Come sarà la Biennale di Shenzhen 2019. La parola al direttore Fabio Cavallucci
Il curatore, a capo di uno dei due team che organizzeranno l’ottava edizione della Biennale di Shenzhen, ci parla di avvenimenti, personaggi e tematiche al centro di questa attesa manifestazione.
Si svolgerà tra la fine del 2019 e la primavera del 2020. La particolarità della prossima Biennale di Shenzhen sarà quella di proporre un approccio multidisciplinare riguardo al tema delle nuove tecnologie e al modo in cui penetrano nella vita dell’uomo. Un doppio team di curatori -tra i quali fioccano grandi nomi del panorama internazionale- guidati da Carlo Ratti, con il focus sull’architettura, e da Fabio Cavallucci con Meng Jianmin. I due si occuperanno di arte e fantascienza. Ce lo racconta lo stesso Fabio Cavallucci in questa intervista.
Ci parli innanzitutto della città di Shenzhen, che si prepara ad accogliere l’ottava Bi-City, Biennale di Architettura e Urbanistica.
Shenzhen è una città straordinaria. Quarant’anni fa non esisteva, era solo un piccolo villaggio di pescatori, ora conta tredici milioni di abitanti, con due dei grattacieli più alti del mondo, sede delle più importanti compagnie tecnologiche, tra cui le potentissime Tencent e Huawei. Un cambiamento determinato dalla volontà dell’allora segretario del Partito Comunista Cinese, Deng Xiaoping, di aprire la Cina al mondo, e soprattutto di creare in quest’area una zona a bassa tassazione. Del resto, Shenzhen confina con Hong Kong, con la quale potrebbe diventare presto un’unica città. Così aveva senso che avessero alcuni privilegi comuni.
Qual è invece l’ambiente culturale che offre questo territorio?
Sul piano culturale ci sono diverse istituzioni, come il Museo del Design e OCT, uno spazio espositivo privato, e anche una Biennale d’Arte appena nata. Le cose, in Cina, si sviluppano molto rapidamente: è di questi giorni la notizia che il Comune ha deciso di realizzare un centro culturale in ogni quartiere. Per cui, presto avremo qualche decina di istituzioni in più, anche se in cerca di contenuti. Ma la Biennale di Architettura e Urbanistica è di gran lunga l’evento più importante e atteso, ormai consolidato.
Quale sarà il tema della Biennale di Shenzhen di quest’anno?
Sarà il rapporto tra le nuove tecnologie e la città, come le prime modificano gli assetti urbanistici e architettonici. È un tema molto affascinante che il mio team sta sviluppando principalmente sotto il profilo sociologico: ciò che ci interessa è capire quale impatto queste tecnologie abbiano sull’uomo, che da una parte le sviluppa per soddisfare i propri bisogni e desideri, ma dall’altra ne diventa una sorta di servomeccanismo, un ingranaggio che non può che rispondere ad un sistema molto più grande di lui.
Ci spieghi meglio.
È una sorta di “libertà da aeroporto”: in aeroporto forse ci sentiamo liberi, ma non possiamo fare altro che seguire file e linee ben definite, dal check in al controllo di sicurezza, alla porta di imbarco. Così accade nella città: la progressiva espansione delle tecnologie che rendono più facile la vita, diminuisce la nostra libertà. In qualche modo riduce anche la nostra necessità di elaborare e di risolvere problemi, come fosse uno step precedente all’avvento dell’intelligenza artificiale in cui rinunciamo a una parte del nostro potere di prendere decisioni.
Quali sono i personaggi con cui vi state interfacciando?
Ci stiamo interfacciando con artisti e advisor indipendenti, molti dei quali internazionali, da Troy Conrad Therrien, curatore di architettura del Guggenheim a Morad Montazami, già curatore per la fascia araba alla Tate Modern, da Sofia Mourato, direttrice di un Festival di film di architettura a Lisbona, a Ewan McEoin, curator of the National Gallery of Victoria in Melbourne. Abbiamo costituito una rete che possa fornirci informazioni da diverse parti del mondo, poiché nessuno oggi può avere una visione veramente globale.
Da una parte Carlo Ratti, con un team che lavorerà sulla sezione architettura, dall’altra Fabio Cavallucci e i curatori che si concentreranno sulle arti visive. Come pensa che funzioneranno le due squadre? In sinergia o piuttosto in ambiti separati?
In realtà non c’è una divisione specifica tra i due team: anche noi lavoreremo sull’architettura, anche perché l’altro chief curator del mio gruppo è Meng Jianmin, celebre architetto e accademico di Shenzhen. Ciascuno realizzerà una mostra diversa, ovvero il progetto per cui è stato selezionato. Ovviamente ci sono molti punti in comune, come la didattica, le attività relative all’opening, il catalogo, e in qualche modo le stesse mostre, stando attenti a non creare sovrapposizioni.
Da chi sarà composto il vostro team di arti visive e con quale criterio lo avete selezionato?
La domanda giunge a proposito, perché mi permette di parlare di chi, in effetti, ha messo insieme tutta questa operazione. Si tratta di Manuela Lietti, una curatrice d’arte italiana che vive a Pechino da oltre quindici anni. È a lei che mi sono rivolto quando ho avuto l’idea di partecipare al bando per la ricerca dei curatori della Biennale di Shenzhen, e sempre grazie a lei è stato raccolto un gruppo vario e estremamente composito, che spero sorprenderà per il taglio particolare che darà alla Biennale.
E gli altri chi sono?
Il gruppo, oltre che da Meng Jianmin e da me, entrambi chief curator, è composto da Wang Kuan, un architetto di Pechino, Zhang Li, di Shenzhen, la stessa Manuela Lietti e due scrittori di fantascienza, Wu Yan e Chien Qiofan. L’idea della mostra è di utilizzare anche gli strumenti della science fiction per interpretare lo sviluppo tecnologico della città. Ci sono poi degli advisor di grande rispetto: tra cui Wlodek Goldkorn, per la parte delle conferenze e dei dibattiti, e Liu Cixin, che in Cina è una star, lo scrittore di fantascienza più noto, autore del bestseller internazionale Il problema dei tre corpi.
Qual è il suo principale obiettivo per la Biennale di Shenzhen?
Sono interessato alle biennali perché mi consentono di creare mostre che siano di ricerca ma anche largamente popolari. Bisogna poi notare come le Biennali di architettura, negli ultimi anni, stiano riconoscendo il proprio limite nel mostrare progetti e modelli, avvicinandosi così alle biennali d’arte, con installazioni, video e presentazioni dei materiali più vari. Si capisce che siamo in un momento di svolta, in cui c’è bisogno di capire come realizzare una biennale di architettura che sia allo stesso tempo scientifica, ma anche adatta a un largo pubblico. Un passo in più verso un nuovo modello: questo spero possa essere il mio personale apporto alla Biennale di Shenzhen e all’evoluzione delle Biennali di Architettura.
-Giulia Ronchi
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