Il dibattito sul Fondo Cultura: la replica di Umberto Croppi a Stefano Monti (e la controreplica)

Il neodirettore di Federculture controbatte ai dubbi di Stefano Monti sull’ipotesi di istituire un Fondo Cultura in risposta all’emergenza che stiamo vivendo.

Caro Stefano, ti rispondo a titolo personale, dopo che sull’argomento ci eravamo già scambiati delle battute su Facebook.
Tu sai quanto ti stimi e quanto io tenga sempre in massima considerazione il tuo punto di vista. Stavolta però ho vera difficoltà a capire le ragioni e i toni, che eufemisticamente definirei ingenerosi, di questo tuo reiterato intervento.
La tua è la classica scoperta dell’acqua calda: è ovvio che ci vuole una serie di misure articolate e anche di carattere strutturale per dare una risposta seria alle annose ambasce in cui si muovono le istituzioni della cultura. E tanto Federculture quanto le altre organizzazioni di categoria hanno rafforzato in questa fase emergenziale la loro opera di elaborazione e proposta, con un livello di interlocuzione istituzionale che non è pura riflessione accademica ma frutto dell’esperienza di chi nelle istituzioni e nelle imprese culturali ci lavora quotidianamente.
La questione del “fondo”, comunque la si voglia articolare, è un tassello di un pacchetto ben più vasto, ma anche realistico, di richieste su cui si sta lavorando nelle sedi adeguate.
Quella offerta da Battista è solo una opportunità, l’unica nella totale afonia della stampa (e della politica) riguardo alle attività culturali, per accendere un riflettore sulla gravità della situazione in cui il comparto versa.
Una occasione per poter dare forza all’intero panorama delle esigenze e che, tuttavia, si fonda su una richiesta reale. Quella che tu definisci “un’azione iniqua”, senza neanche conoscerne i contenuti tecnici, che sono in una fase avanzata di elaborazione, è condivisa da tutti, nessuno escluso, i manager che gestiscono aziende, fondazioni, associazioni, cooperative, reti dell’intero universo della cultura nazionale. Sono loro che si trovano ad affrontare problemi reali e che portano sulle loro spalle il peso della conduzione difficile, ma spesso gratificata da successi, del complesso mondo delle istituzioni pubbliche, semi-pubbliche e private.
E il punto, vedi, è proprio questo, non si capisce chi siano i “nostri autorevoli rappresentanti pseudopolitici della cultura” quando a sottoscrivere quell’appello sono gli operatori, che rappresentano il vero patrimonio di studi ed esperienza nella gestione.
La riflessione accademica è sempre un contributo utile, anzi indispensabile, ma che qualcuno si arroghi il diritto, come nella famosa canzone di De André, di spiegare “che pensi” a chi questi problemi li vive sulla propria pelle pare veramente un fuor opera.
Quello che veramente conta è che l’adesione all’appello ha registrato un’ampiezza e una compattezza che non si conoscevano da tempo. È un potente grido di aiuto nel deserto di attenzioni per quello che la retorica, questa sì da politicante, non smette di definire un settore strategico.
Ci sarà occasione di approfondire gli aspetti dottrinari, ma questa è materia di convegni. L’azione, come tu stesso dici, è qui e ora che va posta in essere, e i titolari di questa sono le donne e gli uomini che debbono decidere sul campo, i quali meritano solidarietà e, se permetti, rispetto.

