Dall’Archivio Viafarini. Intervista con Daniele Pulze
Una nuova voce si unisce alle conversazioni tra Progetto /77 e alcuni degli artisti incontrati nell’ambito del progetto "Portfolio Review Re-enactment", in collaborazione con Viafarini. Il suo nome è Daniele Pulze e l’opera oggetto dell’intervista è "The very very big green balloon's room".
Daniele Pulze (Piove di Sacco, 1988) vive a Bologna e si aggiunge a Mati Jhurry, Isabella Benshimol, Giada Carnevale, Marina Cavadini e Aldo Lurgo nel descrivere la propria poetica e un lavoro in particolare. La sua ricerca si fonda su una robusta consapevolezza dei materiali che utilizza, delle dinamiche percettive e di fruizione del lavoro. Osservando il suo fare creativo, appare chiaro l’interesse verso la parte strutturale degli oggetti e l’architettura degli spazi sui quali va a intervenire. Ciò che rende l’opera di Pulze così raffinata è la sua sensibilità, non solo verso l’ambiente fisico all’interno del quale agisce, ma anche verso il contesto sociale. Questo approccio dà un significato più ampio a ciò che solitamente viene definito “site specific”.
Formalmente The very very big green balloon’s room consiste in un gigantesco pallone verde inserito in uno spazio estremamente angusto, affiancato dai comunicati stampa, parte integrante dell’opera e scritti da Pulze per presentare il balloon. Sebbene il fruitore, prendendo semplicemente il primo foglio della risma di comunicati, possa pensare che questi ultimi rechino tutti le medesime informazioni, essi riportano, in ordine casuale, le diverse interpretazioni dell’opera. Ad esempio: “È la riproduzione in scala 20:1 di un palloncino rubato alla grande manifestazione della lega nord tenutasi il 28 febbraio 2015 in Piazza del Popolo a Roma. Il pallone è inserito in uno spazio che riproduce le dimensioni della casa di Matteo Salvini in scala 1:20″. O ancora: “È un pallone prodotto con gli scarti di pvc usato da Apple per gli imballaggi dei suoi prodotti. È stato gonfiato mediante un compressore, utilizzando precisamente l’energia necessaria all’accensione di un MacBook Air”.
Includere all’interno dell’opera le interpretazioni possibili della stessa è un processo che ci fa pensare all’institutional critique; questo è un lavoro che fa una critica, ma allo stesso tempo è anche molto ironico. Raccontaci come è nato.
Mi hanno invitato a fare una mostra in un paesino in provincia di Gorizia chiamato Gradisca d’Isonzo, che io non avevo mai neanche sentito nominare. Sono andato a vedere il borgo e la galleria La Fortezza, specializzata in pittura friulana del Novecento, e ho pensato che qualsiasi cosa di mio avessi messo lì dentro sarebbe stata del tutto aliena al contesto. Allora ho deciso di calcare la mano, di fare il gesto più eclatante, invadente e arbitrario di cui fossi capace: un very very big balloon. Doveva essere un vero e proprio evento per il paese, così ho preparato dei manifestini da attaccare in tutti i bar, cartolerie, casalinghi e tabaccherie del centro.
Fatto ciò avevo messo un alieno nella galleria, la gente sarebbe venuta a vederlo e per forza di cose si sarebbe chiesta il perché di quell’alieno. Io però non avevo nessun valido motivo per fare una cosa del genere in quel posto, e così ho deciso di inventare delle spiegazioni. Volevo che fossero appena al di sotto del plausibile, che sapessero giocare con i luoghi comuni e con le aspettative delle persone verso l’arte contemporanea.
Per ora hai esposto The very very big green balloon’s room in due occasioni e hai cambiato o integrato parte degli statement. Ti sembra corretto parlare di questo lavoro in termini di “progetto site specific a lungo termine” che ogni volta viene ripensato e riadattato in base alla situazione?
Mi sembra correttissimo. Quando ho portato il big balloon a Berlino ho capito che la ripetizione di quel gesto (il pallone in sé) è affine alla sua natura, ne ribadisce il vuoto pneumatico. E questo vuoto è tanto più forte quanto più le sue letture possibili variano, entrano nel particolare del contesto e riguardano direttamente lo spettatore. Perciò a Berlino non ho potuto fare a meno di inventare altri statement e tirare in ballo altri luoghi comuni, legati a ciò che sapevo della città e dello spazio espositivo. Penso che mi piacerebbe ripetere l’operazione molte altre volte, in molti altri luoghi.
Immaginiamo che la reazione dei fruitori nel momento in cui si rendono conto della molteplicità delle spiegazioni possibili dell’opera sia per lo meno di stupore. Per ora che feedback hai ricevuto?
La maggior parte degli spettatori pescava il primo foglio in cima alla pila, leggeva, guardava perplessa il pallone e se ne andava – il fatto che idee diverse del big balloon permangano nella memoria di spettatori diversi mi sembra uno splendido effetto collaterale. Poi ogni tanto qualcuno si confrontava col vicino, capiva l’inganno, rideva e andava a cercare altre spiegazioni in altri fogli di sala. In un caso il gioco si è dimostrato contagioso: i signori che gestiscono la galleria a Gradisca d’Isonzo hanno deciso di regalarmi un nuovo statement di loro invenzione.
/77
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