Emendamenti, detrazioni e politiche culturali. Analisi della Legge di stabilità

Risale a pochi giorni fa la presentazione di un emendamento alla Legge di stabilità che mira a favorire detrazioni e fiscalità agevolata nel campo dei consumi culturali. Ma quali lacune devono ancora essere colmate perché questo strumento funzioni?

È stato presentato, negli ultimi giorni del 2017, un emendamento alla Legge di stabilità volto a favorire una fiscalità agevolata legata ai consumi culturali sulla base di alcune caratteristiche e limitazioni.
All’art 15 comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo la lettera c-ter è aggiunta la seguente: “c-quater) le spese culturali, per la parte che eccede euro 129,11. Dette spese sono costituite esclusivamente dalle spese per l’acquisto di biglietti di ingresso o tessere d’abbonamento a musei, concerti e spettacoli teatrali, sale cinematografiche, dall’acquisto di libri e di opere protette de diritto d’autore su supporto cartaceo, audio o video. Ai fini della detrazione la spesa culturale deve essere certificata da biglietto o abbonamento riportante il marchio SIAE, da fattura o da scontrino fiscale contenente la specificazione della natura, qualità e quantità dei beni o degli spettacoli. Il certificato di acquisto deve comunque contenere l’indicazione del nome e cognome del destinatario o il suo codice fiscale”.
L’esigenza di una fiscalità agevolata per la cultura, non soltanto per il consumo ma anche per la produzione, è un dato di fatto, e in questo senso sono già state attivate numerose iniziative volte a favorire l’adozione, da parte del legislatore e del governo, di una prospettiva che vada in questo senso.
Data la rilevanza del tema, tuttavia, è necessario che le azioni intraprese siano precise e sufficientemente puntuali, anche per agire da fattore correttivo per quella “leggerezza” con cui da sempre il legislatore ha agito nei riguardi del settore.

L’attuazione di una politica fiscale per la cultura, è giusto ribadirlo, rappresenta una delle più importanti azioni che Parlamento e Governo possano realizzare per migliorare le condizioni di scenario che regolano il mercato culturale in Italia”.

Per quanto l’emendamento presentato non possa far altro che accogliere un consenso unanime, è altrettanto importante dunque sottolineare delle lacune sia in termini di ambiti applicativi sia per ciò che concerne la reale implementazione delle previsioni in esso contenute.
In primo luogo, infatti, ciò di cui ha maggiormente necessità il comparto culturale è una trattazione unitaria dal punto di vista fiscale. Su questo versante sarebbe dunque giusto inserire all’interno delle categorie di spesa anche i monumenti, le gallerie, le aree archeologiche, le mostre e gli eventi culturali, così come introdurre all’interno dei criteri dello spettacolo dal vivo anche le manifestazioni coreutiche (categorie presenti nelle classificazioni di attività culturali ma esplicitamente omesse nell’emendamento).
Dal punto di vista dell’applicazione concreta, poi, risultano alquanto difficoltose nella pratica le previsioni di rendicontazione previste dall’emendamento. Prevedere un biglietto nominale, con annessa fattura, implica infatti una completa transizione delle modalità di acquisto dei titoli di accesso per tutte le categorie di spesa previste: applicare questo emendamento con l’attuale modalità di acquisto “a sportello” significa un aumento smisurato dei tempi di attesa e delle già consistenti “code” che caratterizzano particolari musei.
C’è poi un ulteriore elemento di cui bisogna tenere conto: questo tipo di emendamento riguarda esclusivamente le persone fisiche. Questo tipo di approccio non è coerente con l’universo di neo-imprenditori che rappresentano uno dei principali target delle attività culturali. Prevedere l’estensione di queste detrazioni anche alle persone giuridiche sarebbe dunque un’azione di giustizia sociale che estende anche a chi è ricorso all’autoimpiego, fatte salve le dovute eccezioni, i diritti di chi ha invece trovato un percorso lavorativo tradizionale. La possibilità di detrarre, a determinate condizioni, le spese culturali per le imprese permetterebbe inoltre di avviare un’azione in grado di incentivare, al contempo, la creazione di benefit aziendali culture-based, facilitando in questo modo una fruizione culturale tra differenti pubblici (sia per variabili demografiche che di reddito, etc.).

L’esigenza di una fiscalità agevolata per la cultura, non soltanto per il consumo ma anche per la produzione, è un dato di fatto, e in questo senso sono già state attivate numerose iniziative volte a favorire l’adozione, da parte del legislatore e del governo, di una prospettiva che vada in questo senso”.

Un’ultima considerazione in merito riguarda ancora la modalità di rendicontazione. In una recente intervista rilasciata a Report, Diego Piacentini (numero due di Amazon e commissario del Governo per il digitale e per l’innovazione) ha sostenuto che esistono in Italia due tipi di evasione fiscale: il primo è di natura volontaria e criminosa, il secondo è invece legato alla complessità burocratica (e di rendicontazione) che è a oggi presente nel nostro ordinamento.
L’emendamento non fa altro che aumentare le difficoltà oggi presenti. Sarebbe forse più utile poter beneficiare di tali detrazioni semplicemente presentando le transazioni bancarie attraverso le quali è stato autorizzato il pagamento. Se per le altre categorie di consumo questo potrebbe infatti dar luogo a gravissimi rischi sotto il versante dell’evasione, nel caso dei consumi culturali è difficile immaginare (fatti salvi i casi di secondary ticketing, per i quali esistono già sistemi ben più evoluti di azione) un uso improprio dell’acquisto di biglietti per il teatro o per il cinema. In questo modo sarebbe possibile dimostrare (senza ombra di dubbio) l’avvenuto acquisto senza dover ricorrere alle procedure di registrazione dell’utenza che si intende scongiurare più che mai.
Anzi. Potendo prevedere la possibilità di detrazione tramite presentazione dello storico relativo alle spese con carta di credito, le persone sarebbero sempre più incentivate a utilizzare tale metodo di pagamento a discapito dell’utilizzo dei contanti. Questo, nei limiti del delicato perimetro delle leggi sulla privacy, potrebbe inoltre migliorare il livello di conoscenza che le organizzazioni culturali hanno dei propri “clienti” (siano essi fruitori, spettatori, etc.), migliorando considerevolmente anche le possibili azioni che il sistema culturale attuale potrebbe attivare in un’ottica di coinvolgimento del proprio pubblico.
L’attuazione di una politica fiscale per la cultura, è giusto ribadirlo, rappresenta una delle più importanti azioni che Parlamento e Governo possano realizzare per migliorare le condizioni di scenario che regolano il mercato culturale in Italia.
Le possibili strade per ottenere questo risultato sono sostanzialmente due: l’adozione di un testo unico fiscale legato al patrimonio culturale e ai prodotti culturali e creativi, l’inserimento attraverso emendamenti di principi che possano poi permettere una trattazione unitaria in periodi non troppo lontani. Dato che quella del testo unico è una strada quantomeno tortuosa e lunga, cercare di introdurre concetti importanti attraverso il meccanismo degli emendamenti è molto importante.
Per questo motivo è bene essere precisi, puntuali, anche fastidiosamente concreti. Il rischio che si corre, altrimenti, è quello di rendere ancora più farraginosa, incomprensibile e distorta, tutta la disciplina che regola (dal punto di vista fiscale) produzione e consumo culturale.
Ed è esattamente ciò di cui l’Italia non ha bisogno.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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