The Human Tools. I robot secondo Nico Angiuli

Multimedialità, codici umani e robotici sono al centro della conversazione con l’artista Nico Angiuli.

In occasione del suo nuovo lavoro, The Human Tools, alla Cittadellarte di Biella e in attesa della sua installazione al Museo Castromediano di Lecce, che l’ha co-prodotto nell’ambito del bando Italian Council del Ministero dei beni culturali, abbiamo incontrato Nico Angiuli (Bari, 1981) per discutere della sua ricerca e delle sue prospettive, anche rispetto al lavoro di squadra.

Partiamo proprio da questo nuovo progetto video-installativo, che mi pare condensi le principali specificità della tua ricerca: interazione, narrazione, differenze. Raccontami com’è stato generato e come si sviluppa.
Già dal 2017 con Careof abbiamo ragionato sull’essere umano inteso come attrezzo. In quel caso con The Tools Dance – Collective Performance ci si è concentrati sul gesto agricolo primordiale e sulle trasformazioni ‒ per mezzo di tecnica e tecnologia ‒ dello stesso, sino a intendere le macchine come comunità para-umana; nel 2018 ho poi lavorato nei meleti altoatesini, su invito del collettivo BAU; per la restituzione pubblica mi sono soffermato sulla filiera, vista come struttura scenico-formale in grado di riassumere complessità locali e globali. The Human Tools unisce un po’ logiche e temi emersi in questi due progetti: ho applicato lo schema di una filiera classica (produzione di beni) a frangenti ‒ passati, presenti e futuribili ‒ che rideterminano la condizione umana e i termini di un corpo vivo. Ho potuto così affrontare molte di quelle tensioni economiche, tecno-etiche, biopolitiche, di genere, in grado di codificare l’essere umano e “vitalizzare” quello robotico. Siamo abituati a pensarci come parte attiva del consumismo, come consumanti, ma sempre più spesso veniamo prodotti e profilati, come si fa con gli umanoidi dotati di AI.

Nico Angiuli, The Human Tools, 2019, dettaglio di scena. Courtesy Cittadellarte e l'artista

Nico Angiuli, The Human Tools, 2019, dettaglio di scena. Courtesy Cittadellarte e l’artista

Gli undici personaggi riflettono su che cos’è un robot, attraverso molti punti di vista che riguardano anzitutto il corpo. Per produrre quest’opera, com’è stato in altre occasioni, hai lavorato con altre professionalità. Cosa vuol dire per un artista lavorare in un team?
The Human Tools è stato realizzato a Biella negli spazi di Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, con il coordinamento dell’ufficio arte diretto dall’artista Juan Sandoval. Abbiamo invitato attori tra Piemonte e Lombardia: Luca Antonello, Eleonora Battaglia, Tatiana Cazzaro, Shahzada Husnain Fiaz, Elena Gugel, Cece Mannazza, Noemi Iuvara, Erica Massaccesi, Graziella Panetta; e poi Kastriot Shehi, attore albanese, e Seth Oppong, bracciante ghaniano. L’opera si è evoluta secondo pratiche relazionali tipiche dell’arte pubblica; si è avvalsa di figure provenienti dal cinema e dal teatro come le costumiste Augusta Tibaldeschi e Roberta Vacchetta, il filmmaker Giuseppe Valentino, il montatore Guglielmo Trupia; e poi Rino Arbore, che ha firmato le musiche, l’artista Raffaele Fiorella e il giovane Alessandro Vangi. Dovendo trattare temi disparati ‒ dallo schiavismo antico alle sex dolls dotate di AI sino all’indottrinamento di stampo politico ‒, è stato fondamentale avere accesso a diverse fonti diverse, incrociare storie, dati e visitare luoghi (siamo stati nella sede Amazon di Vercelli ad esempio). Abbiamo ospitato l’antropologo albanese Albert Nikolla e il sindacalista FLAI Jean Renè Bilongo, e anche un robot, il Telenoid. Il gruppo di attori ha sempre partecipato alle sessioni di lavoro con gli ospiti; l’idea drammaturgica sui personaggi si è sviluppata anche partendo dal vissuto di chi li ha interpretati.

Il caporalato è uno dei temi di questo lavoro e di altre tue riflessioni. Tu sei pugliese, una terra martoriata da questo fenomeno. Qual è oggi il compito dell’arte rispetto a queste enormi smagliature sociali?
Citi il caporalato, io credo che il ruolo dell’arte sia ogni volta specifico. Ad esempio per Tre Titoli ‒ film girato a Cerignola, luogo natio di Giuseppe Di Vittorio ‒ abbiamo cercato di ritessere due comunità apparentemente lontane: quella dei braccianti del Novecento ‒ che lottarono con Di Vittorio contro il latifondismo ‒ e quella dei nuovi braccianti locali, provenienti dal Ghana; questi ultimi stanno rivivendo le stesse condizioni di sfruttamento a cui erano sottoposti i lavoratori locali cento anni fa. Il film apparenta queste due comunità, guardando al caporalato non secondo logiche da cronaca giornalistica stile mordi, racconta e fuggi, quanto provando a costruire un terzo corpo sociale e politico, dato dalla commistione di questi mondi speculari ma su piani temporali falsati. Credo che la ricerca artistica, quando ne ha la forza, possa ricucire il senso profondo di valori collettivi come il lavoro, l’identità nazionale (vedi ‘Prima gli italiani’), il paesaggio, ecc. Questo ruolo sartoriale spetterebbe anche alla politica, ma mi pare parli ormai come le storie Instagram, oggi per domani.