Umberto Croppi

LA CONTROREPLICA DI STEFANO MONTI

Caro Umberto,
sai bene quanto la stima sia reciproca, ma più che dei nostri rapporti potrebbe essere utile riportare il nostro confronto sui contenuti che lo hanno animato. Proverò quindi ad analizzare quanto sinora accaduto in modo tecnico, lasciando poi alle sedi private i confronti più personali, che non credo siano così interessanti per i lettori.
I fatti sono questi: il 26 marzo Pierluigi Battista scrive sul Corriere della Sera che la cultura avrebbe bisogno di un Fondo per la Cultura. Scrive, inoltre, che tale fondo dovrebbe essere ovviamente costruito da economisti e da esperti del settore. La sua non è una proposta di politica economica, ma semplicemente la meritoria riflessione di chi prova a sensibilizzare cittadini e decisori pubblici sul tema.
Le reazioni a questa proposta sono due: una parte del mondo culturale esprime pieno consenso per la costituzione del Fondo e, correttamente, cerca di sfruttare la popolarità del tema per poter fare “lobby”. Dall’altra, invece, ne vengono sottolineate alcune criticità.
In particolare, un soggetto che, per lavoro, a livello internazionale si occupa di finanza, ma a livello nazionale è soprattutto un advisor economico-finanziario per società culturali, mostra non poche perplessità. Lo fa presentando 12 proposte alternative che, a suo avviso, possono essere più concrete e più eque della costituzione di un Fondo che, a suo parere, andrebbe soltanto a peggiorare le già delicate finanze del nostro Paese, con ripercussioni su debito pubblico e sui cittadini.
Le regole del dibattito, a questo punto, prevedono che, a fronte di una differenza di vedute, si possa entrare nel merito della questione, e fornire ai lettori la possibilità di formulare una propria opinione sugli strumenti che dovrebbero essere proposti, soprattutto perché spesso tali lettori sono anche operatori culturali, e quindi questi argomenti li riguardano da vicino. Piuttosto che andare verso questa direzione, la tua risposta devia il tono e, da dibattito sul tema, vuole essere una provocazione privata.
Procediamo con ordine. I contenuti della tua risposta sono:
1) indicando strumenti alternativi, Stefano Monti ha scoperto l’acqua calda. Tale affermazione dovrebbe essere suffragata da una qualsivoglia riflessione articolata su un tema che dimostri come chi persegue l’idea del Fondo abbia messo sul piatto anche altre riflessioni. Ma di tali “ulteriori” riflessioni non se ne fa menzione.
2) stiamo lavorando a un pacchetto di proposte più ampio, che in altre sedi stiamo elaborando. Quali sedi? Quali proposte? Il dibattito su una rivista serve proprio a confrontarsi sulle proposte da fare. Non è un reporting aziendale.
3) si è criticata un’azione senza conoscerne i contenuti tecnici “avanzati”. Di nuovo, quali sono questi contenuti tecnici? Al momento l’unico dettaglio sul “Fondo” è che si chiama “Fondo per la Cultura”.
4) tanti operatori hanno accettato. Questo forse è l’unico punto interessante per il dibattito. Ovvio che chiunque abbia adesso una difficoltà economica accetti qualunque proposta venga fatta per poter migliorare la propria liquidità. La responsabilità di questo dibattito è quella di trovare gli strumenti più efficienti per quegli operatori. Se gli operatori aderiscono vuol dire che lo strumento è corretto anche nel medio periodo? Quindi se poi non funziona la responsabilità è degli operatori che hanno aderito? E allora a cosa servono gli “esperti”, dato che l’idea di un Fondo per la Cultura è stata elaborata da un giornalista e la responsabilità della sua costituzione è demandata agli operatori? A cosa servono le organizzazioni che si dovrebbero occupare di economia e management delle Industrie Culturali e Creative? Sono dei meri collettori di idee e di firme?
5) l’obiezione condotta è dibattito accademico. Bene, ora resta da chiedersi cosa sia accademia: un’obiezione “con dodici proposte differenziate”, alcune di esse “immediatamente applicabili”, o una risposta, la tua, che non entra nel merito di nessuna di esse. Cercare di “derubricare” un’opinione divergente senza fornire argomentazioni, più che un dibattito è un esercizio ideologico.
Questa tua risposta evidenzia come il dibattito pubblico legato alla definizione di strumenti economici per la cultura necessiti di crescere ancora molto nella sua qualità. La tua risposta è emblematica del “dibattito all’italiana”, che cerca di sviare i contenuti e riportare a un “noi” contro “voi”. Il problema è che non esiste nessun “noi” contro “voi” in questa condizione. Esistono proposte alternative che è possibile valutare, condividere e criticare.
Nella tua risposta, caro Umberto, non c’è nemmeno un contenuto concreto. Questo non è dibattito, è propaganda.

– Stefano Monti

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