È necessaria una redistribuzione della ricchezza culturale e creativa
Alla crescente importanza che turismo e cultura rivestono nell’economia italiana non corrisponde un’adeguata retribuzione dei lavoratori ivi impiegati; situazione che richiede un’urgente riflessione sulle modalità di distribuzione della ricchezza

Come mostrato da un numero sempre crescente di rilevazioni e fonti, aumenta la disparità tra il valore di fatturato attribuibile ad alcuni segmenti economici e la ricchezza che da tali segmenti si riverbera nei territori. Tuttavia, mentre Sociometrica rileva che il valore totale del turismo italiano nel 2024 è stato pari a circa 57 miliardi di euro, non mancano riflessioni sulle condizioni di vita e sulle prospettive dei lavoratori. Dipendenti e non.
La tutela dei lavoratori in Italia
L’ultimo secolo di storia ha riservato al nostro Paese degli anni a dir poco dinamici in quasi tutti i campi della vita sociale e democratica: dalla dimensione politica a quella culturale; dai rapporti tra uomo e donna fino a quelli di lavoro. In questo andirivieni di modelli economici, imprese, produzioni, si è dapprima giustamente affermata una forte tutela dei lavoratori, che ha migliorato notevolmente le condizioni di vita nel Paese. Poi tale “forza contrattuale”, soprattutto in specifici ambiti economici e amministrativi, ha creato una forte resistenza all’adeguamento organizzativo, generando degli squilibri intergenerazionali. L’insieme delle tutele conquistate dai lavoratori, ad esempio, ha innescato in molti casi una disparità nei riguardi dei “futuri dipendenti”; condizione rafforzata anche da una modifica delle regole di assunzione nella Pubblica Amministrazione, portando ad una riduzione delle nuove assunzioni anche in caso di necessità concrete; come dimostrato, tra l’altro, dall’emergere del precariato pubblico, fenomeno che soltanto 40 anni fa sarebbe parso un ossimoro.
Negli ultimi anni, per far fronte a questa condizione economica e sociale, sono state attivate numerose azioni; alcune per agevolare i meccanismi assunzionali; altre volte a favorire l’imprenditorialità. Quindi, anche l’universo complessivo dei privati: professionisti, imprese e organizzazioni del terzo settore, ha adottato una serie strategie per adeguarsi alle mutate condizioni scenario, ormai completamente diverse da quelle della seconda metà del secolo scorso.
Il passaggio dall’economia industriale all’economia di servizio
Nel frattempo, è cambiata l’intera produzione globale. Il mondo è passato da un’economia industriale a un’economia di servizio. In altri termini, il settore che sui libri di scuola veniva chiamato terziario, è notevolmente cresciuto. Sono cresciuti i servizi, le attività online e quelle che conferiscono valore aggiunto ai prodotti. Sono cresciuti turismo e servizi culturali e creativi.
Con l’affermarsi di queste nuove economie, hanno iniziato a diffondersi pratiche che, nate nell’ambito della sharing-economy, in italiano economia della condivisione, si sono ben presto distaccate dal modello. Dal servizio di couchsurfing, ideato come “scambio” gratuito di posti letto tra viaggiatori, si è sviluppato il business degli affitti brevi, che ha rapidamente conquistato il mercato tanto da divenire una vera e propria minaccia per l’industria alberghiera; nonché una delle cause principali di quel “sovraffollamento turistico” che oggi solleva non poche proteste.

L’espansione delle dinamiche derivate dalla sharing economy
Queste dinamiche, troppo rapide per essere “gestite a livello ministeriale”, troppo grandi per essere “arginate da regolamenti”, hanno portato diversi settori, da quello culturale a quello turistico, verso una fase di grande espansione.
Oggi che quell’espansione è ormai matura, è necessaria una riflessione per consolidare queste esperienze: a partire da una chiara definizione della catena di produzione del valore volta ad una più equa ed efficace distribuzione della ricchezza sul territorio; non solo tra “cittadino privato” e “settore pubblico”, ma tra tutti i soggetti privati coinvolti.
In altre parole, se l’Italia stabilisce come rilevanti i settori economici del turismo, ristorazione, servizi a valore aggiunto, è necessario fare un ragionamento serio e di lungo periodo su questi comparti.
L’overturism: un ragionamento sui lavoratori coinvolti e sulla redistribuzione del valore
Per intenderci, negli ultimi due anni si è parlato molto di overtourism, e di come la “gentrificazione” ad esso collegata abbia causato l’esodo dei cittadini dai centri storici. Fenomeno percepito come una criticità e arginato attraverso la riduzione del self check-in, delle strette contro gli AirBnB, e altre azioni di questo tipo.
Non è stato però fatto un ragionamento sui lavoratori coinvolti in questo business: dagli addetti alle pulizie ai centralini. Figure che, per quanto attive spesso in condizioni precarie, percepiscono da questa filiera una parte del proprio reddito mensile. Al di là della correttezza di tale condizione, si tratta di un dato essenziale da considerare nel caso in cui si decida di dare una stretta al settore dell’ospitalità, con una significativa riduzione dei posti letto (e quindi di lavoro) all’interno di un’area urbana.
Turismo stipendi medi e redistribuzione della ricchezza H3
Di fronte alla preoccupazione suscitata dall’overtourism vale la pena ragionare sugli stipendi medi del personale, sulla regolarizzazione dei rapporti di lavoro per evitare che il sovraccarico dei costi determini la chiusura delle attività o la riduzione dei posti letto; che implicherebbero una riduzione degli introiti per gli esercizi commerciali, una procedura di ricontrattualizzazione dei canoni di locazione, e, quindi, una riduzione dell’occupazione. Per decenni, l’intera popolazione (o meglio, coloro che effettivamente pagavano quanto dovuto allo Stato sotto forma di tasse e di imposte), ha sostenuto una politica espansiva.
Una volta raggiunti livelli insostenibili, si è poi affermata la pratica opposta, per cui la Pubblica Amministrazione ha adottato una duplice linea di condotta: protezione massima tra gli interni e nessun tipo di tutela per i lavoratori esterni.
La redistribuzione del valore un passo necessario per la crescita del Paese
È dunque arrivato il momento di comprendere che per il nostro Paese è necessario trovare un equilibrio tra un’economia basata sulla PA e una fondata sui privati. Se il turismo è parte del nostro futuro, allora è necessario fare in modo che chi lavora nel turismo possa partecipare attivamente a tale futuro. Altrimenti non facciamo altro che creare dei lavoratori poveri, come dimostra l’aumento del tasso di rischio povertà tra gli occupati che, negli ultimi 20 anni, è passato, dall’8,7% al 10,2. Come citato dal Corriere Fiorentino, un report dell’Irpet (l’Istituto Regionale della Programmazione Economica della Toscana) ha evidenziato che il 40% dei lavoratori del turismo dichiara un reddito inferiore agli 8.000 euro annui. Situazione che, nel settore culturalediventa ancora più allarmante, considerando che il 40% degli operatori risulta “imprenditore di sé stessi”, categoria per cui il rischio povertà, anche a fronte di impiego, sale al 17,2% dei casi. Emerge quindi l’urgenza di capire come cultura, creatività e turismo possano incrementare la capacità di generare ricchezza, e di distribuirla.
Stefano Monti
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