Nico Angiuli, Tre Titoli, 2015, film, momenti assembleari. Photo Ezio Cibelli

Nico Angiuli, Tre Titoli, 2015, film, momenti assembleari. Photo Ezio Cibelli

Quindi l’arte contemporanea quali funzioni potrebbe assumere? Il pubblico che frequenta i musei e le fondazioni come percepisce tali sollecitazioni?
Le pratiche artistiche rappresentano una forma di lettura e approfondimento sul mondo, a volte con proposte operative socially engaged, a volte più teoriche o simboliche ma comunque legate a un’emancipazione da schemi, preconcetti, pregiudizi. Esistono tanti pubblici dell’arte: chi compra, chi la studia, chi la cerca per farsi un selfie, chi va alle mostre per fare rete e così via. Penso che il pubblico più coinvolto sia quello con cui direttamente gli artisti sviluppano i loro progetti, ma forse esagero, però davvero chi frequenta i musei dovrebbe ritrovarsi a fare arte e non solo fruirne. L’arte contemporanea in particolare potrebbe avere un peso maggiore nella società, entrare in un dialogo più complesso con le diverse forme di partecipazione alla cosa pubblica.

Di recente hai affiancato la tua ricerca artistica a un impegno nella didattica, con un corso all’Accademia di Belle Arti di Bari. Cosa insegni ai tuoi studenti?
In Accademia insegno Tecniche Performative. È un corso a cui mi sono legato da subito, sviluppiamo performance che realizziamo spesso fuori dal contesto accademico. Nel corso del semestre propongo metodi di lavoro che ritengo validi, esperienze di collettivi e curatori; invito artisti come è stato con Beatrice Catanzaro o Iacopo Seri. Sono attento al creare un clima di scambio che credo sia sempre fruttuoso. Cerco di comprendere e affinare le sensibilità degli studenti, spingo perché siano i temi a guidare le loro pratiche artistiche e non una tecnica o un materiale. Quest’anno per fine corso abbiamo una bella occasione di confronto data dalla collaborazione che il direttore dell’Accademia Giancarlo Chielli ha messo in piedi con la Fondazione Museo Pascali, e che ci vedrà partecipare con una serie di performance all’interno del programma di eventi che si affiancano alla mostra dedicata all’artista pugliese ‒ che si tiene in questi mesi a Venezia nel frame Biennale. Appuntamento fissato per il 10 luglio a Palazzo Cavanis.

Nico Angiuli

Nico Angiuli

Vivi in Puglia ma sei costantemente in transito altrove. The Human Tools farà presto tappa al Museo Sigismondo Castromediano di Lecce, che ha partecipato alla produzione dell’opera insieme a Cittadellarte. Come ti relazionerai con gli spazi del museo e quali sono i tuoi progetti in cantiere per il prossimo futuro?
A Lecce, grazie alla collaborazione con il neo-direttore Luigi De Luca, avremo modo di installare la versione circolare del film: è una grande installazione in cui il pubblico entra per piccoli gruppi e si siede al centro; il film scorre su una parete circolare di 26 metri. Il museo è molto accogliente e ci sono ampi spazi, sono sicuro sarà una bella occasione poter conservare e mostrare l’opera al Castromediano. Inauguriamo il 22 giugno e The Human Tools sarà in dialogo con I bachi da setola di Pino Pascali; la mostra resterà aperta sino a settembre. Da ottobre mi concentrerò sul trovare partner, fondi e finanziatori per un’idea a cui lavoro su carta da tempo: attivare un servizio gondole temporaneo nell’area del petrolchimico di Porto Marghera, in cui i gondolieri, anziché raccontare della Callas o di Casanova, descrivono gli episodi chiave di questo pezzo mai digerito di città; come ad esempio del sequestro e omicidio di Taliercio, direttore dell’allora Montedison, avvenuto a Marghera per mano delle BR nel 1981; un tentativo di riconnettere le due città, quella storica e quella industriale. A parte i progetti, mi godrò un po’ l’estate.

Lorenzo Madaro

www.nicoangiuli.com/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Lorenzo Madaro

Lorenzo Madaro

Lorenzo Madaro è curatore d’arte contemporanea e, dal 2 novembre 2022, docente di ruolo di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia delle belle arti di Brera a Milano. Dopo la laurea magistrale in Storia dell’arte all’Università del Salento ha conseguito il master…

Scopri di più