L’editoria indipendente in Italia #7. La storia di D Editore

Prosegue il nostro viaggio nel panorama delle case editrici indipendenti italiane. È la volta di D Editore, dedita ai temi dell’anarchia e della cultura punk

Punk e libertaria, con queste due parole si potrebbe sinteticamente descrivere D Editore, protagonista di questa nuova puntata del nostro percorso tra le più interessanti casa editrici indipendenti in Italia. Abbiamo intervistato uno dei suoi fondatori, Emmanuele Pilia.

Raccontateci D Editore: come e quando è nata?
D Editore nasce un po’ come gesto d’amore di tre persone (io, Massimiliano Ercolani ed Emidio Battipaglia) che non si capacitavano come fosse possibile che alcuni testi chiave della cultura radicale e libertaria fossero introvabili – o addirittura mai tradotti – in Italia. All’inizio ci occupavamo solo di architettura radicale e anarchica, e come puoi immaginare la cosa interessava solo una piccola nicchia di persone, il che rendeva il tutto un progetto poco più che amatoriale. Abbiamo iniziato senza fondi, scrivendo mail ad autori ed editori un po’ in tutto il mondo e traducendo da noi il materiale. Pensa, per sopperire alla mancanza di fondi siamo dovuti diventare la prima casa editrice in Italia a usare il crowdfunding! Parliamo di circa 11 anni fa, quando quella parola era incompresa da chiunque! Oggi, ahimè, il crowdfunding viene usato quasi esclusivamente per nascondere strane pratiche di editoria a pagamento.
Con il tempo, però, le cose hanno iniziato ad andare sorprendentemente bene, e abbiamo deciso di fare sul serio: sei anni fa cambiammo brand, diventando D Editore, e allargando i nostri interessi all’intero scibile umano, rimanendo fedeli con la nostra visione del mondo militante e punk, lontana dagli accademismi, ma non per questo meno scientificamente attenta.

Come si compone oggi il team?
Nel tempo, molta gente si è unita a noi (come Patricia Badji, Ettore Bellavia, Valerio Bindi, Giulia Vigna, Alessio Villotti, Sergio Vivaldi e soprattutto Magda Crepas, che è il braccio destro di D Editore): il team è cambiato, si è allargato, ma la linea editoriale è rimasta la stessa. 

Qual è la vostra linea editoriale e a quale pubblico vi rivolgete?
L’idea di base non è semplicemente portare in Italia temi complessi, ma anche renderli accessibili anche a chi non ha gli strumenti per approcciarli, ma senza banalizzarli. Spesso ci accusano di essere una casa editrice un po’ sboccata. Ma questo per me è un motivo di orgoglio! Quello che sfugge a molt3 addett3 ai lavori, è che dovremmo parlare soprattutto a chi è estraneo al dibattito, non usare una strana neolingua formata da orribili anglicismi difficili da interpretare per chi non può aggiornarsi su determinati temi. Questo non fa altro che rendere temi come sesso, droga, la battaglia e l’agire incredibilmente… Noiosi! Ebbene sì, il mondo culturale (non solo italiano) è riuscito nell’incredibile compito di rendere noioso e mortifero anche il più catartico e liberatorio dei desideri. Dunque, ci rivolgiamo sicuramente a persone che sono vicine a temi queer, libertari, femministi, ma lo facciamo in modo tumultuoso, provocatorio, sboccato, irriverente e blasfemo.

Il Tuono dell'Anarchia, copertina del libro, D Editore
Il Tuono dell’Anarchia, copertina del libro, D Editore

In un contesto come quello italiano, dove molte persone non leggono libri, come sopravvivono gli editori indipendenti?
Io credo che la questione del numero di persone che leggono sia un po’ fuorviante. Mettiamola così: l’industria editoriale ha un livello di maturità (in quanto industria) molto bassa, su molti livelli. Dalle case editrici, fino alle librerie; da chi scrive, fino a chi promuove. Il tutto segue uno schema che si può esplicare in cinque fasi: ideazione (scrittura), industrializzazione (editing, grafica, eccetera), produzione (stampa), promozione e consumo (lettura). Insomma, come se fosse un qualsiasi bene commerciale, un cucchiaio o una vettura. Ma se l’editoria è in crisi, perché continuare così? È imprenditorialmente stupido modellare la propria attività cerando di copiare modelli di industrie più mature e con flussi di cassa maggiori. Inoltre, se l’editoria è in crisi, perché continuare a copiare modelli falliti? Nel nostro settore, ci sono solo due segmenti che si arricchiscono: chi muove i libri e chi li stampa. Ormai, anche il core-business del principale distributore italiano si è spostato dalla vendita dei libri alla loro movimentazione. A breve, roboanti annunci ci fanno sapere che il settore della stampa sarà il prossimo territorio di conquista. Il resto di noi (tutti noi, non solo editori) lavora in funzione dei bisogni di questi due servizi: logistica e tipografia. Inoltre, i margini di guadagno di un libro sono enormemente bassi perché gli intermediari sono a decine, e molti di essi sono assolutamente ingiustificati. 

