I dimenticati dell’arte. La storia dello scrittore e poeta Guelfo Civinini
Giornalista, poeta, scrittore, commediografo, esploratore. L’incontro con Pascoli, l’amicizia con Elsa Morante, la storia coloniale nell’opera dello scrittore avventuroso dimenticato che comunque piaceva a Montale
“Egli richiama, come pochi, a quella unità di vita-arte che in tempi meno angosciosi dei nostri non era o non pareva eccezionale. Civinini passò dall’estetismo all’azione, dal crepuscolo alla vita avventurosa, dal successo al silenzio o al quasi silenzio degli ultimi anni con signorile disinvoltura, con un senso della misura e dello stile ch’era tutto suo”. Con queste parole Eugenio Montale definiva la personalità poliedrica – e a tratti contraddittoria – di Guelfo Civinini (Livorno, 1873 – Roma, 1954), in un “coccodrillo” sintetico ma puntuale, pubblicato sul Corriere della Sera l’11 aprile 1954.
Chi era Guelfo Civinini
Guelfo era davvero un personaggio d’altri tempi, capace di unire la poesia e l’avventura in maniera del tutto originale. Era nato a Livorno da Francesco, un piccolo commerciante di Grosseto, e Quintilia Lazzerini: la prematura morte del padre lasciò la moglie e i figli in condizioni economiche precarie, in una città come Grosseto, allora paludosa e malarica. L’ambiente primitivo della maremma toscana di fine Ottocento produsse un’impronta indelebile sull’animo del ragazzo, che a dieci anni seguì la madre, convolata a nuove nozze, a Roma, dove terminò gli studi liceali. L’interesse per la scrittura divenne presto prevalente, e lo portò a collaborare con diverse testate come La Riforma, e successivamente a La Patria, il Giornale d’Italia, la Tribuna e L’Avanti della Domenica, dove firmava articoli con pseudonimi diversi, come “Accard”, “Baccio Cellini”, “Muscadin” e “Pilusky”. A 28 anni Guelfo pubblicò la sua prima raccolta di poesie, L’urna (1901), per poi dedicarsi alla scrittura di commedie come La casa riconsacrata (1904) e Il signor Dabbene (1906) delle quali oggi si riconosce soprattutto un valore documentario, legato agli usi e costumi dell’epoca.
La casa di Pascoli a Barga
Nel 1908 sostituì Carlo Zangarini nella stesura del libretto dell’opera La fanciulla del West di Giacomo Puccini, che accompagnò a rendere visita al poeta Giovanni Pascoli nella sua dimora a Castelvecchio di Barga, raccontato nell’articolo La casa di G. Pascoli, pubblicato sul Corriere della Sera il 24 settembre 1908. L’ anno precedente Civinini era stato assunto dal quotidiano milanese come redattore e inviato speciale, per raccontare eventi come la prima rappresentazione dell’opera La Nave di Gabriele D’Annunzio, i servizi sul terremoto di Messina e sulle paludi pontine infestate dalla malaria, oltre a resoconti di viaggi in diversi paesi europei. Nel 1911 Guelfo venne inviato dal Corriere a seguire la guerra in Libia e poi sul fronte greco: in quegli anni si avvicinò alle idee di D’Annunzio, con il quale partecipò ad alcuni eventi come l’impresa di Cattaro e il volo su Vienna, ma le divergenze ideologiche tra il poeta e il quotidiano costrinsero Civinini a dimettersi nel 1920.
Le memorie di Civinini
Negli Anni Venti intraprese diversi viaggi in Africa, tra i quali spicca la missione nel 1926 per ritrovare la tomba dell’esploratore Vittorio Bottegoucciso dalla tribù dei Galla nel 1897 nel cuore dell’Etiopia: una volta reperito il cumulo, si rese conto che i resti di Bottego erano scomparsi, e si limitò a incidere su una roccia il suo nome, l’anno della morte e una croce. All’inizio degli Anni Trenta iniziò un rapporto di amicizia con la giovane Elsa Morante, e la aiutò ad inserirsi nell’ambiente romano degli scrittori per l’infanzia: nel 1933 ricevette il premio Mussolini e quattro anni dopo il Premio Viareggio, con il libro Trattoria di paese. Nominato accademico d’Italia nel 1939 per le sue simpatie per il regime, fu console generale a Calcutta e poi si trasferì a Firenze, dove trascorse tutta la Seconda Guerra Mondiale con la seconda moglie Antonietta Germani e la figlia Annalena. Nel 1953 vinse il premio Marzotto con il libro di memorie Lungo la mia strada, ultima impresa letteraria di un uomo eclettico e appassionato, che merita di essere riscoperto.
Ludovico Pratesi
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