Strategie e progetti per le biblioteche di domani

Nonostante le difficoltà causate da pandemia e lockdown, le biblioteche hanno saputo ritagliarsi uno spazio importante, anche grazie agli strumenti digitali. Ma ora è tempo di pensare a strategie per renderle dei nuovi luoghi di cultura fisici, accessibili e in linea con le esigenze degli utenti.

Le biblioteche, fino a qualche tempo fa date per obsolete, hanno saputo mostrare durante il periodo del lockdown una capacità di adattamento e una presenza di spirito da fare invidia anche ad altre istituzioni culturali. Questo guizzo è stato utile per affermare una potenziale ritrovata identità di questa istituzione culturale. Ora la sfida è fare in modo che l’insieme delle iniziative poste in essere non venga circoscritta al lockdown, ed è una sfida che è tutta nelle mani delle biblioteche di pubblica lettura.
Sta a loro, adesso, riuscire a modulare il proprio operato, i propri servizi e le proprie attività in modo da poter restare “centrali” nella vita dei cittadini. Nella prossima normalità, infatti, per riprendersi uno spazio all’interno della quotidianità dei cittadini, non basterà realizzare attività online: sarà necessario modificare, almeno in parte, la logica di ideazione, produzione ed erogazione dei propri servizi. Questa “spinta” è oltremodo necessaria: oggi le biblioteche, pur avendo ottenuto risultati significativi in termini di “visibilità” e di “adesione ai servizi online”, hanno tuttavia conosciuto un forte calo degli utenti fisici dovuto in principal modo alle misure di contenimento della pandemia. E, cosa risaputa a chiunque si occupi di marketing, la conversione dal digitale al fisico non è un’operazione sempre semplice. Per questo motivo è necessario avviare ora un processo di trasformazione in grado di creare una “nuova” biblioteca, “aperta”, “accessibile” e “coinvolgente”.
Un luogo in cui la consultazione e il prestito di libri rappresentano il servizio “base”, al quale integrare altre azioni, altri obiettivi e altre attività attraverso le quali rispondere a esigenze, tacite o esplicite dei cittadini, anche sviluppando, sul versante organizzativo, strumenti e procedure attraverso i quali conoscere e comprendere con sempre maggiore accuratezza tali bisogni, o avviando processi di co-creazione di servizi coinvolgendo gli stessi cittadini nella definizione dei futuri servizi desiderati.
Agire come “hub” di cultura per il proprio territorio. Insediarsi in esso. Avviare, volendo usare un neologismo, una strategia di guerrilla culturing, dove la parola cultura diviene “un verbo”, un’azione. Una strategia di questo tipo prevede che le biblioteche agiscano su tre principali versanti: rinnovamento interno, azione di strategie di tipo interventista sul territorio e definizione di una strategia di brand.

IL RINNOVAMENTO INTERNO

Il rinnovamento interno rappresenta, in questo schema, un fattore propedeutico, e richiede un intervento sia sul versante organizzativo che sul versante della “cultura istituzionale”. Al primo appartengono azioni di natura prettamente organizzativa (formazione delle risorse umane, adozione di strutture organizzative in grado di poter supportare in modo efficace la nuova visione di biblioteca che si intende adottare, definizione di ruoli, competenze e procedure efficaci), mentre il secondo tipo di intervento richiede una profonda riflessione interna, che coinvolga tutti gli stakeholder istituzionali, per far sì che la “nuova” biblioteca sia, in primo luogo, emanazione e proiezione di una nuova visione da parte dei “bibliotecari”. Certo, tali cambiamenti richiedono tempo, e sono spesso resi più vischiosi a causa del contesto burocratico e amministrativo in cui le biblioteche operano. Tali difficoltà possono tuttavia essere, in parte, superate attraverso l’individuazione di nuovi modelli di gestione, sia già esistenti (le reti bibliotecarie in questo senso possono presentare vantaggi sensibili), sia ancora da individuare, magari progettando un potenziale intervento che indaghi, anche nel settore bibliotecario, il rapporto tra pubblico e privato.

Un luogo in cui la consultazione e il prestito di libri rappresentano il servizio “base”, al quale integrare altre azioni, altri obiettivi e altre attività attraverso le quali rispondere a esigenze, tacite o esplicite dei cittadini”.

L’azione interventista sul territorio è invece declinabile in tantissimi modi differenti, ma in fondo si basa su un’unica premessa: quella di costruire una biblioteca che “esce dai propri confini”, portando “nel mondo tangibile e nel territorio” l’esperienza di quanto già avviato con i confini “digitali”. Su questo livello già si registrano in Italia casi di particolare successo: dalla diffusione dei libri attraverso le edicole, avvenuta nel periodo di lockdown, alla creazione di aule-studio dislocate all’interno dei tessuti urbani, con accesso automatico (con lettura tessera) su prenotazione. Questi esempi, tuttavia, rappresentano solo “un primo” passaggio verso una “biblioteca nuova”: il già citato rinnovamento interno, anch’esso visibile in alcuni casi di successo del nostro settore bibliotecario, è la condizione a partire dalla quale l’insediamento “urbano”, la creazione di “hotspot” bibliotecari all’interno del tessuto cittadino e comunale divengono a loro volta strumenti per veicolare nuovi servizi in grado di soddisfare le esigenze dei cittadini: da connessioni stabili all’accesso a banche dati, da servizi di diretta connessione con gli uffici comunali ai servizi a sportello per cittadini, mondo del terzo settore e imprese, fino ad arrivare alla realizzazione di attività ibride, a metà tra cultura, entertainment, ristorazione e caffetteria. Con questi servizi la biblioteca si estende sia sul versante territoriale sia sul versante funzionale: non un luogo in cui prelevare dei libri, ma un insieme di servizi che le Amministrazioni costruiscono insieme all’istituzione bibliotecaria per i cittadini, agendo in modo da incrementare il livello di vicinanza tra gli enti territoriali e le persone che essi rappresentano. È su questa linea che si innesta, infine, la riflessione sul brand.

IL BRANDING

Oggi è uso comune acquistare libri presso grandi store che si propongono ai potenziali clienti in un modo completamente diverso rispetto al passato. Tali luoghi sono divenuti cool adottando proprio una logica di branding, con il risultato che, ormai, chi visita questi luoghi non acquista più un libro, ma anche una serie di valori aggiunti immateriali, sulla base di ciò che, con qualche anno (decennio) di vantaggio, hanno compreso e realizzato i cosiddetti beni di lusso. Avviare quindi una logica di branding significa essere di maggiore appeal per i cittadini, fornendo a questi ultimi certamente servizi di qualità, ma anche e soprattutto una dimensione identitaria. Oggi le biblioteche vengono percepite come “luogo identitario” soltanto da alcune categorie di cittadini.
Il branding estenderebbe questo rapporto identitario ad altre categorie di persone, ampliando potenzialmente il bacino di utenti. Perché, profit o meno, un’organizzazione deve essere improntata al raggiungimento dei propri obiettivi statutari, e la diffusione di cultura e di conoscenza è una delle funzioni principali delle biblioteche di pubblica lettura. È un passaggio necessario, che è ormai da anni nell’aria: serve solo un’azione pionieristica che possa dare l’avvio a un processo che presenta tutte le caratteristiche per essere “dirompente”, e che può completamente trasformare in pochi anni il modo con cui pensiamo e viviamo le biblioteche in Italia.

Stefano Monti
in collaborazione con Gianni Stefanini

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Stefano Monti

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Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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