Quindi quello del numero di lettori è un dato poco utile a descrivere la situazione editoriale italiana?
Non è tanto il numero di lettori a creare difficoltà: una cosa come “il lettore forte” è un’invenzione mediatica che per quanto mi riguarda non ha senso di esistere come entità ontologica. L’exploit del libro di quel militare che non citerò ci dice quanto non sia la ricerca di questo unicorno chiamato “lettore forte” a determinare il destino dell’editoria. Il problema, secondo me – ma magari sbaglio – risiede nella gran quantità di sabbia negli ingranaggi del nostro settore industriale che rallenta processi, erode risorse, offre ricompense in vanità, eccetera. Per fare un esempio, in alcune catene librarie, per essere esposti negli scaffali è richiesta una fee. E alcune case editrici mettono a bilancio questa spesa al capitolo “promozione”. Ma questa spesa è razionale? Per non parlare dell’immenso mondo dei metadati, degli ISBN, e di tutti quei servizi che editori e librai devono affrontare in maniera coatta e verso enti semi-illegalmente monopolistici.
Io non posso dire come gli editori indipendenti sopravvivono, posso parlare per noi: cercando di formare le persone che ci seguono, cercando di parlare direttamente con loro il più possibile, limitando il numero degli intermediari, non concedendo esclusive commerciali.

Qual è il libro o autore che più vi rappresenta o al quale siete più legati e perché?
Non è facile dare una risposta, perché è come chiedere a un papà o una mamma qual è il figlio preferito o la figlia preferita… Per non fare un torto ad autrici o autori italiani, io e Magda ne scegliamo due: Anarcoccultismo di Erica Lagalisse, e Il tuono dell’anarchia di He-Yin Zhen e curato da Cristina Manzone. Il primo è un libro che mostra come anarchia, femminismo ed esoterismo affondino le radici nello stesso terreno. Dopotutto, se ci pensiamo, quello che oggi noi chiamiamo ecologismo, femminismo, attivismo, un tempo lo avremmo chiamato stregoneria, cartomanzia, magia… C’è una linea rossa che collega le esperienze del passato a quelle di oggi, e questa linea rossa rappresenta il rapporto tra potere e contropotere. Anarcoccultismoracconta la storia di questa linea rossa. Il tuono dell’anarchia, invece è la collezione più completa mai pubblicata dello straordinario lavoro di He-Yin Zhen, la donna che ha introdotto l’anarchia e il femminismo in Cina all’inizio del Novecento. Parliamo di un mondo estremamente diverso dal nostro, sia cronologicamente che culturalmente, e la cura di Cristina Manzone ci fa entrare in questa dimensione aliena in maniera stupefacente. Un libro capace anche di rimettere in gioco in chi lo legge l’universalismo in cui troppo spesso cadiamo.

Oltre la periferia della pelle, copertina del libro, D Editore
Oltre la periferia della pelle, copertina del libro, D Editore

Vi andrebbe di indicarci un editore indipendente di cui vi piace particolarmente il lavoro?
Ci sono molti editori che ci piacciono. Sicuramente i nostri amici di Wom Edizioni, Time0 e Cliquot, e poi anche colleghi con cui non abbiamo rapporti ma che ci piacciono molto, come ADD Editore e Ippocampo.

Qualche anticipazione sui libri in uscita nei prossimi mesi?
Ma sì, ci piace fare gli spoiler!Citiamo tre libri di cui stiamo parlando sui nostri social da questa estate, e su cui punteremo molto: Antropologia per intelligenze artificiali, di Filippo Lubrano, Fallosofia, di Francesco Boer, e Metal Theory, a cura di Claudio Kulesko e Gioele Cima. Il primo è una disamina sui bias che abbiamo verso le intelligenze artificiali, come diverse culture potrebbero creare diverse concezioni di intelligenza artificiale, e come questo possa portare opportunità e crisi in un tempo molto più vicino di quanto spereremmo. Il secondo è il primo libro di una trilogia legata alla simbologia sessuale a cui stiamo lavorando con l’esperto di simbologia Francesco Boer: il primo libro sarà dedicata al cosiddetto cazzo. Sì, il libro non girerà attorno a eufemismi di varia foggia. L’ultimo libro è invece una raccolta sul rapporto tra filosofia e la musica metal, un genere (o meglio: un genere di generi) troppo spesso cooptato dall’estrema destra e che invece può scatenare riflessioni incredibilmente stimolanti anche da un punto di vista libertario.

Ultima domanda: il libro assolutamente da leggere almeno una volta nella vita.
Io rispondo Il mutuo aiuto, di Petr Kropotkin, libro di una bellezza – anche estetica – incredibile. Magda invece Il barone rampante, perché racconta tipi di amore poco raccontati e celebra la libertà ma senza nasconderne il prezzo….

Dario Moalli

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Dario Moalli

Dario Moalli

Dario Moalli (Vigevano 1991) studia Storia e critica dell’arte all’università di Milano, nel 2013 si è laureato in Scienze dei Beni culturali, e da qualche anno vive stabilmente a Milano, dove vaga in libertà. Condivide l’interesse per l’arte con quello…

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