Lavoro e cultura: come sbloccare la situazione?

Quali conseguenze ha la stasi del mercato del lavoro? Quali sono le peculiarità del settore culturale? E quali le differenze fra pubblica amministrazione e ambito privato? L'economista Stefano Monti fa il punto della situazione.

Lavoro nella Pubblica Amministrazione: il grande piano di rinnovamento per i prossimi anni può avere un ruolo importante nella gestione della transizione. Ma l’Italia ha bisogno di un incremento del lavoro privato, di una mobilità infrasettoriale.
Contrariamente a quanto una larga parte del dibattito pubblico induca a credere, infatti, il concetto di precarietà non è una caratteristica del rapporto di lavoro, ma dello scenario di riferimento. La dimensione di contesto gioca un ruolo fondamentale: in uno scenario ad alta rotazione di lavoro, ma con una grande domanda da parte delle organizzazioni (siano esse pubbliche o private), la percezione di un contratto a tempo determinato non può che essere differente rispetto alla percezione che si ha, del medesimo contratto, in un contesto in cui la domanda di lavoro da parte delle organizzazioni è notevolmente più bassa.

3 CONSEGUENZE DI UN MERCATO DEL LAVORO BLOCCATO

La stasi che il nostro mercato del lavoro conosce da anni incide notevolmente su tutte le dimensioni della nostra vita democratica e produttiva.
In primo luogo agisce sui consumi e sugli investimenti aggregati: se io ho oggi un lavoro a tempo determinato, dopo il quale mi aspetto che sia necessario attendere tempi lunghi prima di avviarne un altro, allora è chiaro che quello che guadagno non lo investo a lungo termine né lo consumo in beni durevoli o effimeri. Li terrò in banca, perché probabilmente mi serviranno a breve.

Da un lato, la fuga di cervelli produce una mancata opportunità per il nostro Paese, dall’altro genera un costo sociale elevato.

In secondo luogo la stasi genera un impatto negativo sulle scelte lavorative da parte degli individui. Questa condizione, a dire il vero, colpisce tutti i generi di contratto ed è molto comune tra i nostri concittadini: ognuno di noi avrà almeno un conoscente coinvolto in casi di job-mismatch ma che preferisce mantenere tale posizione in virtù di una stabilità occupazionale.
La stasi incide infine sulle scelte di vita dei cittadini, creando, a livello aggregato, un duplice costo sociale: si pensi alla mobilità internazionale del lavoro dei nostri laureati, il cosiddetto brain-drain. Da un lato, la fuga di cervelli produce una mancata opportunità per il nostro Paese, dall’altro genera un costo sociale elevato, legato ad esempio ai fenomeni di cura che, non potendosi risolvere a livello familiare, rappresentano, tralasciando le implicazioni umane e sociali del fenomeno, un costo aggiuntivo per la nostra collettività.

CULTURA E LAVORO NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Guardando al settore culturale, il fenomeno assume caratteristiche piuttosto chiare, soprattutto guardando gli “archetipi” contrattuali: una condizione che è ben nota, soprattutto ai giovani neolaureati, che si trovano ad accettare posizioni di lavoro che, in altri scenari economici e sociali, semplicemente ignorerebbero.
Il tutto, però, non si può ricondurre alla ormai atavica narrazione del “padrone cattivo” che paga poco e male i “suoi operai”. Perché molti dei soggetti economici privati attivi, ad esempio, nel settore dell’erogazione dei servizi museali, bibliotecari e via dicendo, risponde a offerte competitive, vale a dire gare e appalti per la Pubblica Amministrazione che in ogni caso concorrono, pur non volendo entrare in dettagli tecnici, alle condizioni attuali.
Allora ben venga lo sblocco così tanto atteso dei posti di lavoro pubblici che in questi giorni sta godendo di una grande eco sui giornali. Ben vengano anche le soprintendenze speciali e gli alquanto affascinanti comitati per le pari opportunità nel settore culturale.

CULTURA E LAVORO NEL PRIVATO

Ma è il settore privato culturale a dover essere incoraggiato, e non bisogna necessariamente ricorrere agli aiuti di Stato. È necessario che lo Stato inizi a svolgere realmente quel ruolo di arbitro che detta le regole del gioco, e che svolga tale ruolo in modo chiaro. È necessario che incentivi la mobilità infrasettoriale, perché questo premia nel medio periodo tutti i soggetti coinvolti: i dipendenti, che trovano un lavoro più consono alle proprie aspirazioni; le imprese, che trovano un lavoratore che ha competenze ed esperienze adeguate al ruolo; e soprattutto gli utenti finali, che possono così contare su servizi qualitativamente più elevati.

È necessario che lo Stato inizi a svolgere realmente quel ruolo di arbitro che detta le regole del gioco.

Non si tratta solo di strumenti che, in misura più o meno efficace, possono migliorare e mitigare le attuali condizioni. Si tratta anche di un disegno strategico e politico, che preveda una chiara diversificazione delle attività e delle competenze tra pubblico e privato, e che a partire da tale divisione riesca a definire anche livelli di cooperazione molto più solidi di quelli a oggi esistenti.
La realtà, in fin dei conti, è che si possono affrontare tantissimi discorsi edificanti, ma un Paese che da un lato garantisce dei pagamenti elevatissimi ai dipendenti pubblici e dall’altro, non potendo più permettersi quegli stessi pagamenti per condurre le proprie attività, ricorre a gare in cui soggetti maggiormente qualificati verranno pagati fino alla metà di quello che potrebbero prendere mediante assunzione pubblica, non è un Paese serio.

– Stefano Monti

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

Scopri di più