di recente mi è stato donato un libro intitolato Nine Lies about Work: A freethinking leader’s guide to the real world. Mette in discussione alcune delle “verità” di base sulla vita lavorativa e sottolinea gli aspetti che contano davvero sul posto di lavoro.

Maria Elena Colombo

https://www.vam.ac.uk/

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #54

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