
Lo stile è inconfondibile. L’esposizione si sviluppa ora nei due piani interrati del Rietberg (il museo dedicato all’arte extraeuropea di Zurigo) ma è stata costruita al Victoria& Albert di Londra. Perché inconfondibile? Perché tutte le mostre del V&A appaiono d’acchito un poco “stiff”, insomma più rigide meno spettacolari di quel che il titolo promette. Ma finiscono poi col conquistare chi le visita per la qualità di riflessioni che propongono. Così dopo aver percorso le sale dedicate ad Hallyu! (letteralmente “onda coreana”) si acquisisce la certezza che gli smatphone Samsung o LG, Hello Kitty, Spy e i Blankpink, film come Old Boy e Parasite o serie come Squid Game siano il frutto di una cultura che è sopravvissuta, ha resistito, ha saputo adattarsi per poi operare una sintesi di successo del tutto particolare.
Che cos’è Hallyu! e l’immaginario della Corea del Sud
La Corea del Sud, a partire dalla seconda metà del XX secolo, ha vissuto un’ascesa vertiginosa, dopo aver subito una serie di eventi traumatici nella prima metà. Hallyu! racconta come l’annessione da parte del Giappone nel 1910 sia stato un periodo oscuro segnato da anni di coercizione militare. “Liberata” alla fine del Seconda Guerra Mondiale, cade vittima della Guerra Fredda. Tre anni (1950-1953) di conflitto globale conclusosi senza vincitori porta americani e sovietici a dividere il paese, senza consultare il suo popolo. Ancora oggi non è stato firmato un trattato di pace e le due Coree restano tecnicamente in guerra. Quando nel 1961 arriva il primo colpo di stato guidato dal Generale Park Chung-hee, la Corea del Sud è più povera della Corea del Nord. Da questo momento inizia però l’accelerazione. Il regime di Park (che pure utilizza la censura per controllare le “influenze liberali straniere”) sceglie di concentrarsi sull’esportazione, individuando aziende da sostenere: verso la fine degli Anni Settanta l’elettronica diviene così uno dei principali settori d’esportazione. Piccole imprese come Samsung, LG e Hyundai si trasformano in “chaebol” (grandi conglomerati familiari) e col viatico governativo si mettono alla caccia di prestiti esteri.









Le industrie culturali in Corea del Sud
Nello stesso periodo gran parte delle sue zone rurali vengono sostituite dai grattacieli di centri urbani guidati dalla tecnologia. Sono stati gli investimenti nelle tecnologie della comunicazione (ICT) e nelle industrie culturali (ICC) – a trascinare il paese nella sua ascesa. Un “gioco culturale” che ha permesso ai 51 milioni di abitanti della Corea del Sud di conquistare un prestigio impensabile sino a pochi decenni fa. Oggi il paese si è dotato di un soft power di grande peso. Hallyu! lo celebra attraverso sezioni dedicate al K-pop, al K-beauty e alla moda, al K-drama e il cinema. Dare conto di tutto è impossibile. Ma alcune sezioni elementi meritano un’attenzione speciale.
Che cos’è il K-pop
Dalla storia turbolenta della Corea del Sud è nato il K-pop una fusione di generi musicali e influenze culturali che lo ha reso ibrido e per questo in grado di superare le barriere linguistiche. Suo tratto distintivo è la coreografia sincronizzata attorno a movimenti che i coreografi, spesso adolescenti, creano in pochi giorni, ad ogni uscita musicale. Catturano il concetto della canzone riflettendo la personalità delle band composte da sempre costruitissimi “Idol”. Si chiamano “point dance” i movimenti eseguiti durante il ritornello che vanno a costituire la coreografia distintiva del brano. Le routine K-pop divengono, ipnotici, ideali per sfide di danza, sia sui social media sia per strada. Il V&A ha inserito nel percorso un apposito dispositivo che invita i visitatori ad eseguire movimenti che diventano parte di una danza collettiva che resta registrata a futura memoria. Questa singolare (per noi occidentali) procedura fa parte dell’azione di community globali di fan del K-pop. Invece di limitarsi al ruolo di semplici consumatori, queste persone traducono testi, creano archivi, e producono spontaneamente contenuti che diventano merce di scambio. Si tratta di comunità intergenerazionali, dotate di un’infrastruttura digitale molto sviluppata, che talvolta viene addirittura utilizzata anche per promuovere cause sociali.
K-Beauty e K-Fashion
Durante la dinastia Joseon (1392–1910), mantenere un aspetto curato non era considerato vanità, bensì un dovere morale che rifletteva status sociale e virtù. Nonostante i tumulti della sua storia moderna, questa attitudine persiste. Oggi, la K-beauty combina formule secolari con tecnologie avanzate. Le aziende coreane hanno sviluppato identità forti attraverso confezioni creative, ispirate al proprio patrimonio visivo o a design giocosi che includono progetti artistici collaborativi. Anche la K-fashion sta guadagnando visibilità, utilizzando una reinterpretazione contemporanea dell’hanbok (l’abito tradizionale coreano), in stili gender-fluid, che si rivolgono in particolare ai Millennials e a Gen Z posizionandosi tra il mondo dello streetwear e quello dei marchi di lusso. Sempre più Idol del K-pop indossano hanbok moderni accrescendo così la loro popolarità anche fuori dai confini nazionali
In esclusiva per il Rietberg
Per la tappa zurighese, l’unica prevista nell’Europa continentale il Rietberg ha allestito pescando nella sua collezione permanente, una sala dedicata alle tradizioni artistiche della Corea. Accanto a immagini buddhiste e sciamaniche, sono esposte pitture decorative di genere e xilografie policrome provenienti dalla collezione del museo e da raccolte europee. Un modo in più per collegare i legami tra la cultura pop coreana e la storia artistica e culturale del Paese. A coronamento
del tutto c’è una grande videoinstallazione di Nam June Paik, in cui l’artista prefigurava l’ascesa della Corea come centro tecnologicamente avanzato.
Aldo Premoli
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